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In un sondaggio del 2006 tra i tifosi del Liverpool si è classificato al quarto posto nella classifica 100 Players Who Shook The Kop alle spalle di Gerrard, Dalgish e Rush. Talmente idolatrato dalla Kop da affibbiargli sin da ragazzino il poco impegnativo soprannome di “The God”, Dio, nonostante da bambino aveva in cameretta i poster dei giocatori dell’Everton.

Robbie Fowler, nato a Liverpool il 9 aprile 1975, è stato un portento, un attaccante che sbucava da tutte le parti, imprevedibile, estroso, letale. Ha segnato 163 gol in Premier League, 120 con il Liverpool in otto stagioni, sesto miglior marcatore della storia del campionato inglese dietro a Thierry Henry, Frank Lampard, Andy Cole, Wayne Rooney e Alan Shearer. Colpi di genio e colpi di pazzia, gli anni Novanta sono stati i suoi, nel bene e nel male.

Il periodo sfortunato di Fowler inizia nel 1998, quando un infortunio al legamento del ginocchio lo costringe a chiudere anticipatamente la stagione, precludendogli la possibilità di partecipare ai campionati mondiali del 1998, favorendo così anche l’ascesa del giovane compagno di squadra Michael Owen, che aveva esordito con il Liverpool l’anno precedente.

The legend of Robbie Fowler: The Premier League's best finisher ...

Ma è nel 1999, nei primi mesi del nuovo anno, che Fowler perde la bussola: nella partita contro il Chelsea, provoca il difensore del Chelsea, Graeme Le Saux, sulle voci sulla sessualità del giocatore. Poi si arriva al derby del Merseyside del 3 aprile 1999. Il match si apre con un minuto di silenzio per il decennale della tragedia di Hillsborough, i Toffees passano in vantaggio immediatamente con un tirazzo di Olivier Dacourt da lontano e pallone sotto l’incrocio dei pali. Nell’Everton milita anche un giovane Marco Materazzi che in area di rigore abbatte Paul Ince. Sul dischetto si presenta Robbie Fowler, che incrocia il sinistro, firma l’1-1 e va a festeggiare con un’esultanza passata alla storia. Accusato dai tifosi dell’Everton di essere un cocainomane, Fowler si esibisce in mondovisione in una sniffata della linea di fondo.

La sua doppietta nel 3-2 finale passa in secondo piano e stavolta, a differenza della lite con Le Saux, Robbie capisce immediatamente di aver passato il segno.  Mentre l’attaccante si scusa con un rapido comunicato, il suo allenatore, Gerard Houllier, va in sala stampa fornendo una versione inspiegabile dell’accaduto: secondo il francese, l’esultanza di Fowler sarebbe un omaggio a Rigobert Song, difensore camerunense arrivato dalla Salernitana, e alle esultanze buffe come le danze intorno alla bandierina e il gesto di mangiare l’erba. L’attaccante del Liverpool viene convocato dalla Football Association, con due inchieste pronte a fondersi in una sola udienza e una multa di 32.000 sterline già inflitta dalla dirigenza del Liverpool per l’esultanza contro l’Everton. Decide di non appellarsi all’ulteriore sanzione di 32.000 sterline imposta dalla Fa e alle sei giornate di squalifica: due per il diverbio con Le Saux, quattro per lo show nel derby.

Il Liverpool, per Fowler, ha significato molto, forse tutto. Da tifoso, era a Istanbul nella notte della clamorosa rimonta contro il Milan. E proprio da tifoso ha ragionato quando, nel gennaio 2006, è tornato ai Reds durante la sua fase calante, quasi a voler riassaporare l’innocenza dei primi anni.

Liverpool boss Klopp the Messiah? There's only one God on ...

 

Fonte: Ultimo Uomo

L’Italia, dopo il bronzo di Eleonora Giorgi,  sale un’altra volta sul podio ai Mondiali di atletica leggera, per ricevere una medaglia…ma non per del 2019, bensì di 10 anni fa.  «Questa medaglia l’ho sempre sentita un po’ mia», dice, emozionata e fiera, Antonietta Di Martino che ha infatti ricevuto sul podio dello stadio Khalifa, a Doha, il bronzo mondiale di Berlino 2009 del salto in alto, per effetto della squalifica della russa Anna Chicherova: «Il quarto posto mi andava un po’ stretto – le sue parole dopo essere stata premiata da Anna Riccardi, membro del Council Iaaf- quando ho saputo che mi avrebbero assegnato la medaglia sono stata contenta, anche se ho pensato che sarebbe stato completamente diverso vincerla lì».

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La Chicherova, fenomenale interprete della specialità e per tanti anni rivale della saltatrice di Cava de’ Tirreni, fu trovata positiva nel 2016 allo steroide Turinabol, alle luce delle nuove analisi sui campioni di urine degli atleti russi, prelevati ai Giochi di Pechino 2008. Le controanalisi confermano la positività e alla russa campionessa olimpica a Londra 2012 fu sottratta la medaglia di bronzo conquistata ai Giochi in Cina. Lo scorso febbraio le è stata inflitta una squalifica retroattiva, dal 24 agosto 2008 al 23 agosto 2010. Proprio in quel biennio vinse la medaglia d’argento iridata alle spalle della croata Blanka Vlasic e davanti alla tedesca Adriane Friedrich, con l’azzurra quarta.

Il tempo è passato anche per Antonietta Di Martino, ora è mamma del piccolo Francesco, che ha compiuto da poco due anni ed è anche lui a Doha assieme a papà Massimo De Meo: «Scala i sedili dello stadio, è una piccola peste – sorride la primatista italiana, che all’Olympiastadion dieci anni fa si classifico’ quarta con 1,99 – sono diversa anche io, un po’ di cose sono cambiate e ogni cosa ha un suo tempo. Nei primi anni dopo il mio ritiro non ho più seguito l’atletica, ho avuto un rifiuto. Ora ho ripreso a guardarla».

A poco meno di un mese dall’inizio della competizione mondiale in Russia, il Perù deve fare i conti con un’amara delusione. La gioia di ritrovarsi qualificati dopo ben 35 anni viene infatti offuscata dalla vicenda di Paolo Guerrero, capitano della nazionale, che è costretto a rinunciare al suo sogno di guidare la squadra.

Coinvolto in una vicenda di doping già sei mesi fa, la sua partecipazione al Mondiale era in dubbio da tempo.

Tutto risale al match giocato contro l’Argentina per le qualificazioni al Mondiale. In quell’occasione, dai controlli antidoping il capitano peruviano era risultato positivo ad un metabolita della cocaina. Immediata la squalifica per 12 mesi, poi ridotta a sei in seguito al ricorso presentato dal giocatore al Tas.

Una condanna dura ma scaduta di recente, fugando ogni eventuale dubbio sulla presenza del calciatore nella competizione iridata in Russia.

Ma quando ormai sembrava tutto finito arriva invece il ricorso presentato dalla WADA (agenzia Mondiale Antidoping) che chiede di prolungare tale squalifica fino a 14 mesi, precludendo per Guerrero la possibilità di prendere parte al Mondiale.

Il Tas pare abbia accolto il ricorso e Guerrero è stato ufficialmente eliminato dalla lista dei convocati della nazionale peruviana di cui già era parte integrante.

Un sogno infranto e un paese in rivolta: ecco cosa ha scatenato la sentenza del Tas. Né il protagonista né i suoi tifosi ci stanno e si continua a proclamare l’innocenza del capitano. Secondo la sua versione, infatti, non avrebbe fatto uso di droghe ma semplicemente bevuto un tè alla coca, popolare nel suo paese e addirittura in vendita nei market.

 

Attraverso i social si consuma lo sfogo di un giocatore deluso che attendeva da tempo la realizzazione del suo sogno di giocare nel Mondiale (di cui il Perù non fa parte dal 1982!) e invece sarà costretto a vedere e tifare la sua squadra da casa:

La prima cosa che voglio dire è che non c’è una prova di tutto ciò, nulla è mai stato provato. Quello che non capisco è come si possa dare una sanzione di 14 mesi, spezzando il mio sogno di giocare il Mondiale senza giustificazione. Spero che i giudici e le persone che hanno contribuito a rubare il mio sogno e il mio Mondiale continuino a dormire in pace. Ringrazio tutte le persone che mi sono state vicine, che sanno il professionista che sono e la persona che sono: spero che continuino a credere in me

Parole dure che esprimono un forte rammarico, ma che non gli impediscono di stare vicino ai suoi compagni, sostenerli e, ironia della sorte, apparire ancora nelle foto di gruppo del team mondiale.

Lui, che con il cuore è ancora lì a sentirsi uno dei convocati, può almeno illudersi di aver preso parte anche se per breve tempo a questo tanto atteso Mondiale. Anche se serve a poco, gli rimane la consolazione di vedere ancora la sua figurina nell’album Panini digitale che è espressione del grande evento e dove la sua immagine non può essere cancellata!

Putin non ci sta e alla notizia della squalifica a vita che coinvolge altri 4 fondisti russi si scatena la bufera, che inevitabilmente dallo sport si trasferisce in politica, in un nuovo scontro tra Russia e Usa.

La vicenda comincia quando i quattro fondisti, Maxim Vylegzhanin, Alexey Petukhov, Julia Ivanova e Evgenia Shapovalova, vengono coinvolti nell’indagine della CIO (Comitato Olimpico Internazionale) effettuata contro gli atleti che fanno uso di sostanze dopanti per vincere le gare. In seguito ai ripetuti controlli si è appurato che alcuni di loro erano positivi al test antidoping, ma i risultati sono stati insabbiati dallo Stato. Tra questi c’erano Alexander Legkov, medaglia d’oro nella 50 km, e Evgeniy Belov, puniti a novembre con la squalifica a vita.

Ma la CIO non si è fermata e ha continuato le sue verifiche che oggi accusano i 4 fondisti di doping e li condanna alla squalifica a vita, revocando tutte le loro medaglie ottenute alle Olimpiadi di Sochi. Si parla di 1 oro e 3 argenti, che da oggi in poi non hanno più alcun valore.

Una situazione che né Putin né gli atleti coinvolti possono accettare senza reagire. E così è già stato annunciato che si farà ricorso al TAS, per fare chiarezza su una situazione ambigua che sembra avere dei retroscena politici. I campioni russi, infatti, si dichiarano innocenti:

Non hanno prove e non abbiamo mai fatto niente di sbagliato né violato le regole. Continuerò ad allenarmi per la coppa del Mondo, c’è ancora la possibilità di andare alle Olimpiadi e ci crediamo

Queste sono le parole amare di Vylegzhanin che non vuole rinunciare alle prossime olimpiadi invernali che avranno inizio nel mese di febbraio. La decisione definitiva sulla partecipazione della Russia ai Giochi di PyeongChang sarà presa a breve, nel mese di dicembre, e c’è grande agitazione in tutto il paese.

Anche Vladimir Putin dice la sua e si schiera nettamente a favore dei suoi atleti, coinvolti secondo lui in una disputa che di sportivo ha ben poco e che invece mira a indebolire la Russia nelle prossime elezioni. Sarebbero quindi le vittime di un complotto che vuole mettere in cattiva luce lo stato in vista delle presidenziali imminenti. Ecco il suo commento:

C’è qualcosa che mi preoccupa, le Olimpiadi cominceranno a febbraio e quando si terranno le nostre presidenziali? A marzo. Sono grandi i sospetti che questo utilizzato come pretesto per creare malcontento tra gli appassionati di sport, cercando di far credere loro che lo Stato sia responsabile delle irregolarità

L’Olimpiade di Rio 2016, l’esaltazione massimo dello sport, dell’agonismo, ma anche della gioia e dell’euforia. Esserci, per molti atleti, fu già considerato un successo. Trionfare e conquistare la medaglia d’oro, poi, una gioia inarrivabile. Ma tra le tante celebrazioni, una su tutte è passata alla storia di questa rassegna.

Fehaid Aldeehani è un tiratore kuwaitiano di 50 anni. Nel 2016 si era qualificato alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nella specialità di tiro a volo del double trap, ma ci andò senza poter esibire la sua bandiera. Sì, perché la federazione del Kuwait fu squalificata dal Cio, il Comitato Internazionale Olimpico, a causa di alcune pressioni e ingerenze del governo su di essa. Così tutti gli atleti furono “obbligati” a concorrere come indipendenti.

E così il 10 agosto, Aldeehani, dopo una prestazione superba, precisa e limpida, riuscì a vincere la medaglia d’oro. Il gradino più alto, quasi impensabile, per uno sportivo alla soglia dei 50 anni e che aveva solo precedentemente accarezzato il bronzo. Il primo nella storia olimpica del Kuwait ad aver conquistato una medaglia alle Olimpiadi e un momento altrettanto storico: mai nella storia un atleta indipendente era riuscito a vincere la medaglia più prestigiosa in una Olimpiade.

La squadra degli Atleti Indipendenti raccoglie tutti gli sportivi che non possono concorrere sotto la propria bandiera, o perché il loro paese sta affrontando una transizione politica (come una recente indipendenza) o perché la loro federazione è stata squalificata. In passato gli unici atleti olimpici indipendenti a vincere medaglie erano stati alcuni dei pochi iugoslavi che parteciparono a Barcellona 1992 quando La Iugoslavia venne squalificata dal Cio in seguito all’inizio del conflitto nei Balcani.

Fehaid Aldeehani è entrato, a sue spese, nella storia. Una storia senza inno e senza bandiera.

Sara Errani è stata trovata positiva ad un controllo antidoping effettuato a febbraio di quest’anno. Nelle urine della azzurra, sono state trovate tracce di arimidex, nome commerciale anastrozolo, riconducibile a un principio attivo farmacologico inquadrabile nella classe S4 degli “stimolatori ormonali e metabolici”, lo stesso a cui fu trovato positivo il canottiere Mornati.

La Errani però è stata squalificata solo per 2 mesi (a partire dal 3 agosto sino al 2 ottobre) dal Tribunale Antidoping dell’International Tennis Federation. La tennista romagnola, 30 anni compiuti lo scorso aprile, ha ricevuto il minimo della pena possibile poiché si è creduto fermamente alla buona fede dell’atleta, che è già stata processata a Londra come da prassi. L’Itf ha sancito anche la revoca di punti e montepremi a partire dal giorno della acclarata positività all’arimidex, comunemente conosciuto come anastrozolo, sino a un controllo negativo del mese di giugno.

«Un tribunale indipendente nominato ai sensi del programma anti-doping del tennis ha rilevato che Sara Errani ha commesso una violazione contro le regole sul doping e ha squalificato l’atleta, imponendole un periodo di stop di due mesi, a partire dal 3 agosto»

Il controllo antidoping incriminato è del 16 febbraio 2017, ma la notizia è giunta all’azzurra un paio di mesi dopo. Sara Errani, consigliata anche dagli avvocati della Federazione Italiana Tennis, ha deciso di non fare ricorso sulla squalifica, ma cercherà di opporsi alla decurtazione dei punti che, escludendo i tornei all’incirca da febbraio a giugno, la farebbero perdere parecchie posizioni in classifica.

Siamo alla conclusione di maggio, in giro per Europa i campionati di calcio sono pressoché terminati, i titoli sono stati assegnati, rimane qua e là qualche lotta e spareggio per non retrocedere più un paio di coppe ancora da giocare, tra cui Europa League e Champions League.
Alcuni calciatori sono già in vacanza, altri stanno seguendo i trattamenti personalizzati per ristabilirsi dagli infortuni ed essere al top per la prossima stagione, altri stanno recuperando le energie in vista della Confederations Cup.

Ma c’è chi al calcio proprio non sa rinunciare: è Tyrone Mings, difensore centrale di 24 anni del Bournemouth, club inglese che quest’anno si è piazzato sorprendentemente al nono posto in Premier League. Va detto che la stagione di Mings è andata a folate, dopo aver passato due anni di calvario: solo sette presenze quest’anno, dopo aver saltato i primi mesi di stagione per recuperare dalla rottura dei legamenti del ginocchio rimediata il giorno del suo esordio in Premier League, nel settembre del 2015 contro il Leicester. Per lui solo 12 minuti e poi una stagione completamente andata.


Il numero 26 è stato molto spesso in panchina o in tribuna, ma a inizio 2017, l’allenatore Eddie Howe l’ha fatto giocare titolare con delle buone prestazioni. Poi il match contro il Manchester United e soprattutto la scazzottata da saloon contro Zlatan Ibrahimovic gli sono costate cinque giornate di squalifica e il ritorno in panca:

Forse anche per le poche partite ufficiali disputate, Tyrone Mings, annoiato, ha espresso su Twitter nel pomeriggio del 23 maggio, il desiderio di tirare due calci al pallone. Detto fatto subito dopo è arrivata la proposta di Alex Deutsch, tifoso dei Cherries, che lo invitata a giocare una partitella 7 contro 7 in un campetto della città con lui e i suoi amici. Tyrone, dopo aver chiesto informazioni sul campo, non c’ha pensato su due volte e ha semplicemente risposto con un «Figo, ci vediamo lì».

Tra l’incredulità, la speranza e l’euforia, i ragazzi hanno visto arrivare il difensore dall’alto del suo metro e 95 centimetri. Non sappiamo il risultato finale del match, ma sappiamo solo che Tyrone non è stato l’unico calciatore professionista a partecipare: assieme a lui c’era, infatti, anche Omar Sowunmi, 21enne dello Yeovil Town, squadra di quarta serie. A fine partita, Mings ha ringraziato ancora una volta su Twitter e c’è una bella foto di gruppo a immortalare e ricordare l’evento:

 

Complimenti a Tyrone: dopo due stagioni passate tra infermeria e giudice sportivo, giocare a calcio è la miglior vitamina per riprendersi e continuare a lavorare e sorridere!

Giovanni Sgobba

Quante pedalate, quante strattonate, quanti ciclisti e quanti chilometri abbiamo visto nella lunga storia del Giro d’Italia. Ora che siamo prossimi al secolo di vita, sommando tutte le 99 precedenti edizioni, si sono percorsi oltre 346mila km. Non sapete quantificare una cifra così spaventosamente enorme? Beh, pensate solo che la luna dista dalla terra, in media, poco più di 384mila km.

Dall’anno della sua fondazione, il 1909, la corsa a tappe maschile su strada più importante dello stivale e tra le più prestigiose al mondo, ha visto battaglie, sfide, cadute e tanto altro ancora.
La maglia rosa si è legata a nomi che il solo ricordo rievocano dolci emozioni: da Girardengo a Binda, passando per Bartali e Coppi, e ancora  Merckx, Pantani, Cunego, Contador, Basso e Nibali. Dieci nomi solo per farceli stare sulle dita di due mani, ma è certo che in tanti meriterebbero onori e allori.

Ma tra le leggende e le istantanee che trasudano passato e gloria del Giro d’Italia, ci sono anche aneddoti, curiosità beffarde che, con oltre un secolo di storia, strappano un sorriso. Alcune le ha raccolte in una simpatica infografica il sito Bikester: scommettiamo che proprio non le conoscete?

Nel 1909, durante la seconda tappa, Guglielmo Lodesani, Vincenzo Granata e Andrea Provinciali trovandosi in ritardo, pensarono di recuperare salendo su un treno. Salirono alla stazione di Ancona e scesero a Grottammare, perché lì era previsto un controllo. Ma, sfortuna per loro, sullo stesso vagone c’erano anche alcuni giudici che si stavano spostando da Bologna a Chieti. Attraverso le fotografie che erano state scattate a tutti i partecipanti prima della partenza, i tre girini vennero riconosciuti e squalificati.
Successivamente anche un altro ciclista, Giuseppe Brambilla, già fuori Giro a causa di una caduta, venne squalificato per lo stesso motivo. Sempre nel primo storico Giro d’Italia, Giovanni Rossignoli, che concluderà terzo in classifica venne investito da un cavallo.

Uno degli slogan più appariscenti del primo storico Giro d’Italia definiva la corsa come la “più ricca del mondo”. Effettivamente il montepremi complessivo ammontava a 25.000 lire (circa 600.000 euro attuali) e il vincitore, Luigi Ganna, guadagnò 5.325 lire (circa 133.000 euro odierni).
Giuseppe Perna, 49° e ultimo accumulò 300 lire (circa 7.000 euro di oggi).
Lo stesso Ganna, appena tagliato il traguardo da vincitore della prima edizione, alla domanda di un giornalista su come si sentisse di fronte alla vittoria raggiunta, rispose, in dialetto lombardo:

Me brüsa tanto el cü!

 

Nel 1914, un altro espediente da “furbetti”, il primo e vero episodio di traino da un’auto: durante la tappa Bari-L’Aquila, e più precisamente sulla Salita delle Svolte, i ciclisti Carlo Durando, Alfonso Calzolari (che poi vincerà quell’edizione) e Clemente Canepari si aggrappano sull’auto dell’inviato dell’Italia Sportiva e vennero penalizzati di 3 ore 8 minuti e 1 secondo.
Nello stesso anno, inoltre, si registrò il numero più basso di corridori che riuscì a tagliare il traguardo: su 81 iscritti e partecipanti, solo in otto conclusero tutte le tappe in programma.

Non solo stratagemmi, ma anche prove di grande cuore e sforzo sovrumano. Tra questi, Fiorenzo Magni, che durante il Giro d’Italia del 1956, nonostante la rottura della clavicola in seguito a una caduta, terminò la gara, piazzandosi al secondo posto, stringendo tra i denti una camera d’aria legata al manubrio, così da poter sia diminuire lo sforzo richiesto alla spalla sinistra infortunata, sia sfogare il dolore affondando i denti nella gomma.
Questo il racconto dello stesso Magni:

Al Giro del ’56 sono caduto nella discesa di Volterra e mi sono fratturato la clavicola. “Non puoi partire”, mi dice il medico. Io lo lascio parlare e faccio di testa mia: metto la gommapiuma sul manubrio e corro la crono. Poi supero gli Appennini. Ma provando la cronoscalata di San Luca mi accorgo di non riuscire nemmeno a stringere il manubrio dal dolore; allora il mio meccanico, il grande Faliero Masi, decide di tagliare una camera d’aria, me la lega al manubrio e io la tengo con i denti, per non forzare le braccia. Il giorno dopo, nella Modena-Rapallo cado di nuovo e mi rompo anche l’omero. Svengo dal dolore. Sono sulla lettiga quando riprendo coscienza e ordino a chi guida l’ambulanza di fermarsi. Mi butto giù, inseguo il gruppo, lo riprendo e arrivo sul Bondone sotto una tormenta di neve. Per questo gesto Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, che seguivano il Giro, mi ribattezzarono Fiorenzo il Magnifico

 

Fonte: Uscat, Wikipedia

Giovanni Sgobba

Torna per amore del pattinaggio, ha detto più volte. Per riprendere in mano la sua carriera agonistica ed essere lei a decidere quando smettere e in che maniera, senza l’imposizione dall’esterno. Il pattinaggio artistico italiano riabbraccia la sua divinità più luminosa: Carolina Kostner, il 9 dicembre, rientra in gioco, in una competizione ufficiale.

Al 49° Golden Spin, nona e tappa conclusiva delle Challenger Isu 2016, il secondo circuito internazionale dopo il Grand Prix; è il palaghiaccio di Zagabria il palcoscenico del suo ritorno, esattamente dove nel 2008 e 2013 ha conquistato due dei suoi cinque Europei. Solo alcuni dei tanti, tantissimi successi nella carriera dell’atleta altoatesina, bloccata per 985 giorni: in mezzo anche una squalifica di tredici mesi (scaduta il 31 dicembre scorso) per il caso Alex Schwazer, suo fidanzato all’epoca dei fatti.

Una pagina scura, da strappare in fretta per la ragazza 29enne che non disputa una gara ufficiale dal 29 marzo 2014, dai Campionati mondiali a Saitama in Giappone, dove conquistò il bronzo, uno di 26 luccicanti medaglie dove a brillare sono soprattutto il bronzo alle Olimpiadi invernali di Soci 2014 e la medaglia d’oro ai Mondiali del 2012.

E’ il 31 marzo 2012, a Nizza, all’interno del Palais des Expositions Acropolis, Carolina si classifica prima nel programma libero, segnando il proprio nuovo record personale e vincendo la medaglia d’oro con 189,94 punti. Prima pattinatrice italiana nella storia ad ottenere l’iridato nel pattinaggio di figura singolo e momento storico per il pattinaggio azzurro che, oltre al successo nel 2001 di Barbara Fusar-Poli e di Maurizio Margaglio nella danza, mai aveva raccolto un titolo individuale.
Dietro di lei la russa Alena Leonova e la giapponese Akiko Suzuki, ma gli applausi sentiti, squillanti che coprono le note di Mozart, il pezzo di sottofondo dell’esibizione dell’altoatesina, sono tutti per lei. Lei che, pian piano si scioglie, sorride e intuisce l’impresa al suo decimo mondiale, dopo due bronzi, nel 2005 e nel 2011, e un argento, nel 2008.

Maestosa ed elegante, nel 2012, a 25 anni, qualcuno ipotizzò un suo ritiro ora che era sul gradino più alto del podio, da regina mondiale, ma lei aveva ancora un obiettivo in testa, visto sfumare disgraziatamente più volte: una successo alle Olimpiadi invernali. Predestinata, ma anche dannata, portabandiera alle Olimpiadi in Italia, a Torino 2006, appena maggiorenne, in quelli che dovevano essere i suoi Giochi, poi trasformati in un incubo a causa di una caduta.
Una maledizione che la perseguiterà anche a Vancouver 2010, altra caduta. Un incantesimo spezzato, quando sembrava quasi impossibile, a Sochi, in Russia, nel 2014. Pronta mentalment e fisicamente, non ha tradito se stessa e tutti gli appassionati: nel programma libero, sulle note del Bolero di Ravel è stata perfetta, cristallina e dolce. Una medaglia di bronzo che sa tanto d’oro.

Se non bastavano le emozioni a dirci che Carolina Kostner è stata e lo sarà per molti decenni ancora, la pattinatrice più limpida e preziosa dello sport azzurro, la medaglia di bronzo ha regalato quel senso di compiutezza che la carriera della bolzanina meritava. Ma forse, non è finita qui…