Eh no, l’Apocalisse non c’è stata, nessuna fine, nessun fuori tutti, nessun andate a lavorare, anzi tutti a casa a gustarci lo spettacolo del Mondiale. A rileggere i titoli dei quotidiani italiani e stranieri del 14 novembre scorso viene quasi da sorridere: il triplice fischio decretato la sera precedente a San Siro dall’arbitro spagnolo Lahoz al termine del play off per Russia 2018, Italia Svezia, aveva fatto precipitare il Paese sull’orlo del burrone. O almeno così sembrava, Azzurri fuori dalla Coppa dopo 60 anni, nulla aveva più senso.
Mai più senza – Fuori da ogni equivoco: i Mondiali senza l’Italia non hanno per noi italiani lo stesso sapore, e c’è da augurarsi che la Nazionale non fallisca un’ulteriore competizione internazionale per i prossimi sei secoli, non sei decenni. Ma il palato tricolore ha saputo metabolizzare lo choc dello 0-0 di Milano, assaporando diversamente l’edizione in terra di Putin. Più che a una Coppa del Mondo, Russia 2018 somiglia a un’Olimpiade: via le derive nazionaliste, in un periodo storico in cui rinchiudersi a riccio nei propri confini sembra essere la sola (perversa) direzione, arrivederci alle analisi tattiche e linguistiche a ogni ora su modulo, formazione e conferenze stampa. Abbiamo così aperto i porti del nostro tifo e ci siamo accorti che esistono storie, colori e vessilli meritevoli delle nostre simpatie e del tifo più genuino e disinteressato.

Ohne Worte – Sette mesi dopo, quindi, la penisola scopre che c’è vita nella Coppa del Mondo oltre la Nazionale. Lo dimostrano i dati di ascolto delle partite, lo confermano l’interesse e la curiosità verso un’edizione iridata che ogni giorno sorprende, affascina, ti tiene incollata alla tv. Come spiegare, sennò, l’alluvione di articoli e condivisioni social sulla clamorosa eliminazione della Germania al primo turno nei gironi? Fatto storico mai accaduto che alimenta sfottò e critiche, anche fuori luogo, verso un universo calcistico, quello tedesco, che si conferma un modello di organizzazione e infrastrutture anche dopo una pesante débâcle.

Cristiano e Leo – Certo, la Mannschaft fuori fa titolo a sé, specie se ultima nel girone e sconfitta dalla Corea del Sud. Ma c’è tanto altro in questo torneo che sembra mancare all’Italia più di quanto i quattro volte campioni non manchino al Mondiale stesso. Ci sono i due marziani del calcio moderno, Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, che esplodono, cadono e si rialzano con perfetta alternanza. Se uno va di tripletta, l’altro delude e sbaglia un rigore, se quell’altro lo imita fallendo a sua volta un penalty e rischiando l’espulsione, l’altro risorge e approda agli ottavi quando tutto sembrava perduto.
Tabarez ed El Hadary – Ci sono le belle storie che solo i Mondiali sanno regalare. Come quella di Oscar Washington Tabarez, il Maestro uruguaiano alla sua 5^ edizione sulla panchina della Celeste, che non riesce a trattenere l’esultanza dopo il gol di Gimenez al 90’ contro l’Egitto e si alza festante dalla panchina nonostante sia debilitato da una grave malattia. C’è Essam El Hadary, portiere egiziano, che nel match contro l’Arabia Saudita è diventato il calciatore più anziano ad aver disputato una gara mondiale, con i suoi 45 anni e 161 giorni, superando così il record del colombiano Mondragon, 43enne. Non contento, l’estremo difensore ha anche parato un rigore nella stessa partita, portandosi a casa un primato storico e cancellando, in parte, la delusione di una Coppa deludente per i faraoni, con la stella Salah a mezzo servizio (vero Sergio Ramos?).

Panama, Islanda, Iran – Le favole mondiali sono tali anche senza lieto fine. Panama non è più solo un paradiso fiscale, è l’esultanza sfrenata dei suoi tifosi dopo il primo gol iridato che arriva sullo 0-6 per l’Inghilterra, è la furbata tentata dai Ticos del ct Gomez con il calcio d’inizio a sorpresa dopo il 2-0 di Harry Kane, pur di riuscire a segnare la loro prima rete nella Coppa. L’Islanda, poi, da qualche anno sta provando a liberarsi dai luoghi comune che la imprigionano tra geyser e vichinghi: l’isolotto da 335.000 anime dell’estremo nord Europa propone il suo calcio e non è più una sorpresa. Quarti di finale a Euro 2016, premio simpatia ma non solo quest’anno: pari con Messi e compagni, qualificazione in bilico fino alla fine nel girone della morte con Nigeria, Croazia e Argentina. Infine l’Iran è stato a un passo da far saltare il banco: al 94’ della gara con il Portogallo ha avuto la palla della qualificazione che avrebbe estromesso i campioni d’Europa in carica. Persino Cristiano Ronaldo si è arreso alla resistenza iraniana, sparando a salve il suo rigore nelle mani del portiere Alireza Beiranvand, in fuga dalla sua famiglia di pastori nomadi quando era ragazzino. Da senzatetto a padrone della sua porta contro i migliori al mondo.

La leva coreana e le aquile svizzere – Si può esultare per un gol e perdere 1-6, si può impazzire per una vittoria anche se inutile per la classifica, anche se si torna a casa. Citofonare per informazioni alla Corea del Sud, che dopo le antipatie piovutele addosso dopo il Mondiale in casa del 2002, è riuscita a ricostruirsi una verginità sportiva facendo fuori nientemeno che i campioni in carica della Germania. Decisiva la prova del suo giocatore più affermato, Son Heung-Min, centrocampista del Tottenham, che grazie al suo gol potrebbe così saltare, per meriti sportivi, la leva obbligatoria prevista in patria. Perché lo sport non è mai solo sport, d’altra parte «chi sa solo di calcio non sa niente di calcio», come ama ripetere José Mourinho. Impossibile rinchiudere entro i recinti di un campo di gioco le esultanze di Xhaqa e Shaqiri che imitano con le braccia le aquile albanesi dopo aver segnato le reti del successo elvetico contro la Serbia. Entrambi di origine kosovara, entrambi in fuga verso la Svizzera durante la loro infanzia, lontani dalle persecuzioni della Jugoslavia nella guerra degli anni ’90.

Buoni vs cattivi, Giappone Senegal – Pari punti, pari differenza reti, pari reti fatte, pari nello scontro diretto: come dirimere la parità infinità tra Giappone e Senegal nel gruppo H per la seconda qualificata agli ottavi di finale, dopo la Colombia? Russia 2018 scongiura la monetina e stabilisce la regola dei gialli: chi ha meno ammoniti avanza nel tabellone. Ne fa le spese la formazione senegalese che va a casa avendo avuto 6 cartellini a 4 rispetto al Giappone. E’ la prima volta che il fair play stabilisce l’ordine di arrivo in classifica, Africa a secco dopo la prima fase (non accadeva dal 1982), il salto di qualità per il continente nero è nuovamente rimandato.
La Var è uguale per tutti – Il gol non gol di Hurst nella finale Inghilterra Germania del 1966, la mano de Dios di Maradona vent’anni dopo contro l’Inghilterra, ancora inglesi protagonisti col gol non convalidato a Lampard nel 2010 nuovamente di fronte ai tedeschi. Episodi arbitrali che hanno caratterizzato la storia dei Mondiali e che oggi avrebbero trovato giustizia con la Video Assistant Referee. Così il globo pallonaro scopre (finalmente) la Var, la tecnologia si rivela a reti unificate restituendo quella giustizia perduta che l’occhio umano a volte non può sentenziare. E allora l’arbitro che, con le braccia, fa il gesto del monitor solleva il sipario sullo spettacolo nello spettacolo, su quei secondi di pathos che possono strozzare un’esultanza o restituire quanto dovuto. Almeno in questo l’Italia era arrivata prima delle altre, adottando la Var nell’ultima serie A. Ma ha dovuto piegarsi alla sua consacrazione mondiale davanti a un altro monitor, quello di casa, seduta su un comodo divano. Sperando non capiti più.