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L’ultimo rossonero ad aver firmato la vittoria del Milan in un derby di campionato giocato fuori casa? Risposta quasi scontata: Zlatan Ibrahimovic. Correva la 12esima giornata 2010/2011 e al minuto numero 5 un rigore del campione svedese, tornato a vestire la casacca del Diavolo solo qualche settimana fa, risultò decisivo per lo 0-1 finale. Successivamente ecco 5 successi dell’Inter, il più recente per 1-0 nello scorso campionato con Icardi man of the match al 92’, e 3 pareggi.

Cercando negli almanacchi di calcio i precedenti Inter-Milan giocati proprio alla 23esima giornata di Serie A, ci imbattiamo 5 stracittadine. Nel 1929/1930, all’esordio del campionato con la formula del girone unico, ecco un 2-0 firmato Serantoni. Nel 1934/1935 altro 2-0, stavolta frutto delle reti di Porta e Demaria. Nel 1956/1957 primo punto per il Milan grazie all’1-1 con marcatori Bean (M) e Invernizzi (I). Nel 1962/1963 furono Mazzola (I) e Sani (M) gli artefici del secondo pareggio per 1-1. Mentre nel 1975/1976 arrivò il primo segno 2 in schedina, 0-1 con Bigon uomo gol decisivo. Insomma, il bilancio di questo mini ciclo racconta di 2 successi Inter, altrettanti pareggi, 1 vittoria del Milan. Soprattutto, 6 marcature per i nerazzurri a fronte delle 3 per i rossoneri.

La compagine di mister Conte in casa ha fatto 22 punti (6V – 4X – 1P con 19GF/8GS). Lo scorso weekend con l’Udinese ha ritrovato quei tre punti che mancavano da qualche settimana. Prima, difatti, c’erano stati 3 pareggi senza soluzione di continuità. È in serie positiva da 15 turni: 9 affermazioni più 6 match chiusi in parità. L’undici del tecnico Pioli in trasferta ha raccolto 18 punti (6V – 0X – 5P con 12GF/14GS). L’ultima volta con un pareggio risale al 20 aprile 2019, 1-1 a Parma. Col Verona ha fatto 1-1, un risultato da non sottovalutare alla luce della prestazione degli scaligeri a Roma, e raggiunto quota 5 gare a punti di fila. È la miglior performance di stagione.

Chiusura con due dati dalla classifica all time di A, rossoneri a 4.699 gol marcati, e di rendimento, per entrambe le difese 8 clean sheet in questo campionato.

CONFRONTI DIRETTI CON L’INTER PADRONA DI CASA (SERIE A)*

85 incontri disputati
32 (27) vittorie Inter
30 (35) pareggi
23 (23) vittorie Milan
123 (57) gol fatti Inter
111 (48) gol fatti Milan

ULTIME 5 SFIDE IN SERIE A CON L’INTER PADRONA DI CASA

2014/2015, 31° giornata, Inter-Milan 0-0
2015/2016, 3° giornata, Inter-Milan 1-0
2016/2017, 32° giornata, Inter-Milan 2-2
2017/2018, 8° giornata, Inter-Milan 3-2
2018/2019, 9° giornata, Inter-Milan 1-0

RISULTATI PIU’ RICORRENTI IN SERIE A CON L’INTER PADRONA DI CASA

1-1 comparso per 13 volte, l’ultima nel 2012/2013 (El Shaarawy 21’ – Schelotto 71’)
2-2 comparso per 8 volte, l’ultima nel 2016/2017 (Candreva 36’ – Icardi 44’ – Romagnoli 83’ – Zapata 97’)
0-0 comparso per 8 volte, l’ultima nel 2014/2015

* Fra parentesi i dati dei precedenti Inter-Milan in Serie A dopo la prima frazione di gioco

Conte versus Pioli: da Grosseto-Bari in Serie B

I primi scontri diretti fra Antonio Conte, Inter, e Stefano Pioli, Milan, sono andati in scena in cadetteria. Ne contiamo 3, infatti, fra il 2007/2008 (Grosseto-Bari 2-2) e il 2008/2009 (Piacenza-Bari 2-2). Il resto, 4, si sono svolti tutti in Serie A.

Conte annovera soltanto match positivi contro il collega e negli ultimi 3 incroci ha raccolto ben 9 punti vincendo sempre grazie a 2 reti marcate dalle sue formazioni (vale a scrivere la Juventus). Da segnalare, tuttavia, che la sfida fra i due tecnici mancava nel massimo campionato italiano dalla stagione 2013/2014.

Positivo, per l’allenatore leccese, il bilancio delle sfide al Milan. Fra l’altro nell’unica volta in cui le sue squadre non hanno segnato ha incassato la prima e sola sconfitta. Ben 14 i testa a testa fra il mister originario di Parma e l’Inter (che ha guidato per 23 panchine di A nel 2016/2017). I numeri strizzano l’occhio alla società nerazzurra. Pioli non batte la Beneamata dal 2015/2016, quando guidava la Lazio. Mentre l’ultimo scontro diretto ha prodotto un 3-3.

Da segnalare che al calcio d’inizio di Inter-Milan saranno 150 le panchine dell’ex ct nel massimo torneo italiano.

TUTTI I PRECEDENTI FRA CONTE E PIOLI IN CAMPIONATO

4 vittorie Conte
3 pareggi
0 vittorie Pioli
12 gol fatti squadre di Conte
6 gol fatti squadre di Pioli

TUTTI I PRECEDENTI FRA CONTE E IL MILAN IN CAMPIONATO

5 vittorie Conte
2 pareggi
1 vittoria Milan
12 gol fatti squadre di Conte
5 gol fatti Milan

TUTTI I PRECEDENTI FRA PIOLI E L’INTER IN CAMPIONATO

4 vittorie Pioli
4 pareggi
6 vittorie Inter
19 gol fatti squadre di Pioli
23 gol fatti Inter

I NUMERI DI CONTE IN SERIE A

149 panchine
101 vittorie
34 pareggi
14 sconfitte
135 gare a punti

I NUMERI DI PIOLI IN SERIE A

325 panchine
115 vittorie
94 pareggi
116 sconfitte
209 gare a punti

Non si dimenticherà mai lo sguardo di Enzo Bearzot, quello sguardo che aveva cercato di rado durante la partita. Quella, però, era la partita più importante della sua vita e Antonio Cabrini aveva appena commesso un errore fatale. Madrid, luglio 1982, finale del Mondiale spagnolo contro la Germania Ovest. Altobelli crossa nel mezzo dove Bruno Conti viene messo giù dal tedesco Briegel: il rigore è netto. Siamo al primo tempo, minuto 25, e la partita può già prendere una svolta. Ma chi lo batte? Cabrini è il secondo rigorista della squadra azzurra, ma Giancarlo Antognoni è in panchina perché Bearzot ha preferito inserire il diciottenne Beppe Bergomi. Così tocca proprio al ragazzo venticinquenne terzino sinistro prendersi la responsabilità.

Un giocatore tedesco si avvicina per dargli fastidio, poi un fumogeno cade vicino al pallone. Antonio Cabrini non può più aspettare, deve affrontare il momento più delicato della sua carriera: inizia la rincorsa, arriva quasi sul pallone, poi alza lo sguardo e butta un occhio sul portiere tedesco. Vede che si muove, lui non sa che però è solo una finta. E Cabrini ci casca, calciando dalla stessa parte dove si butta Harald Schumacher. Una ciabattata.

Risultati immagini per antonio cabrini germania ovest

In realtà non inquadra nemmeno lo specchio, il tiro va proprio fuori. Eppure anche nei tabellini recenti questo suo errore dal dischetto è stato rimosso. Poco importa, perché l’Italia quel Mondiale lo vince per 3-1 e la carriera di Cabrini era ancora “salva”. Lui che in quell’edizione spagnola della Coppa del Mondo un gol l’aveva anche segnato, e decisivo, nel 2-1 contro l’Argentina nel complicatissimo Girone C. E immaginate la reazione dei tifosi italiani, come ha raccontato Cabrini stesso intervistato da L’Insder, capaci di esaltarsi visceralmente, ma allo stesso tempo di dare l’impressione di essere distaccarsi, salvo poi gioire per le vittorie. Da un gol a un rigore sbagliato. Ma soprattutto lui che, in Nazionale, ha disputato 73 gare realizzando 9 gol, il dato che lo rende il difensore più prolifico nella storia degli Azzurri.

Eppure non voleva tradire la fiducia del ct Bearzot che, al contrario, di fiducia ne aveva data tantissima al ragazzo cresciuto nella Cremonese e poi nell’Atalanta, prima di passare alla Juventus:  ritenuto uno dei primi terzini moderni, nonché uno dei maggiori interpreti del ruolo a livello mondiale, senza aver ancora esordito in Nazionale A, e addirittura senza vantare un posto di rilievo – ancora – tra i bianconeri, sul promettente Cabrini scommise il commissario tecnico degli Azzurri, il quale lo convocò per il campionato del mondo 1978 in Argentina. Fece il suo esordio il 2 giugno 1978, a vent’anni, nella partita Italia-Francia (2-1) disputata a Mar del Plata; conquistato il posto di titolare, giocò tutte le partite della rassegna iridata, chiusa dagli Azzurri al quarto posto, venendo inoltre premiato dalla FIFA come miglior giovane dell’edizione.

File:Mondiali 1978 - Italia vs Argentina - Daniel Bertoni e Antonio Cabrini.jpg

Nella storia dei fatali e più sciagurati errori dagli 11 metri il suo nome non c’è: Antonio Cabrini ha sollevato la Coppa del Mondo al cielo e un po’ deve ringraziare Rossi, Tardelli e Altobelli.

Penultimo in classifica in Premier League, a meno cinque punti dalla salvezza e con un 2019 iniziato male, molto male con due sconfitte consecutive. Anzi tre se si considera il brutto ko in FA Cup, un 2-1 contro il Burnley, peraltro con due autoreti.

Il Fulham naviga in acque nerissime con i suoi 14 punti il 22 gare e rischia seriamente la retrocessione. Claudio Ranieri, subentrato a stagione in corsa, le sta provando tutte per risollevare le sorti del club londinese e per infondere un po’ di serenità tra calciatori, staff e tifosi. E l’idea di organizzare una seduta di yoga era sembrata anche un buono spunto per rianimare tutta la squadra…peccato che l’effetto è stato drammaticamente opposto.

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Sì perché, secondo i tabloid inglesi, ci sarebbe stato un acceso diverbio tra due giocatori (secondo altri sarebbero proprio arrivati alle mani con i compagni che hanno fatto fatica a dividerli): animi accesi e vecchie scorie che riguarderebbero Aleksandar Mitrovic e Aboubakar Kamara e che, a quanto pare, non sono riusciti a dimenticare il discusso episodio del “rigore conteso” contro l’Huddersfield.

Riavvolgiamo le lancette e andiamo all’ultimo match del 2018, sfida tra ultimi e penultimi. Nell’occasione, era lo scorso 29 dicembre, i due avevano litigato in modo acceso dopo l’assegnazione di un rigore a favore, sul risultato di 0-0, nei minuti finali della sfida. Kamara aveva strappato il pallone dalle mani di Mitrovic, rigorista designato da Ranieri, e come classico “instant karma” vuole, aveva fallito l’esecuzione dal dischetto. Ironia della sorte, per fortuna per il Fulham, i tre punti sono comunque arrivati, al 91’ proprio con Mitrovic, portando un sorriso nell’ambiente anche se Ranieri, parole detto dallo stesso allenatore, aveva detto: «in quel momento avrei voluto ammazzare Kamara».

Primo round, ops, primo episodio che si archivia in malo modo. C’è da aspettarsi un sequel?

Ragazzi, potremmo cimentarci con un’apertura epica per raccontare quello che è successo in una partita di quinta divisione inglese, ma ci limitiamo a dirvi: “This is football”. Conciso e diretto perché nella pantagruelica abbuffata di gol e di emozioni tra Chesterfield ed Ebbsfleet non trovano spazio altre parole.

Protagonista, anzi eroe per una notte è Will Evans, difensore di 27 anni del Chesterfield, squadra di National League che lotta per non retrocedere e che viene da un paio di sconfitte e due pareggi: a fine primo tempo i padroni di casa sono già sotto di tre reti a zero con doppietta di Michael Cheek, il bomber dell’Ebbsfleet. Ma qui comincia la rimonta assurda con Evans protagonista proprio nel finale: prima al 64′ Tom Denton segna l’1-3, poi Marc-Antoine Fortunè accorcia ulteriormente le distanze sul 2-3 all’83’.

Pazzo rush finale con il Chesterfield che si precipita furiosamente in avanti, i minuti di recupero scorrono inesorabilmente e si arriva allo scadere, 95’ quando Evans con un colpo di testa regala l’incredibile 3-3 alla squadra di casa. Tutto finito? Non scherziamo, Will ha “solo” pareggiato al termine di una rimonta assurda, ora ci vuole davvero il miracolo.

L’Ebbsfleet riprende ad attaccare e arriva dalle parti del portiere Callum Burton che, dopo aver fatto sua la palla, dà di matto e piazza un pugno a un avversario che lo sta contrastando. Tutto sotto gli occhi dell’arbitro che assegna il rigore ed espelle il portiere. Increduli tutti quelli dello staff del Chesterfield che ha, nel frattempo, utilizzato tutte le sostituzioni a disposizione.

Che si fa? Eccolo Evans infilarsi i guanti e sfidare a duello dagli 11 metri Michael Creek. Siamo al minuto 99, una partita infinita, rincorsa, tiro e calcio di rigore parato! Finisce 3-3.

Per il Chesterfield è solo un punto, certo, ma lo stesso Evans si augura che la rimonta così epica possa essere il punto di svolta per la squadra del paese del Derbyshire di poco più 100mila abitanti.

Se ne sono accorti tutti, più o meno, in presa diretta. Tranne uno, l’unico incaricato di decretare il penalty, l’arbitro Kassai. E così il rigore inesistente concesso al Manchester City, in Champions League, contro lo Shakhtar Donetsk ha fatto subito il giro della rete.

Minuto 24 del match del Gruppo F, fra inglesi e ucraini: Sterling si invola verso la porta difesa da Pyatov inseguito da Matviyenko che però non riesce a stargli tanto dietro. L’ex ala del Liverpool poco prima di calciare a rete, inciampa, colpisce una zolla di terreno con lo scarpino e cade a terra da solo, senza che il difensore numero 22, ben distante, lo tocchi. Non è simulazione, attenzione, perché l’attaccante di origini giamaicane si è evidentemente incartato goffamente, ma per l’arbitro Kassai non ci sono dubbi e, come se avesse i paraocchi, si dirige verso il dischetto senza accettare discussioni.

 

Gabriel Jesus ha poi trasformato il rigore, portando il Manchester City sul 2-0. Sterling, solo a fine partita, ha ammesso di non esser stato toccato, che però non lo assolve dalla mancanza di correttezza che di certo non gli fa onore. Così, subito dopo il triplice fischio finale che ha visto la squadra inglese vincere tranquillamente per 6-0, il tabloid The Sun ha pubblicato sul suo profilo Twitter la copertina della prima pagina. Una bella “X” rossa sopra al sei e in cinque accanto per far intendere il numero reale di gol segnati senza quella sceneggiata

 

Sull’episodio è intervenuto a fine partita ovviamente anche Guardiola, ammettendo che anche dalla panchina si erano resi conto che non fosse rigore e invocando nuovamente l’utilizzo del Var anche in Champions:

Ci siamo resi subito conto che non era un rigore. Ho detto molto tempo fa che gli arbitri devono essere aiutati. Vogliono fare una buona prestazione, non vogliono sbagliare, ma oggi il gioco è veloce e i giocatori sono più abili. Col Var sarebbero bastati 10 secondi per capire che non c’era il rigore

Chiesi a mio nonno è solo un sogno, mio nonno disse si

E’ una frase, estrapolata dal brano “Fiume Sand Creek” di Fabrizio De André, che fa venire la pelle d’oca, ma che smuove ancor di più l’animo se associata all’istantanea di un signore di 94 anni che sta per coronare il suo sogno.

Quel sogno si è concretizzato sabato 29 settembre, in una partita di quarta serie inglese, Notts County contro Crewe Alexandra. Durante l’intervallo un anziano tifoso abbondantemente oltre i 90 anni, che soffre di demenza ed è costretto a muoversi in carrozzella, è stato invitato in campo per calciare un rigore sotto la propria curva, quella della squadra con cui ha scelto di legarsi, da tifoso, per tutta la vita.

Nonno Roy si è tolto la coppola solo per calciare il penalty, la maglia è quella bianconera del Notts County, si avvicina alla palla e la calcia di punta. La traiettoria, lenta ed eterna, è quella giusta: angolino destro, portiere, ovviamente, spiazzato. E il pubblico trattiene il respiro prima di esplodere in un boato unisono; anche nonno Roy con il numero 94 sulle spalle, si lascia andare a un sussulto,  sorretto, mentre le gambe tremano.

Lui è la testimonianza quasi atemporale della fedeltà sportiva. Una fedeltà che a 94 anni può far ancora sognare ed emozionare.

 

Battere un rigore a tempo scaduto quando il risultato è ancora in bilico, è una di quelle responsabilità che solo i giocatori di personalità sanno assumersi. Ma se quel rigore vale un’intera stagione o il sogno di una vita, allora anche le gambe dei giocatori più esperti tremano, la loro vista vacilla, la loro mente prova a pensare ad altro. E le cose non vanno come devono andare.

Pensiamo a quanto accade allo stadio Riazor di La Coruña il 14 maggio 1994 nell’ultima giornata della Liga. Il Deportivo è ancora sullo 0-0 contro il Valencia, mentre il Barcellona dopo enormi sofferenze è avanti 5-2 contro il Siviglia: questo vorrebbe dire arrivo a pari punti e scudetto ai catalani per miglior differenza reti, nonostante il Superdepor sia in testa dalla 14° giornata.
Al minuto 89 il biancoblù Nando è messo giù da Serer e l’arbitro Lopez Nieto assegna l’indiscutibile penalty: il primo scudetto della storia dei galiziani è distante undici metri. Donato, il rigorista, è uscito, Bebeto non se la sente di tirare e allora sul dischetto si presenta il difensore Miroslav Ðukić che si sente in dover di prender la squadra per mano. Con i rigori, però, il serbo non ha molta familiarità e il suo tiro centrale e fiacco finisce nelle mani del portiere González che neanche volendo potrebbe mancare la presa. La Liga va ancora in Catalogna nell’incredulo silenzio del Riazor.

Un sogno che non si concretizza, come quello del Ghana ai Mondiali sudafricani, anche se in questo caso il sogno è molto più grande e sul dischetto ci va l’uomo giusto.

Quarti di finale tra Ghana e Uruguay. I 90′ regolamentari si sono chiusi sull’1-1 con un gol per tempo (Muntari e Forlan). Tutti si aspettano supplementari dominati dalla paura e in parte hanno ragione, solo che la squadra africana, forte di una maggiore freschezza atletica, nel finale pigia sull’acceleratore e sfiora il vantaggio. Al 120′ l’ultima occasione: sugli sviluppi di una punizione, a Muslera battuto, Suarez prima si oppone di piede a un tiro di Appiah da pochi passi, poi in tuffo para un colpo di testa di Adiyah. Rigore netto e Suarez espulso.

Sul dischetto va Asamoah Gyan, che ha già segnato il rigore vincente con la Serbia e il gol del 2-1 ai supplementari contro gli USA. Solo che la palla invece di finire in rete scheggia la traversa e vola fuori. L’arbitro fischia la fine e si va ai tiri dal dischetto: Gyan stavolta segna, ma la strada è ormai segnata perché Mensah e Adiyah sbagliano. El loco Abreu con un cucchiaio segna per gli uruguayani il rigore del 4-2 e l’Africa è ancora una volta fuori dalle semifinali.

E se invece come un sogno che sfugge di nuovo, la mancata vittoria fosse accolta dai tifosi come un dovere non compiuto? Beh, le conseguenze sarebbero imprevedibili come sa il buon Pierre Wome.

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Anche se i Mondiali di Russia 2018 sono ancora nella prima fase, regalano già sorprese interessanti e record che entrano negli annali di storia.

Se da una parte abbiamo Ronaldo che entra nella leggenda per il numero di reti, dall’altro abbiamo Yussuf Yurary Poulsen, giocatore danese, capace di provocare ben due rigori nelle due partite finora giocate dalla sua squadra.

Il primo episodio è legato al match Danimarca-Perù: qui in area di rigore regala a Cueva la possibilità di portarsi in vantaggio alla fine del primo tempo nella partita d’esordio per entrambe le nazionali. Il Perù sbaglia e Poulsen se la cava con una ramanzina.

Il secondo episodio, invece, avviene nella partita successiva, quando la nazionale danese si scontra con l’Australia. Stavolta il fallo di mano concede una chance di pareggiare all’avversaria, che non sbaglia il colpo e segna quella rete che poi ha determinato la parità a fine partita.

Risultato? Poulsen, che nel prossimo match in programma contro la Francia non sarà in campo, raggiunge un record che non veniva sfiorato dal lontano 1966, durante i Mondiali di Inghilterra. Da allora non era più capitato che uno stesso giocatore fosse capace di commettere più falli di rigore nella stessa edizione di Coppa del Mondo.

Ma è soprattutto un fattore che ha giocato a sfavore del giocatore danese e si chiama Var. I mondiali di calcio del 2018 hanno portato con sé questa grande innovazione tecnologica che permette di analizzare tutto quello che succede in campo nei dettagli.

Non sono, dunque, sfuggiti nemmeno i due falli di Poulsen in area di rigore e il calciatore deve fare i conti con la sua modalità di gioco che probabilmente richiede qualche revisione.

Avrà tempo di riflettere durante la pausa che lo vedrà in panchina per l’ultima partita di qualificazione e, in caso di passaggio turno, potrà farsi perdonare nei match successivi e regalare nuovamente emozioni come quando ha segnato il gol decisivo contro la nazionale peruviana.

Ben 51 anni fa nasceva, in una cittadina del profondo Veneto a due passi da Vicenza, quello che, a detta di molti, è stato il più cristallino talento che il nostro calcio abbia saputo plasmare nel Dopoguerra, un calciatore che con la sua eleganza di tocco e di movenze sapeva far apparire semplice anche il più complesso esercizio di tecnica, che ha saputo essere decisivo con il proprio club e con la Nazionale, riuscendo a raggiungere nel 1993 il massimo riconoscimento a cui un calciatore possa ambire: il Pallone d’Oro. Nasceva Roberto Baggio.

Le sue gesta sono state capaci di un unire forte un paese, l’Italia, sicuramente più propenso a dividersi nelle opinioni e nei comportamenti, dove si reputa forte chi critica più aspramente, chi si dimostra più sprezzante ed offensivo.Si può facilmente ammettere che Baggio sia stato l’idolo senza maglia.

Con Roberto Baggio tutto questo non era possibile: lui era il calcio, non potevi non amarlo. Al più, potevi sentirti tradito come da una compagna che ti ha lasciato senza apparente motivo ma a cui sei comunque legato, come accadde ai tifosi della Fiorentina quando, nella stagione 90/91, Roby passò alla corte dell’odiata Juventus di Gigi Maifredi per 16 miliardi di lire e il cartellino di un altro dei prospetti più interessanti del calcio di quegli anni, Renato Buso. A Firenze ci furono proteste di piazza contro la Presidenza Pontello e scontri che mai si erano visti per la cessione di un giocatore ma il troppo amore può portare anche a questo, ad andare oltre le righe.

Il suo nome è inscindibilmente legato a due eventi: la vittoria del Pallone d’Oro 1993 e il Mondiale di Usa ’94.

IL PALLONE D’ORO 1993

Il 1993 è un’annata dorata per il fenomeno di Caldogno: Baggio, nonostante la miriade di infortuni già patiti nel corso della sua giovane carriera, riesce infatti ad essere decisivo per la conquista della Coppa Uefa da parte della Juventus con tanto di doppietta nella finale di andata contro il Borussia Dortmund.
Quell’anno non ce n’è per nessuno: Roby vince il Pallone d’Oro davanti a Dennis Bergkamp e Eric Cantona, il Fifa World Player e l’Onze d’Or guadagnandosi un posto indelebile nella storia del calcio.

Ma il suo mito è sicuramente annodato alle sue clamorose prestazioni al mondiale americano dove risollevò dalle proprie ceneri un’intera Nazionale portandola ad un passo dalla più clamorosa delle vittorie Mondiali.

USA ‘94

 I mondiali di calcio, in quel ‘94 sarebbero stati disputati in America. Mossa, riuscita, voluta dalla Fifa per provare ad appassionare al “soccer” un popolo abituato a sport più sedentari come il baseball o il football americano.
La Nazionale di Sacchi arrivava negli States nell’occhio del ciclone della critica e con il morale sotto i tacchi dopo l’indimenticabile sconfitta 2-1 con il Pontedera in un’amichevole di preparazione, che aveva messo sulla graticola l’Arrigo nazionale e tutti i suoi fedelissimi.

E di certo i risultati del primo girone eliminatorio non autorizzavano a pensieri sereni visto che gli Azzurri superarono il turno per il rotto della cuffia come migliore terza grazie ad una sudatissima vittoria con la Norvegia, dopo una sconfitta con l’Eire e prima di un pareggio risicato (1-1 gol di Massaro) con il Messico.
Proprio contro i colossi scandinavi si assisteva al punto più basso della campagna statunitense di Baggio. Gli azzurri iniziano contratti e la Norvegia ci crede. Al 21’ Mussi sbaglia il fuorigioco, Leonhardsen si invola verso la porta e viene steso da Pagliuca: rosso inevitabile. Sacchi, preferendo la corsa di Signori alla creatività di Baggio, lo richiama in panchina.
Fortunatamente in squadra – guarda il caso – c’è un altro Baggio, Dino, che al 69’ trova la giusta incornata e scaccia l’incubo.

Agli ottavi c’è la Nigeria, squadra giovane e dinamica, che ha destato una grande impressione mettendo in mostra alcune perle assolute, come J.J. Okocha, Finidi George e Oliseh. Gli africani partono forte e vanno in vantaggio con Amunike, restiamo in 10 per il protagonismo del pessimo arbitro Brizio Carter e non ci sono scintille di reazione.

La partita sembra finita e sepolta, la Nazionale pronta alla giubilazione, all’esonero cruento Sacchi, alla decapitazione Matarrese. Sembra già tutto deciso, ma nessuno ha fatto i conti con due fattori che hanno poco di terreno: la Regola del 12 e un marziano di nome Roberto Baggio.
Mussi vince un rimpallo e fornisce a Baggio la palla della vita: Pareggio all’ultimo respiro. E’ qui che il “Divin codino” ci fa capire la sua grandezza: riesce a far sbottonare un rigido Sandro Ciotti che, durante la radiocronaca, esclamò un «Santo Dio, era ora!» che mette ancora i brividi.
Nei supplementari, Benarrivo si invola in area e viene steso: Roby insacca dal dischetto e portiamo a casa un’insperata qualificazione ai quarti.

Da quel momento in poi è storia nota: Roby si sblocca e, con prestazioni ai limiti dell’umano con Spagna (gol vittoria) e Bulgaria (doppietta d’autore), ci porta quasi da solo a Pasadena dove purtroppo il finale, al cospetto dell’eterno nemico Brasile, è quello che tutti ricordiamo. Davanti a Taffarel la tensione anestetizza Baresi, Massaro e proprio Baggio e la Coppa del Mondo va a Brasilia.

Ma tant’è: non è certo da un calcio di rigore che si giudica un giocatore. Baggio è stato la delizia degli allenatori che hanno avuto la fortuna di poterlo annoverare tra le fila delle loro squadre grazie al suo talento cristallino e alla sua capacità di determinare nei momenti decisivi. Qui sta la grandezza del calciatore. Certo, come tutti i geni, il suo temperamento era solo apparentemente remissivo, prova ne siano gli screzi avuti con Arrigo Sacchi e, ancor più, con Marcello Lippi, ma la sua professionalità e la sua dedizione alla causa sono sempre rimaste intatte. Qui sta la grandezza dell’uomo.

Roberto Baggio è stato una perla preziosa, una stella del firmamento calcistico.
A questo punto, che si può dire di fronte a un campione di queste dimensioni nel giorno del suo cinquantesimo compleanno? Forse la semplicità è la soluzione migliore: Buon compleanno Divin Codino. E grazie di tutto.

Passo importante e momento storico per il calcio italiano. Durante Juventus – Cagliari, anticipo della nuova stagione di Serie A 2017-2018, è stato assegnato il primo rigore nella storia del nostro campionato mediante l’utilizzo del Var Video Assistenza Arbitrale.
Al minuto 37 del primo tempo, infatti, l’arbitro Fabio Maresca ha fischiato il penalty contro i Campioni d’Italia per l’intervento di Alex Sandro sull’attaccante croato cagliaritano, Duje Cop.

 

 

Inizialmente l’arbitro non aveva giudicato falloso l’intervento in area, ma dopo aver parlato e discusso con i due arbitri addetti al Var, ha fatto dietrofront: è andato di persona a rivedere l’azione sul monitor della postazione di revisione a bordo campo e quindi ha dato l’ok per il calcio di rigore. Il tutto dopo 81 secondi e con la decisione accettata da tutti.

Sul dischetto si è presentato Diego Farias il cui tiro è stato neutralizzato da Buffon.