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Articolo tratto da Il Messaggero

Don Tancredi Ricca, cappellano della Basilica di Superga, stava nella sua stanza al primo piano leggendo il suo libro delle preghiere. “Alle cinque in punto della sera”, giacché quella era l’ora. L’ora in cui quindici anni prima il piccolo toro Granadino aveva incornato il grande torero Ignacio Sanchez Meijas a Manzanares, e il poeta Federico Garcia Lorca aveva scritto l’indimenticabile “lamento”.

Forse anche i 31 uomini, passeggeri ed equipaggio, che volavano sul Fiat G-212 della Ali (Avio Linee Italiane), sigla I-ELCE, sballottati dai venti in quota, il resto del cielo e della terra nascosto dalla nebbia e dalla pioggia, tanto che pur essendo il 4 maggio sembrava una notte d’inverno piemontese, recitavano le preghiere che avevano imparato da bambini. E forse anche il pilota che era ai comandi, pur avendone vissute già d’ogni tipo e d’ogni paura, giacché nel corso della Seconda Guerra Mondiale aveva gonfiato il petto a cinque medaglie al valore, pregava.
Che macabro destino per il Toro: «Quota duemila metri, qdm su Pino, poi tagliamo su Superga» furono le ultime parole che Pierluigi Meroni pilota trasmise alla torre di controllo. Erano le 17.02 di mercoledì 4 maggio 1949 e da allora sono trascorsi settant’anni esatti.

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Don Tancredi sentì solo il rombo dell’aereo che s’avvicinava: non ci fece quasi caso, ne passavano tanti su quella rotta. Anche Amilcare Rocco, muratore che abitava a pochi passi dalla Basilica, sentì quel rumore: il solito, pensò. Ma si fece sempre più assordante. E finì con un tonfo e un boato. Amilcare uscì di casa, si mise a correre insieme con qualche contadino che era già per strada, diretto verso il fuoco che veniva da dietro la Basilica. Quando arrivarono al bastione, videro la carlinga di un aereo infilzata nel muro. Don Tancredi era già lì che s’aggirava fra i resti. «Le maglie del Torino, le maglie del Torino» urlò uno, tirando su gli indumenti granata con cucito lo scudetto. Perché su quell’aereo che la mattina era decollato da Lisbona, dopo un’amichevole contro il Benfica per l’addio del capitano Francisco Ferreira, viaggiava il Grande Torino.

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Ce n’erano di quelli della squadra o dintorni che erano divenuti leggenda che per le solite fortuite casualità del Destino erano rimasti a casa: il secondo portiere Gandolfi, che aveva dovuto lasciare il posto al terzo numero uno, Dario Ballarin, probabilmente raccomandato per un viaggio premio dal fratello Aldo; il radiocronista storico Nicolò Carosio, impegnato con la Cresima del figlio; il presidente Ferruccio Novo, a letto con l’influenza; il ragazzo Primavera Luigi Giuliano che non riuscì ad ottenere per tempo il passaporto, come un disguido burocratico tenne a Roma l’invitato Tommaso Maestrelli, l’inventore poi del primo scudetto della Lazio: era in predicato di passare al Torino la stagione successiva ed era stato Valentino Mazzola a volerlo per Lisbona. Ma c’erano tutti quelli che l’Italia amava in blocco, e non perché fossero tutti torinisti i tifosi, ma perché loro erano tutti azzurri (anche 10 su 11 in campo) e perché giocavano un calcio insieme straordinario e vincente. Dal ’43 al ’49 vinsero sempre lo scudetto. Storia di altri tempi, anche loro farebbero fatica a trovare il consenso spontaneo e sincero di allora (un milione di persone al funerale), in un calcio, quello attuale, che si divide per ogni cosa.

Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola: era la formazione. Settant’anni fa non c’era la “rosa” e gli undici erano undici e s’imparavano a memoria, come le poesie di Carducci, Pascoli o Leopardi. Oggi molti di quei cognomi sono i nomi degli stadi dei loro luoghi natali, che così li onorano e ricordano. Bacigalupo parava anche i rigori, pure se il primo gol che prese in serie A fu su penalty, ma lo tirava Silvio Piola; avevano i loro nomignoli: c’era il “Trio Nizza”, i tre che dividevano l’appartamento in via Nizza; c’era il “cit”, il più piccolo (Maroso), c’era il “Barone” (Gabetto, il più elegante: mai un capello fuori posto). Valentino Mazzola, il più celebre e celebrato (c’è chi pensa che sia stato il miglior calciatore italiano di sempre, certo il più completo: una volta che sostituì in porta nei minuti finali l’espulso Bacigalupo, salvò il 2 a 1 contro il Genoa), è diventato lui stesso un “nomignolo”: José Altafini, in Brasile, lo chiamarono Mazzola per via di Valentino.

 

Lui da ragazzo lo chiamavano “Tulen”, barattolo in dialetto, perché faceva tutta la strada da casa al lavoro e viceversa calciando una lattina vuota: per questo imparò a farlo di destro e di sinistro, tanto che, diceva Boniperti, «non puoi dire se fosse destro o mancino». Arrivarono a Superga, altezza 600 metri, Meroni ci finì dentro giacché la strumentazione di bordo s’era bloccata sulla quota 2000, vigili del fuoco, ambulanze e popolo. Popolo d’ogni maglia. Arrivò anche l’ex commissario tecnico Vittorio Pozzo che dovette riconoscere i poveri corpi: da una cravatta, da un orologio, da un piede. Nel silenzio, la gente guardava la carlinga, l’ultimo pneumatico che bruciava, la chioma bianca di Pozzo. Lui si sentì toccare la spalla da un gigante in impermeabile bianco lungo fino alle caviglie. Il ragazzo aveva gli occhi rossi e disse soltanto «Your boys», «i tuoi ragazzi». Era John Hansen, danese che giocava nella Juve. Non ci fu maglia né tifo che tenesse, alle cinque in punto nella sera o poco dopo. Don Tancredi Ricca ora pregava e benediceva.

…Li faccio sognare, in balia del mio spirito innocente, li stupisco sempre sono un giocoliere, li faccio godere geniale, anarchico e irriverente, tutti battono le mani, si alzano improvvisamente, per non perdere di vista la palla avvelenata che sembra impazzire innamorata, quando sulla fascia vola la Farfalla Indiavolata…

“Chi si ricorda di Gigi Meroni?” Questo è il titolo della canzone dalla quale sono tratte le parole. Come rispondere a tale domanda? Genio, giocoliere, funambolico, irriverente, anarchico…tanti aggettivi che dipingono Luigi “Gigi” Meroni, tra i più geniali calciatori italiani degli anni Sessanta, sciaguratamente scomparso, a Torino, all’età di 24 anni il 15 ottobre 1967.
In carriera ha indossato le maglie del Como (25 presenze e 3 gol), del Genoa (40 presenze con 6 reti) e del Torino di Nereo Rocco, collezionando con i granata 103 presenze e  22 gol.

In Nazionale fu convocato per la prima volta nel 1965 in occasione della partita di qualificazione con la Polonia.  Partecipò alla sfortunata spedizione guidata dal commissario tecnico Edmondo Fabbri ai Mondiali di Inghilterra del 1966, culminata con l’incredibile sconfitta contro la Corea del Nord per 0-1 e l’eliminazione al primo turno. Per le continue divergenze con il tecnico, Meroni giocò solo la seconda partita contro l’Unione Sovietica.

Un ragazzo straordinario nell’accezione che troviamo sui dizionari: “fuori dall’ordinario”, fuori dagli schemi tradizionali. E allora anche questo pezzo farà altrettanto, raccontando Gigi attraverso un elenco, in ordine alfabetico, di quegli aspetti che lo hanno reso indimenticabile.

ARTISTA

Molto spesso snaturata dall’utilizzo (alle volte improprio) del mondo pallonaro, questa parola sottolinea la bellezza e l’eleganza espressa da un calciatore. Lui, Gigi, era certamente bello ed elegante sul terreno verde di gioco, ma aveva passioni un po’ naif o forse semplicemente strambe, da renderlo artista anche fuori dal campo di calcio.
Nella fredda città piemontese, infatti, trovava calore e conforto dipingendo: gli piaceva l’arte e la pittura, un passatempo che si portava dietro sin da quando era ragazzino e che il successo non affievolì. Da giovane lavorò anche come disegnatore di cravatte di seta, un mestiere che gli piacque e che perfezionò fino ad arrivare a disegnare i propri abiti. Creava il modello, sceglieva lui la stoffa ed affidava tutto al sarto.

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ANTICONFORMISTA

Era un ventenne e come ogni ragazzino che si affaccia all’età adulta era infiammato da una ribellione adolescenziale. Ma era una ribellione positiva: rispettoso delle regole, mai fuori dalle righe, non pensava minimamente a cambiare il mondo, ma di fatto, il suo modo di vivere stravagante o semplicemente da ventenne un po’ guascone, destabilizzò l’Italia bigotta. Era un mezzo scapigliato (giusto per rimanere in tema d’arte). Calzini abbassati e maglia da fuori; prima i baffetti, poi capelli portati più lunghi e poi la barba.
«Se vai dal parrucchiere, potrai andare in Nazionale», roba da ridere a pensarlo oggi, eppure il concetto era questo. Accettò dinanzi alla possibilità di perdere il treno azzurro, poi divenuto famoso ed idolo di molti ragazzi che lo emulavano, l’allenatore dell’Italia dovette chiudere più di un occhio. Erano gli anni dei Beatles, ed un po’ ci somigliava: facile e scontato il soprannome. In Inghilterra c’era George Best definito il “quinto Beatle”, da noi Meroni era semplicemente il “Beatle italiano”. Viva la fantasia…

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BALILLA

L’elegante vecchia Fiat Balilla. La “sua” macchina che lo distingueva dalla massa. Gli altri in giro con le nuove Fiat, lui si riconosceva in quella, elegantemente nera.

CRISTIANA

Lui l’artista, lei la sua musa ispiratrice. «La bella tra le belle al Luna Park» (sempre nella canzone), nipote del giostraio del parco giochi di Genova, dove Gigi la vide e decise di non farla uscire più dalla sua vita. Era innamorato, tantissimo, al punto tale da fare avanti e dietro tra Genova e Milano (dove viveva lei) e non riposare. Dinanzi al lei, per lei, tutto il resto scivolava in secondo piano.
Il biondo dei suoi capelli, rendevano grigio tutto ciò che li circondava. Fece un patto con il Genoa quando era in odor di convocazione della Nazionale B. Disse:

Gioco, vi faccio rimanere in Serie B, ma prima della fine del match, fasciatemi la gamba così non vado in ritiro

Come andò a finire? Due gol di Meroni, Genoa ancora in B ed un gesso applicato alla gamba “solo” per stare un paio di giorni con Cristiana che era scesa.
Sfidò, anzi, ignorò il sistema prevenuto e chiacchierone che, soprattutto quando viveva a Torino, mal digeriva il rapporto tra un calciatore, così in vista, ed un ragazza, separata, che aveva avuto alle spalle una precedente relazione. Ma lui andava oltre.

 

DERBY

Quello della Mole Antonelliana, quello più amaro perché lui ormai non c’era più. Lo si giocò appena dopo una settimana dal tragico incidente in una atmosfera surreale: entrambe le tifoserie in silenzio mentre assistevano alla caduta di alcuni fiori, lanciati da un elicottero, che vennero poi posati lungo tutta la fascia destra, la sua “zona di competenza”. Dopo il match con la Sampdoria, nella quale Nestor Combin segnò una tripletta, Meroni (così riferisce Combin stesso) disse all’attaccante che anche contro la Juventus avrebbe segnato tre gol.
Combin, volle giocare a tutti i costi quella partita, nonostante un attacco febbrile. Andò in rete per tre volte nel 4-0 finale con il quale i granata sconfissero la Vecchia Signora. Ironia (c’è sempre lei di mezzo), fu la prima stracittadina vinta dopo sette partite, la prima senza Gigi che mai riuscì ad esultare contro i cugini rivali.

 

ESTERNO DESTRO

Alla domanda «preferisci entrare in porta con il pallone o magari fare il regista a centrocampo?» Gigi rispose che per lui era importante fare gol, senza dribblare tutti.
Mentiva: era un’ala destra estrosa capace di dribbling ubriacanti e di invenzioni geniali, veloce, guizzante, una “farfalla” come venne definito in sporadiche occasioni. Ma era un genio imprevedibile che seguiva il suo istinto e come tale non poteva essere imprigionato in uno schema specifico. A lui, infatti, era permesso anche accentrarsi in mezzo al campo per dar pieno sfogo alla suo essere estroso.

 

GALLINA

Se gli altri vanno in giro con i cani, perché io non posso andare a spasso con una gallina?

Nulla da obiettare. Guinzaglio al collo, portava in giro la sua fida amica, gelosa di Cristiana al punto da beccarla, ma si dimostrava calma e pacata con Gigi. E se ne andava in giro a Torino, mica un paesino sperduto delle Alpi…

 

FOLLE

Dopo quanto detto c’è da aggiungere altro?

 

INTER

O meglio la “Grande Inter” di Helenio Herrera, quella che nel 1967 dopo tre anni di imbattibilità in casa, capitolò a San Siro proprio per via di un gol di Meroni. Fu una partita frizzante per l’ala destra del Torino, che si muoveva leggero e che si difendeva coi denti contro Facchetti, ma a sgusciare era sempre lui. Imprevedibile come quando, appena dentro l’area, segnò un gol con un tocco morbido a giro che si insaccò sul lato sinistro della porta. La fotografia che rappresenta, forse, il punto più alto della carriera di un ragazzo che doveva ancora sbocciare. Una partita giocata con l’animo sereno di chi la notte precedente non dormì, ma aspettò sotto la pioggia la sua dolce amata per riappacificarsi dopo un litigio.

 

INSURREZIONE POPOLARE

Dopo il goal a San Siro, gli occhi di tutti vanno su quel ragazzino con la maglia granata ed il numero 7. Due occhi, però, sono i più temuti: quelli di Gianni Agnelli, presidente della Juventus. Allora era difficile dire di no al presidente bianconero e lui voleva Meroni a tal punto da offrire al presidente del Toro, Orfeo Pianelli, una cifra superiore ai 700 milioni di lire. Appena questa voce circolò tra le vie della città piemontese, una folla di tifosi granata protestò contro questa possibile cessione che di fatto, ufficialmente (ma c’è da credere il contrario) non fu mai presa minimamente in considerazione.

 

MORTE

Come definirla?Fatalità?Evento nefasto? La sera del 15 ottobre 1967, dopo aver giocato e battuto la Sampdoria per 4-2, Meroni e Poletti uscirono assieme per incontrare le rispettive fidanzate e mentre attraversarono corso Re Umberto, a pochi passi dalla casa di Gigi e vicino allo stadio Comunale, una macchina sfiorò Poletti, colpendo alla gamba sinistra Meroni che venne scaraventato al centro della strada e colpito a morte da una macchina che proveniva in senso opposto.
Una tragica morte accentuata dal sapore di beffa e di ironia. Ci si domanda se c’è qualcuno (lassù, laggiù, a destra o a sinistra..fate un po’ voi) che si diverte a giocare intrecciando destini. Alla guida dalla prima auto, quella che lo colpì alla gamba, c’era Attilio Romero, studente e tifoso granata che sul cruscotto aveva la foto del suo idolo del cuore, Gigi Meroni, e che prese parte nei “moti” derivati dalla possibile cessione del numero 7 alla Juve. Trentatré anni dopo, lo stesso Romero diventerà presidente del Torino.

Aldo Agroppi, non può dimenticare quel 15 ottobre 1967:

Gioia per l’esordio in A e dolore alla notizia dell’incidente. Dopo le partite Fabbri ci voleva in ritiro per evitare che andassimo in discoteca. Quel pomeriggio vincemmo e insistemmo tanto che il mister ci lasciò liberi. Avessimo perso, Gigi non sarebbe stato investito

Quella maledetta vittoria. Aveva 24 anni e lui che amava la pittura, stava dipingendo un quadro, un ritratto della sua Cristiana. Ci provava e riprovava, ma non riusciva a dipingere gli occhi: voleva rendere perfetto lo sguardo di una ragazza innamorata. E’ rimasto un quadro incompiuto, come la vita di un ragazzo che (trovando positiva risposta alla domanda di apertura) non verrà mai dimenticato.

L’amichevole Genoa-Rappresentanza Torino è considerata da molti come la prima partita di calcio in Italia tra giocatori di squadre diverse. In realtà, tale definizione non tiene conto di vari incontri svoltisi precedentemente, come i match dei campionati di calcio 1896 e 1897 patrocinati dalla Federginnastica e amichevoli varie tra cui una partita disputatasi nel 1894 ad Alessandria fra una compagine locale e il Genoa, la sfida del 18 settembre 1895 tenutasi a Roma fra la Società Udinese di Ginnastica e Scherma e la Società Rodigina di Ginnastica Unione e Forza e un triangolare del 1º novembre 1897 fra Ginnastica Torino, Torinese e Internazionale Torino.

Negli anni precedenti il football era dunque  sì arrivato in Italia, ma oltre a questi incontri era principalmente confinato nella dimensione di passatempo per marinai inglesi a Genova, ai quali ogni tanto si univa qualche giovane di buona famiglia e qualche curioso, e a diletto per ricchi a Torino.  Ma la mattina dell’Epifania del 1898 tutto stava per cambiare sul campo sportivo di Ponte Carrega a Genova, anche se in pochi allora potevano sospettarlo vedendo scendere dalle carrozze una decina di distinti uomini vestiti da “footballers“.

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Una nevicata impedisce la trasferta dei genovesi a Torino a fine 1897 e così l’amichevole si gioca il 6 gennaio 1898 sulle rive del Bisagno, sul terreno da gioco ricavato all’interno del velodromo. È il primo giorno di scuola per quella che pian piano diventerà la Serie A. La sfida vede il Genoa scontrarsi con una selezione formata da calciatori dell’Internazionale Torino e del Football Club Torinese, a cui si unì il genoano Fausto Ghigliotti, spiega Calcio Romantico, perché gli avversari si sono presentati in dieci per il forfait all’ultimo di Weber.  Venne designato come arbitro il reverendo Richard L. Douglas alla presenza di 154 spettatori paganti e di 208 totali.

Come racconta “l’Uomo nel pallone”, alle due e mezza del pomeriggio la sfida iniziò, e i piemontesi si portarono poco dopo in vantaggio con il gol che sarebbe poi risultato decisivo: a realizzarlo il Marchese John Savage, “Jim” per gli amici, in patria mediocre comparsa in un football già avviato verso il professionismo ma in Italia capace di fare la differenza così come i connazionali presenti sul campo tra compagni di squadra e avversari. Savage avrebbe in seguito militato per due anni nella Juventus, diventandone il primo straniero nonché il fautore della scelta dei colori bianconeri, mutuati da quelli del Notts County dove aveva militato in gioventù e dove aveva amici che gli avevano spedito un set di maglie per la neonata compagine torinese.

La passata stagione i due derby di Torino furono firmati da Cristiano Ronaldo. Nella stracittadina del girone d’andata l’attaccante portoghese marcò su rigore (e arrivarono i tre punti), in quella del girone di ritorno con un colpo di testa (fondamentale nel pareggio per 1-1).

Dando uno sguardo alla prima stagione in bianconero di CR7 scopriamo che sono davvero poche le squadre cui il cinque volte “Pallone d’Oro” ha marcato nei due match di campionato: Sassuolo, Frosinone e, per l’appunto, il Torino. I ciociari quest’anno disputano la cadetteria. Gli emiliani arriveranno alla 14esima giornata. Così i granata potrebbero essere la prima squadra ad essere perforata per 3 scontri diretti di Serie A senza soluzione di continuità. Il bilancio dei 74 precedenti sorride alla Vecchia Signora, avanti per numero di vittorie 32-19 e gol marcati 102-76. Mentre i segni X ammontano a 23.

Dopo il successo del Torino nel 2014/2015, la Juventus ha ripeso a macinare affermazioni, mettendo in mostra un poker. Non solo. Negli ultimi 2 testa a testa ha mantenuto la porta inviolata e così l’ultimo granata a marcare un gol risulta Belotti nel 2016/2017. Da allora, senza conteggiare eventuali recuperi, i minuti di digiuno hanno raggiunto quota 254.

CONFRONTI DIRETTI TORINO-JUVENTUS (SERIE A)*

74 incontri disputati
19 (13) vittorie Torino
23 (41) pareggi
32 (20) vittorie Juventus
76 (33) gol fatti Torino
102 (40) gol fatti Juventus

ULTIME 5 SFIDE TORINO-JUVENTUS (SERIE A)

2014/2015, 32° giornata, Torino-Juventus 2-1
2015/2016, 30° giornata, Torino-Juventus 1-4
2016/2017, 16° giornata, Torino-Juventus 1-3
2017/2018, 25° giornata, Torino-Juventus 0-1
2018/2019, 16° giornata, Torino-Juventus 0-1

RISULTATI PIU’ RICORRENTI IN SERIE A AL TERMINE DEI TORINO-JUVENTUS

0-1 comparso per 12 volte, l’ultima nel 2018/2019 (Ronaldo rig. 70’)
0-0 comparso per 12 volte, l’ultima nel 1999/2000
2-1 comparso per 8 volte, l’ultima nel 2014/2015 (Pirlo 35’ – Darmian 45’ – Quagliarella 57’)

* Fra parentesi i dati dei precedenti Torino-Juventus in Serie A dopo la prima frazione di gioco

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E’ il primo derby della Mole per Maurizio Sarri. Il tecnico che, come Walter Mazzarri, ha un passato nel Napoli ha già sfidato il Torino per 10 volte in campionato. L’esordio fu traumatico: KO nella cadetteria 2005/2006 alla guida del Pescara (0-2). Quindi ecco 9 incroci a punti: 8 in Serie A (fra Empoli e Napoli) più 1 in B (ancora Pescara). L’ultimo testa a testa ha coinciso col primo e unico scontro diretto con Mazzarri: 2-2 alla 36esima giornata 2017/2018 in occasione di Napoli-Torino.

Molte di più, com’era prevedibile, le sfide fra l’attuale tecnico dei granata e la Vecchia Signora: ben 21, tutte nel principale torneo italiano (con Reggina, Sampdoria, Napoli, Inter e, dal 2017/2018, Torino). Il bilancio che ne emerge sorride alla Juventus. Non solo. Mazzarri non riesce a conquistare i tre punti tutti assieme dai tempi del Napoli: stagione 2010/2011, 3-0 alla 19esima giornata. Poi si sono succeduti in ordine sparso 5 segni x e 5 sconfitte.

Terminiamo segnalando che sul prato dell’Olimpico-Grande Torino i due tecnici porteranno ben 613 caps di Serie A. Il padrone di casa ne vanta, infatti, 451. L’ospite un bel po’ di meno, ma comunque sempre 162. Numeri che la dicono lunga sulle carriere fin qui portate avanti da Mazzarri e Sarri.

TUTTI I PRECEDENTI FRA MAZZARRI E SARRI IN CAMPIONATO

0 vittorie Mazzarri
1 pareggio
0 vittorie Sarri
2 gol fatti squadre di Mazzarri
2 gol fatti squadre di Sarri

TUTTI I PRECEDENTI FRA MAZZARRI E LA JUVENTUS IN CAMPIONATO

4 vittorie Mazzarri
9 pareggi
8 vittorie Juventus
24 gol fatti squadre di Mazzarri
30 gol fatti Juventus

TUTTI I PRECEDENTI FRA SARRI E IL TORINO IN CAMPIONATO

6 vittorie Sarri
3 pareggi
1 vittoria Torino
21 gol fatti squadre di Sarri
11 gol fatti Torino

I NUMERI DI MAZZARRI IN SERIE A

451 panchine
180 vittorie
142 pareggi
129 sconfitte
322 gare a punti

I NUMERI DI SARRI IN SERIE A

162 panchine
95 vittorie
42 pareggi
25 sconfitte
137 gare a punti

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Daniele Doveri terzo arbitraggio col Torino in stagione

Daniele Doveri, della Sezione AIA di Roma 1, sembra abbonato al Torino in questa stagione. Dopo aver diretto la vittoria per 3-2 alla seconda giornata in trasferta a Bergamo e il pareggio ad occhiali, vale a dire 0-0, fra le mura di casa contro il Torino, è stato designato anche per il prossimo derby della Mole.

E pensare che prima di questa stagione gli ultimi 3 incroci erano stati tutti in trasferta. Nel 2017/2018 c’era stato Napoli-Torino 2-2 (match che ha ospitato il primo e per ora unico scontro diretto in Serie A fra Maurizio Sarri e Walter Mazzarri). L’anno scorso Parma-Torino 0-0 e Genoa-Torino 0-1.

In totale i numeri del fischietto romano con i piemontesi sono in equilibrio. Ma se analizziamo i dati interni, la lancetta volge sul rosso. E i numeri peggiorano se prendiamo in considerazione solo gli incroci di Serie A, perché Doveri vanta 3 arbitraggi col Torino in campo anche in cadetteria. Dai match casalinghi nel massimo torneo arrivano, difatti, zero successi, 4 segni X, 1 sconfitta con 4 gol marcati e ben 5 incassati.

E’ un percorso quasi netto, al contrario, quello che può mettere in mostra la Vecchia Signora in trasferta e con Doveri in campo. Su 7 impegni ha lasciato per strada solo 5 punti. Ciò per via del 2-2 in Hellas Verona-Juventus del 2013/2014 e dello Spal-Juventus 2-1 del 2018/2019. A proposito, l’ultimo match citato coincide anche con l’ultima volta che Doveri ha fischiato con i bianconeri in campo.

Concludiamo segnalando che per Doveri la stracittadina di Torino coinciderà con la caps numero 150 nella Serie A. Ad oggi il suo score racconta di 67 vittorie per chi era in casa, 44 pareggi, 38 successi per chi si esibiva in trasferta.

TUTTI I PRECEDENTI FRA DOVERI E IL TORINO IN CAMPIONATO*

4 (1) vittorie Torino
6 (4) pareggi
4 (2) sconfitte
20 (7) gol fatti Torino
21 (8) gol subiti

TUTTI I PRECEDENTI FRA DOVERI E LA JUVENTUS IN CAMPIONATO**

8 (5) vittorie Juventus
2 (1) pareggi
1 (1) sconfitta
25 (19) gol fatti Juventus
9 (8) gol subiti

* Fra parentesi i numeri degli incontri casalinghi.

** Fra parentesi i numeri degli incontri esterni.

Tra i 34 precedenti, tutti in Serie A, l’Udinese ha realizzato 49 gol contro il Torino. Nella sfida dell’ottava giornata di Serie A, dunque, i bianconeri sono alla ricerca della rete numero 50 contro i granata.

Posticipo di “riscatto” quello che chiude la 5^ giornata di Serie A. Torino e Milan, entrambe sconfitte nell’ultimo turno, provano a risollevarsi e a trovare il giusto equilibrio in campionato. Le statistiche dicono che in casa dei Granata è, però, il pareggio il risultato più ricorrente: per 14 volte la sfida è finita 1-1, l’ultimo nel 2017-2018 con le reti di Bonaventura e De Silvestri.

Sono trascorsi oltre 70 anni da quel lontano 4 maggio 1949 che ha cambiato la storia del calcio italiano e ha stravolto la città di Torino e la squadra granata.

Ma nessuno vuole dimenticare la strage di Superga e cosa rappresenta per tutti gli appassionati del pallone.

Oltre alle persone ci sono società che non dimenticano, come il River Plate. Sin dal 1949 i Millionarios e i granata hanno sugellato un legame fortissimo, iniziato proprio subito dopo l’incidente aereo in cui morirono tutti i calciatori della società torinese.

Per la prossima stagione il club campione della Libertadores ha voluto omaggiare questa lunga amicizia con una nuova maglia dal colore granata, con l’hashtag Eterna Amistad #EternaAmicizia e con un piccolo toro sui numeri.


L’amicizia tra la società sudamericana e il Toro è nata il 26 maggio 1949 quando, l’allora River del presidente Antonio Liberti decise di volare in Italia per giocare una partita commemorativa per quei campioni morti nell’incidente aereo.

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Il biglietto di quell’amichevole

Al campo Comunale fu disputato un match tra River Plate e Torino Simbolo (una squadra mista) con l’incasso interamente devoluto in beneficenza per le famiglie dei calciatori scomparsi.
Da allora si sono disputati altri due match, nel 1951 e nel 1952, mentre il legame di “eterna amicizia” è rimasto indissolubile fino a oggi.

In passato anche il Torino ha omaggiato la squadra argentina: nella stagione 2016/17 la maglia ospite era un chiaro riferimento alla classica divisa del River.

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L’omaggio del Toro nella stagione 2016/17

Oltre agli argentini, c’è anche un’altra squadra sudamericana che recentemente ha dedicato una maglietta da gioco al Torino: la Chapecoense. La società brasiliana, anch’essa vittima di un’incidente aereo, per ringraziare i granata della vicinanza dimostrata, ha dedicato la maglia del portiere al Torino.

 

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O evento de lançamento dos novos mantos e da inauguração da Chape Oficial foi um sucesso! 🏹⚽💚 #VamosChape #NovoManto

Un post condiviso da Chapecoense (@chapecoensereal) in data:

Cristiano Ronaldo è poi sceso in Terra? Luciano Spallettim invece, si è trasformato in don Pietro Savastano mentre a Parma si degustano pietanze succulenti. Senza dimenticare la pioggia in tribuna a Napoli e il nuovo match tra Gattuso e Bakayoko. Nuovo appuntamento con la partweeta della 35ma giornata di A.

La Bibbia di Cristiano


Paulo Floccari

Luciano Savastano


Di padre in figlio


Scampagnata a Parma


E’ già Real Madrid Atalanta


Palloni finiti


Criscito, il moderato


Piove, stadio ladro


Ring Milanello

Da cinque stagioni Torino-Milan termina col segno X. Non solo. Il risultato più ricorrente dal 1929/1930 è il pareggio per 1-1. Se a tutto ciò, aggiungiamo che all’andata fu risultato ad occhiali… FootStats.it, realtà specializzata in statistiche del calcio italiano, ha concentrato le proprie attenzioni sul big match in programma domenica alle 20:30, sfida che potrebbe valere un biglietto
per la prossima edizione della Champions League.

UNA CLASSICA ALL’INSEGNA DEL PAREGGIO

Il bilancio dei 72 incontri disputati fino a oggi in Serie A strizza l’occhio ai padroni di casa. Il Torino è in vantaggio per numero di vittorie, 20-17, pur avendo marcato meno del Milan, 90-95. Stranamente c’è un unico precedente alla 34esima giornata di campionato e, guarda caso, andato in scena proprio quando il calendario riportava la data del 28 aprile. Era la stagione 2006/2007, l’incontro terminò col punteggio di 0-1 e Seedorf nel ruolo di man of the match. A destare attenzione sono però altre statistiche, vale a dire quelle prodotte negli ultimi anni. E’ dal 2013/2014, difatti, che i Torino-Milan terminano in pareggio. Una striscia lunga 5 match: per due volte c’è scappato il 2-2, in tre circostanze l’1-1. Non c’è quindi da meravigliarsi nello scoprire che i risultati più ricorrenti dal 1929/1930 sono l’1-1, 14 presenze, lo 0-0, uscito per 11 volte, infine, il 2-2, che vanta 8 caps.

Senza scordarci che il Torino in questo campionato ha già fatto 14 pari (solo la Fiorentina ne conta un numero maggiore), ma solamente 2 fra le mura di casa; mentre il Milan segue con 11 (oltre ai già citati viola e granata ha davanti il Sassuolo), di cui ben 7 in trasferta. E un girone fa MilanTorino fu 0-0.

Di seguito il bilancio dei precedenti Torino-Milan di campionato:
72 incontri disputati
20 vittorie Torino
35 pareggi
17 vittorie Milan
90 gol fatti Torino
95 gol fatti Milan
E quello assoluto in Serie A:
145 incontri disputati
31 vittorie Torino
55 pareggi
59 vittorie Milan
141 gol fatti Torino
223 gol fatti Milan

Chiudiamo ricordando che il Torino non batte il Milan dalla decima giornata della Serie A 2001/2002: un 1-0 firmato Lucarelli. In seguito fra gare in casa e fuori i rossoneri hanno fatto punti in 22 occasioni: 11 successi più 11 pareggi.

La sedia di Amsterdam ha perso da un anno il suo padrone. Il 29 marzo 2018 se ne andava Emiliano Mondonico a 71 anni dopo aver lottato contro un grave male. Pioniere del calcio pane e salame, antitesi di quello robotico del calcio totale ieri e del tiki taka oggi. Il suo Mondo di Rivolta D’Adda lo ricorda con una messa, lui che non ha mai troncato il suo legame con la terra natia. Negli ultimi anni, infatti, allenava una formazione di ex tossicodipendenti e alcolisti. Lui che aveva girato l’Italia in panchina, ma non aveva mai reciso il cordone ombelicale con Rivolta.

Da Cremona ad Amsterdam

Cremonese, Como, Atalanta, Torino, Napoli, Fiorentina, Cosenza, Albinoleffe, Novara. Trentacinque anni di panchina, da stratega metodico del calcio più essenziale. Quello catenacciaro all’italiana, per i suoi detrattori. Quello che ci ha fatto vincere quattro Coppe del Mondo, puntando sugli uomini e non sugli schemi. Vincono i giocatori, non i moduli. E non è un reato portare a casa il risultato con un po’ di difesa e contropiede, soprattutto se alleni la squadra più debole tecnicamente.


Eppure Mondonico aveva fiuto per il talento. Basti pensare a Vialli e Inzaghi, lanciati quando allenava Cremonese e Atalanta. Lui li scovava sin da quando erano ragazzini che giocavano all’oratorio. Non a caso il Mondo era testimonial del progetto calcio del Centro sportivo italiano. Perché sapeva cosa significa arrivare in alto, quanto sacrificio occorreva. Lo sapeva anche quella sera ad Amsterdam nel 1992, quando con il suo Toro sfiorò il momento più alto della sua carriera. La vittoria in Coppa Uefa contro l’Ajax, sfumata anche per una discutibile direzione di gara. Domenica il calendario ha voluto che si incontrassero proprio Fiorentina e Torino in campionato. Le sue due squadre del cuore assieme all’Atalanta. Sul maxischermo del “Franchi”, alle 15, ci sarà un omaggio a Mondonico. Il tempo di un morso a un panino col salame e via con il match. Il Mondo approverebbe.