Jorge Lorenzo ammaina la bandiera, quella di ‘Lorenzo’s Land’, piantata per l’ultima volta nella sabbia del circuito Ricardo Tormo, proscenio del suo addio alle corse. Il motociclista maiorchino, 32 anni, si ritira: l’annuncio è arrivato in una conferenza stampa straordinaria convocata alla vigilia del weekend del Gp di Valencia che chiude il motomondiale 2019. «Questa sarà la mia ultima gara e poi lascio come pilota professionista, non è facile ma ho deciso così» .
Il pilota della Honda non ha nascosto l’emozione quando ha ricevuto la standing ovation della platea. «Le persone che hanno lavorato con me sanno che sono un perfezionista, con quanta passione ho sempre lavorato – ha sottolineato Lorenzo -, per questo dopo nove anni in Yamaha, che sono stati i più belli della mia carriera, ho sentito di aver bisogno di un cambiamento per avere nuove motivazioni, e sono passato in Ducati e ho raggiunto nuove vittorie. Poi ho firmato per la Honda, mi ha dato un’altra grande spinta, non ho potuto essere in condizioni fisiche normali per essere competitivo e poi la moto non era adatta al mio modo di correre».
Lorenzo, classe 1987, di Palma di Maiorca, ha esordito in 125 il 4 maggio del 2002 con il team Derbi, nel giorno del suo quindicesimo compleanno (età minima per gareggiare) e diventa il pilota più giovane di sempre in una gara del motomondiale. Il maiorchino ha vinto cinque Mondiali, i primi nel 2006 e nel 2007, in classe 250, con l’Aprilia. Poi nel 2010, nel 2012 e nel 2015 ha ripetuto l’exploit in MotoGP con la Yamaha. Proprio nella Yamaha, Lorenzo è stato compagno, ma anche e soprattutto rivale di Valentino Rossi.
«Dopo l’incidente brutto al Montmeló e poi l’altra caduta ad Assen con tutte le conseguenze, mentre rotolavo sull’asfalto pensavo ‘vabbè Jorge ne vale davvero la pena? dopo tutto quello che hai fatto, forse è ora di smettere’. Poi però ci ho pensato e ho continuato». Lorenzo, ha annunciato il Ceo della Dorna, Carmelo Ezpeleta, sarà ‘Motogp Legend’, entrerà nella Hall of fame riservata ai grandi campioni.
Sono 25 punti che sanno tanto, tantissimo di condanna. Marc Marquez trionfa nel Gran Premio di Aragon, davanti al pubblico connazionale, dopo tre gare di digiuno. E la sensazione è che questa zampata sia quella decisiva per il titolo mondiale: quando mancano cinque GP alla fine dell’anno, il 93 pilota della Honda ha 72 punti di vantaggio su Andrea Dovizioso (246 punti contro i 174).
Il forlivese della Ducati le ha provate tutte per stare davanti allo spagnolo, ma questa volta non ha potuto contare sull’aiuto di Lorenzo, finito a terra al primo giro prima ancora che la gara entrasse nel vivo: al via il maiorchino è andato largo in curva 1 ed è stato sbalzato in aria dalla sua Ducati piegata al limite. Brutta botta sull’asfalto e ritiro con vistosa andatura zoppicante.
A una decina di giri dalla fine, dopo una lunga fase di gestione, il forlivese e lo spagnolo cambiano passo e cominciano a duellare come forsennati, regalando al pubblico di Aragon un finale di gara da cuore in gola. Alla fine, però, è Marquez a trovare l’allungo decisivo e tagliare il traguardo per primo.
Sul podio festa per l’altro italiano, Andrea Iannone e la Suzuki, che ha piazzato Rins al quarto posto. Male ancora la Yamaha che ha piazzato Valentino Rossi e Maverick Viñales all’ottavo e al decimo posto. Sorride l’Aprilia con Aleix Espargaro al sesto posto. Il Dottore non nasconde la delusione (ennesima) di questa stagione fatta di ombre:
Al momento è questo il nostro potenziale. Considerando che sono caduti Lorenzo, Crutchlow e Bautista potevamo anche rimanere fuori dalla top 10. La moto è quella che è, la situazione è preoccupante. Oggi ci è arrivata davanti anche l’Aprilia. GP favorevoli da qui alla fine? Forse Motegi e Phillip Island, ma dubito saremo da podio
Thailandia, Giappone, Australia, Malesia e Valencia, classifica e incroci alla mano, Marc Marquez potrà festeggiare il suo quinto titolo iridato (sarebbe il terzo consecutivo dopo 2016 e 2017) in una di queste ultime cinque tappe che possono ancora regalare qualche interesse soprattutto per il secondo piazzamento: Andrea Dovizioso si trova a quota 174 punti, con 15 di vantaggio su Valentino Rossi, mentre Jorge Lorenzo, al secondo “zero” di fila, accusa 44 lunghezze di distacco.
Si conclude il MotoGp di Jerez con l’ennesima vittoria di Marc Marquez, in una gara che non è stata esente da colpi di scena. Primo fra tutti il clamoroso incidente che ha coinvolto addirittura tre piloti.
Lorenzo, Dovizioso e Pedrosa i protagonisti di una rocambolesca caduta che ha sicuramente influito anche sulla posizione finale degli altri partecipanti. A fare le spese dell’errore di Jorge Lorenzo, che ha poi coinvolto inevitabilmente gli altri due piloti, è soprattutto Dovizioso, che alle spalle di Marquez era il suo antagonista più temibile nella corsa al primo posto.
Marquez si gode, quindi, un’altra vittoria dopo il successo della tappa di Austin. Ma oltre alla delusione inevitabile di Dovizioso, sono i commenti di Valentino Rossi che concludono con l’amaro in bocca una corsa dove ognuno si aspettava qualcosa di più.
Peggio di quello che pensavo. Speravo di andare meglio. Il problema è che siamo contenti per questo quinto posto, ho fatto il massimo, rimanendo concentrato, ma se non c’era la tripla caduta era un ottavo posto e quindi la nostra situazione è critica. Da tanto tempo glielo dico, i nostri problemi sono abbastanza chiari, siamo lenti a reagire, continuerò a spingere e sperare perché se risolviamo qualche problemino possiamo essere più competitivi
Solo quinto il pilota della Yamaha che non riesce a nascondere l’amarezza di non riuscire ad ottenere grandi risultati a causa delle problematiche legate al suo team, che accusa di essere poco competitivo.
Di fatto, è evidente che al momento la Honda è molto più forte della Yamaha e non bastano le attitudini di Rossi per farcela a rimontare e conquistarsi almeno un posto sul podio. Così, la delusione diventa ancora più grande nel vedere proprio il suo più grande rivale, lo spagnolo Marquez, festeggiare un’altra vittoria e commentare così il suo primo posto:
Sono molto contento, è grandioso, e dire che non ero convintissimo di vincere prima del GP. Oggi sono stato attento e ho spinto sapendo che Dani era forse più forte di me. Ma questa è una gara lunga in cui bisogna mantenere l’attenzione fino alla fine. Ci voleva un risultato così in Spagna, il weekend è stato duro, non avevo molto feeling con la moto
Dopo di lui, al secondo posto si piazza Johan Zarco, che approfitta del fortuito incidente per balzare in avanti e regalare una parziale gioia al team della Yamaha.
Terzo ancora una volta Andrea Iannone, Suzuki, che, anche con qualche difficoltà tecnica durante la corsa, riesce comunque a salire sul podio.
22 aprile 2018, finale del torneo Masters 100 di Montecarlo: scendono in campo Rafael Nadal e Kei Nishikori per giocarsi il titolo. Una sfida importante ma che non dura molto e in soli due set, conclusi 6-3, 6-2 il maiorchino si conquista un posto nella storia del tennis festeggiando la sua undicesima vittoria a Montecarlo.
Un record che non ha eguali e che lo consacra come il più forte di tutti i tempi e non solo nel mondo del tennis. Il re della terra rossa, così come è stato battezzato dopo l’ennesimo successo, è riuscito a superare anche traguardi importanti come quello di Valentino Rossi, sbalzato dal trono per aver vinto “solo 10 volte” nei circuiti di Assen e Barcellona.
E guardando indietro ai più grandi sportivi che hanno ottenuto riconoscimenti simili è chiaro che al momento Rafael Nadal è in cima ad una sorta di classifica simbolica che lo vede l’unico ad aver avuto la meglio per undici volte nello stesso torneo.
Al secondo posto ecco Valentino Rossi, 10 volte campione in Olanda e in Spagna. Il dottore deve cedere il suo posto al tennista con il quale condivide anche il record di vittorie vinte nel torneo di Barcellona.
Al terzo posto troviamo il fantino inglese Lester Piggott, che nella sua carriera ha vinto 9 volte il derby di Epsom, sempre con cavalli diversi.
Per scoprire la posizione successiva ci spostiamo nel mondo dello sci, dove trionfa lo svedese Ingemar Stenmark con le sue 8 volte da campione a Madonna di Campiglio. Per lui 5 slalom e 3 giganti di Coppa del mondo.
Sono 8 anche i successi del grande Michael Schumacher nel Gp di Francia, che ha reso grande la Formula 1 prima di quel tragico incidente che ha messo in stand-by sia la sua vita che la sua carriera di pilota.
Subito dopo, a questa classifica si aggiunge un ciclista belga, Eddy Merckx, 7 volte vincitore nella Milano-Sanremo.
Chiude questa escalation di talenti sportivi il campione Ayrton Senna, per sei volte vincitore al Gp di Montecarlo.
Sette fuoriclasse che hanno fatto grande il loro sport e hanno saputo raddoppiare i loro successi nel tempo conquistandosi un posto nella storia. Al momento Nadal è il primo fra tutti ma non è ancora abbastanza e il tennista spagnolo, ritrovata la forza fisica e superati i problemi al ginocchio, è deciso a siglare un altro successo anche a Barcellona.
10 è il numero di vittorie che finora ha collezionato in questo torneo ma l’obiettivo è già fissato: riuscirà a entrare nella leggenda raggiungendo le 11 vittorie anche a Barcellona?
Appuntamento, quindi, per la grande finale dove quasi certamente il nome di Nadal figurerà ancora una volta per suggellare ancora il suo dominio sulla terra rossa.
Il MotoGp che si è disputato in Argentina sarà di certo ricordato per lungo tempo e non per le ottime prestazioni in pista dei piloti, ma per la paura e la tensione che si sono venute a creare a partire da 3 giri prima che si concludesse la gara.
Colpevole del caos di questa giornata di gara è stato Marc Marquez, che dopo alcune irregolarità già in partenza, ha scatenato polemiche e discussioni con il suo comportamento scorretto nei confronti del rivale Valentino Rossi, speronato dalla sua moto.
Per il pilota della Yamaha fortunatamente non c’è stata nessuna conseguenza fisica, ma una grande rabbia che non si è placata con la fine della gara. Anzi, ha assunto contorni ancora più tesi quando Marquez si è diretto verso il team di Rossi per porgere le sue scuse.
Respinto e mandato via con un secco “Non venire qui”, il pilota si allontana momentaneamente dall’occhio del ciclone ma deve fare i conti con un Valentino Rossi infuriato che si sfoga e fa anche accuse pesanti:
Sto bene, non mi sono fatto niente, però è una situazione secondo me molto pericolosa. Qualcuno deve fare qualcosa perché c’è da farsi male. Marquez non ha mai nessun tipo di rispetto per gli avversari, solo oggi è andato contro a quattro-cinque piloti diversi. Il problema è che Marquez è recidivo, corre così con tutti
Uno sfogo che non è dovuto solo a questo episodio recente, ma a tutti i trascorsi che hanno visto coinvolti Marquez e Rossi, in una rivalità che ora va oltre la semplice competizione:
Non mi sento protetto dalla direzione gara perché Márquez fa quello che vuole, onestamente, dovrebbe stare lontano da me e nemmeno guardarmi in faccia. È pericoloso, ho paura di stare in pista con lui. Il nostro non è uno sport di contatto, lui ha colpito tra la gamba e la moto per farmi cadere. Ho paura di correre con lui, distrugge il nostro sport
È dal Mondiale del 2015 che per i due piloti è cominciata una sorta di avversione che sembrava si fosse allentata con il tempo. Ora però la tregua è cessata e dopo l’ennesimo tentativo di boicottare Rossi, Marquez dovrà fare i conti sia con le accuse pensanti rivolte dal suo avversario che con le penalità per il suo comportamento e le possibili decisioni da parte della direzione.
E Marquez come risponde alle accuse? Ecco le sue dichiarazioni al termine della giornata:
Non ho fatto nessuna pazzia, nessuna manovra fuori dal normale: le condizioni della pista in quel punto erano critiche, ho preso una riga d’acqua, si è chiuso lo sterzo ed è successo quello. Mi sono subito scusato e l’ho fatto anche dopo, nel box: lui non le ha accettate, rispetto la sua scelta. Rispetto le sue dichiarazioni, ma io non ho mai fatto una cosa del genere volontariamente, in nessuna corsa della mia vita. Io so cosa è successo, sono focalizzato solamente su me stesso. L’errore con Rossi è stato determinato dalle condizioni della pista: questa è la verità
Al momento per lui solo 30 secondi di penalità per guida irresponsabile, ma la questione rimane aperta come la sua rivalità con il pilota della Yamaha e di certo non finirà qui.
La scomparsa di Marco Simoncelli ha segnato una pagina nera della storia dello sport italiano e del motociclismo mondiale.
A ricordare la tragica perdita del centauro romagnolo è Valentino Rossi, grande amico del Sic e che tuttora ne sente la mancanza sia dentro che soprattutto fuori dai circuiti.
La morte di Marco Simoncelli è stata una vera prova per il fuoriclasse di Tavullia, il quale, dopo il brutto incidente a Sepang in cui è costata la vita a Sic58, si è tormentato tanto specie per il fatto che lui stesso fu coinvolto in quel tragico incidente.
È stata una cosa devastante. Difficile da superare personalmente, ma non ho mai pensato di smettere. Mi è dispiaciuto però essere lì. Magari se fossi stato due moto più avanti sarebbe stato un po’ più facile, ecco. Però con il tempo passa tutto e quando penso al Sic ho solo ricordi positivi. Alla fine è andata così e non ci si può fare niente. Sono andato avanti per amore. Sennò avrei già smesso.
L’amore e la passione per le moto quindi hanno fatto sì che il 2011 non sia stato l’anno dell’addio alle corse. La voglia di riscattarsi dopo anni bui in Ducati e la perseveranza nel cercare di centrare uno storico decimo titolo mondiale sono ancora al centro della sua grande carriera, anche a 39 anni suonati.
E poi c’è il pensiero per Marco Simoncelli, i ricordi del tempo trascorso insieme.
Tra le immagini più belle che Valentino Rossi ricorda del Sic sono le tante risate e le abbuffate di cibo in cui Marco ne era il protagonista.
Eravamo molto amici, stavamo insieme quasi tutti i giorni, spesso dopo l’allenamento, andavamo a cena a casa di Carlo (Casabianca, il preparatore atletico ndr), con il Sic che portava il sushi e che ne mangiava il doppio di noi.
Dalle serie televisive al cinema, passando per musica e anche fumetti, il “crossover” è un espediente narrativo che consiste nell’unire o meglio nell’intrecciare diverse ambientazioni o personaggi in un’unica storia. Letteralmente “crossover” deriva dall’inglese “to cross over” ovvero passare dall’altra parte e questa indicazione ben si addice anche per i diversi sportivi che, nella loro carriera, hanno abbandonato lo sport con cui sono cresciuti e si sono affermati vincendo per provare a sfondare in altre competizioni.
L’ultimo in ordine di tempo è stato Gianmarco Tamberi, il primatista italiano di salto in alto che, il 23 settembre, si è tolto proprio un bello sfizio: lui, super appassionato di basket, ha giocato una partita versa a contatto con la Serie A. Infatti Gimbo è stato prima aggregato alla Soundreef Siena e poi è sceso sul parquet nei minuti conclusivi dei primi tre quarti contro The Flexx Pistoia, per il memorial Bertolazzi. Maglia numero 4 addosso per il marchigiano e il fascino di giocare con la Mens Sana, squadra di Serie A2. Del resto Gimbo ha più volte detto di sentirsi un cestista prestato al salto in alto…e qualcosa vorrà pur dire, lui che ha portato a casa un Mondiale indoor e un Europeo. Ma nessun tradimento: il basket per lui, al momento, resta una bella passione.
Nel recente passato anche un altro atleta ha avuto un serio tentennamento: Usain Bolt, che da anni sogna di giocare con la sua squadra del cuore, ovvero il Manchester United, si è allenato qualche giorno con il Borussia Dortmund. Dalla Premier League alla Bundesliga, soprattutto con la maglia dei gialloneri, il compromesso non è così malaccio. E come non ricordare la passione “rossa Ferrari” di Valentino Rossi? Il campione di MotoGp, ha dimostrato negli anni non solo di essere a suo agio in sella a una moto, ma di saperci fare anche all’interno di un abitacolo. Più volte ha partecipato a gare di rally, nel 2008, invece, fece qualche test alla guida della monoposto di Maranello e tutti i tifosi sognavano un suo passaggio nella scuderia Ferrari.
Danny Ainge è legato all’Nba, in particolar modo ai Boston Celtics. In questa franchigia a cavallo degli anni Ottanta ha vinto due anelli accanto a Larry Bird, mentre nel 2008 ha trionfato come general manager. Una grande giocatore di basket, ma a un bivio adolescenziale della sua vita, Danny poteva scegliere di essere ricordato anche in alti due sport: Ainge è, infatti, tuttora il primo e unico atleta dello sport americano a essere entrato nella miglior squadra di basket, football e baseball a livello di high school. Non solo: tra il 1979 e il 1981, prima di dedicarsi definitivamente alla palla a spicchi, ha giocato diverse partite coi Toronto Blue Jays, nella Mlb.
Non dimentichiamoci di Tim Wiese, ex-portierone del Werder Brema, classe 1981, che ha appeso i guanti al chioso per mettersi qualche kilo in più e provare l’adrenalina della carriera da wreslter. Soprannominato “The Machine”, Tim si è ritirato dal calcio nel 2014, poi si è dedicato al body-building e, 30 kg, è stato notato da Triple H, leggenda del wrestling, che l’ha introdotto alla Wwe. Ma Wiese, dopo tre anni di assenza per provare l’emozione del ring, è tornato brevemente a difendere la porta nelle file del Dillingen, squadra ultima in classifica nella sesta categoria tedesca.
E che dire di Alex Zanardi? Il simbolo del riscatto e della rinascita, un uomo e un atleta dal cuore d’oro che si è reinventato dopo il tremendo incidente che lo vide coinvolto nel settembre del 2001. Prima aveva partecipato a 44 Gp di Formula 1 e a diversi Cart; poi nell’handbike ha distrutto ogni record: quattro ori paralimpici e otto ori mondiali.
Sopra di tutti, però, c’è Jim Thorpe. Nato a Prague il 28 maggio 1887 e morto a Lomita il 28 marzo 1953), Jim è da considerarsi come un eclettico multiplista, giocatore di football americano e giocatore di baseball statunitense, fra i più versatili dello sport moderno. Vinse due ori olimpici nel pentathlon e nel decathlon, fu una stella del football americano a livello universitario e professionistico e giocò nella Mlb. Fu anche il primo presidente della Nfl, la lega di football americano. Ma con una beffa: i titoli olimpici gli furono ritirati proprio per aver giocato a baseball da professionista, ma gli vennero riconosciuti postumi dal Comitato olimpico internazionale solo il 18 gennaio 1983, quando avvenne la restituzione dei suddetti titoli ai figli dell’atleta oramai deceduto quasi 30 anni prima.
Abbiamo aperto con il basket e con il basket concludiamo citando l’esperienza, diciamo poco azzeccata e decisamente impropria, di Michael Jordan. Icona mondiale dello sport, celebrità nei Chicago Bulls, dopo tre anelli e tre titoli di Mvp, MJ decise di cambiare sport, ma non città: un anno e mezzo da dimenticare nel baseball coi Chicago White Sox. Poi nel marzo del 1995 ci ripensò, tornò a giocare a basket e i Bulls vinsero altri tre titoli Nba. Il resto è leggenda.
L’infortunio di Valentino Rossi che il 31 agosto, nel corso di un allenamento con una moto da enduro, si è procurato la frattura scomposta di tibia e perone, ci riporta in mente una carrellata di incidenti o anche “fuori programma”che vedono come protagonisti sportivi e atleti in contesti fuori dal loro ordinario. O per diletto impegnati in altri sport o durante momenti di svago o domestici. Alcuni hanno saltato il Mondiale di calcio, altri sono stati costretti a restare ai box per diversi mesi nella propria disciplina. In altri casi hanno avuto conseguenze drammaticamente gravi.
Chi l’ha detto che la poltrona è comoda e sicura?
Ironicamente chi passa ore e ore a oziare, afferma che è anche questo è uno sport. Beh, più o meno, il che implica anche il rischio infortuni. Il difensore inglese Rio Ferdinand si lesionò i legamenti del ginocchio semplicemente stando a casa perché si è alzato troppo velocemente dal divano. Non andò meglio al suo connazionale ed estremo difensore dei Tre Leoni, David James, che si procurò uno strappo alla schiena allungandosi, dal proprio sofà, per afferrare disperatamente il telecomando.
Disavventure Mondiali
L’edizione 2002 in Corea e Giappone ha visto trionfare il Brasile trascinato soprattutto da Ronaldo. Un top player che avrebbe fatto sicuramente comodo era Emerson, all’apice della sua carriera, convocato ma costretto a ritornare a casa e a vedere i suoi compagni esultare a causa di un infortunio in allenamento. Cosa c’è di strano? Beh il “Puma” si mise in porta per parare i tiri dei compagni, ma un tuffo gli fu fatale, visto che gli costò la lussazione della spalla. Altro infortunio assurdo, stesso Mondiale: Santiago Cañizares, istrionico portiere ossigenato del Valencia e della Nazionale spagnola, saltò la Coppa del Mondo dopo essersi lesionato un tendine delle dita del piede, tagliandosi con i cocci di un flacone di dopobarba caduto per terra.
E vi ricordate Pietro Anastasi? Saltò Mexico 1970 per uno scherzo davvero pesante e di cattivo giusto fatto all’interno dello spogliatoio: asciugamano dritto al ventre che gli provocò un doloroso rigonfiamento ai testicoli. E poi c’è Aksel Svindal, sciatore norvegese cinque volte campione del mondo e oro olimpico nel 2010. Il suo è uno dei “classici”: nel 2014, giocava a calcetto con amici dopo un allenamento e, a causo di uno scontro, si è rotto il tendine d’achille. Buona parte della stagione saltata e una convocazione al Mondiale Usa acciuffato in extremis, ma senza essere al top della forma.
Videogiochi che fanno male dal “vivo”
Qui entriamo in un campo pieno zeppo di mitologia e smentite. Il più classico che sa di leggenda metropolitana: Alessandro Nesta nel 2005 ha un polso sinistro che lo tormenta e lo costrinse all’operazione chirurgica. Ipotesi circolata spesso? Abuso di PlayStation con l’ex compagno di stanza Andrea Pirlo. Ma nessuno può raggiungere per nostalgia Lionel Simmons, giocatore di basket ed ala del Sacramento. Nel 1991, durante il boom del GameBoy della Nintendo, Simmons era talmente dipendente tanto da sviluppare una tendinite a polso e avambraccio.
Animali fatali
Partiamo sul soft. Darren Barnard, calciatore gallese ma nato in Germania, si fratturò un piede dopo esser scivolato in casa sulla pipì del cane. Ancora cane, ma qui è poco “fido”: il portiere Chic Brodie, icona del Brentford, nel 1970 fu attaccato da un cane feroce mentre era sul campo di gioco. Rottura dei legamenti e ritiro dal calcio. Ancora un’aggressione: Svein Grøndalen, stopper svedese fastidioso tra gli anni ’70 e ’80, era un grande appassionato di jogging. Un giorno, durante, un’uscita fu attaccato da un alce.
Ferrari…da schianto
Il fantasioso Ever Banega si infortunò mentre stava facendo il pieno alla sua Ferrari dal benzinaio perché non aveva tirato il freno a mano. Stesso bolide, forse ancor più da ridere. Alan Wright, centrocampista, si stirò la gamba per aver pigiato sull’acceleratore della fiammante rossa.
E poi c’è Darren Bent, calciatore rimasto fuori dai campi per otto settimane perché si era lacerato il tendine tagliando la cipolla oppure il grande poritere Alex Stepney che si slogò la mascella richiamando con grinta i compagni di squadra.
Perdere contro una persona che ti sta simpatica è un po’ meno duro, rende la cosa più dolce
La mente vola al 2006, Gran Premio di Valencia. Valentino Rossi, al tempo era sul sellino della Yamaha, aveva otto punti di vantaggio sullo statunitense Nicky Hayden, pilota Honda, prima dell’inizio dell’ultimo tracciato dell’anno. Inaspettatamente il Dottore andò giù lungo, fuori dalla pista, fuori dai sogni di alzare il titolo che passò nella mani del Kentucky Kid. Al termine, mentre il paddock era diviso tra euforia e disperazione, Rossi, ancora in pista, raggiunge Hayden che stringe la bandiera americana. Sotto i caschi e le visiere impermeabili agli sguardi il ragazzotto di Tavullia si sarà complimentato, sinceramente.
I due piloti hanno incrociato le loro moto e i loro destini in tante, entusiasmanti sfide, ma Valentino Rossi non dimentica la prima volta che l’ha visto:
Mi ricorderò sempre la prima volta in cui lo incontrai. Era arrivato dagli USA in Giappone e lo vidi alla stazione di Tokyo, era vestito ‘da americano’ e sembrava un pesce fuor d’acqua. Poi abbiamo passato tanto tempo insieme, era una persona simpatica a tutti, un vero figo
Un figo, ma anche un ragazzo semplice, genuino e che ti strappa un sorriso. Hayden, classe 1981, è morto dopo cinque giorni di coma, il 22 maggio dopo esser stato investito il 17 maggio mentre si stava allenando in bicicletta sulla strada provinciale Riccione-Tavoleto, non lontano da Misano Adriatico. E gli stessi abitanti, nel giorno in cui la salma del pilota tornava a casa, a Owensboro, hanno voluto rendere omaggio al numero 69, appoggiando la bandiera americana sulla Ducati guidata dall’australiano Troy Bayliss ed esposta al centro di una rotonda spartitraffico.
Un gesto sentito, spontaneo, come i tanti che hanno segnato il rapporto tra Rossi e Hayden. Le congratulazioni dell’italiano nel 2006 a Valencia, come visto, oppure sempre in Spagna, quando nel 2015, Rossi era uscito sconfitto dalla lotta per il titolo e Hayden era alla sua ultima gara in MotoGP con l’americano che si è avvicinato a consolarlo e a dargli forza.
Ma c’è un piccolo gesto che, rivisto oggi con questo video a rallentatore, mette un po’ di magone e lascia sospirare: nel 2012, durante il Gran Premio degli Stati Uniti d’America di Laguna Seca, Valentino Rossi, ritiratosi per una caduta, chiede un passaggio in moto proprio a Nicky che lo fa montare su prima di allontanarsi, assieme, salutando il pubblico di casa: