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Il 27 maggio 2019, per i tifosi dell’Union Berlin, rimarrà sempre una data storica, da tatuare nei ricordi indelebili della propria vita. Al termine del doppio spareggio contro lo Stoccarda, la squadra di Berlino Est ha conquistato la prima storica promozione in Bundesliga, la massima serie tedesca.

Un sogno divenuto realtà per migliaia di sostenitori che hanno sempre e solo visto giocare i loro beniamini in seconda divisione o anche in terza e quarta serie. Un legame viscerale lega supporter e società, da sempre “unione” per l’appunto e il prossimi 18 agosto, l’Union Berlin farà il suo debutto con la prima partita della stagione 2019-2020.

Il club rosso di Berlino sarà la 56^ squadra a fare il debutto assoluto in Bundesliga e il primo match, in casa allo Stadion An der Alten Försterei, sarà contro l’RB Lipsia, società mal vista dai tifosi di Köpenick. Per ringraziare i tifosi defunti che nei decenni hanno continuamente sostenuto il club e che ora non potranno essere presenti alla prima storica stagione nella massima serie, l’Union Berlin ha lanciato la campagna “Finally there”: per il primo match casalingo, al costo di 13 euro, amici e parenti potranno inviare delle foto dei propri cari e la società li stamperà in banner di 70x70cm, realizzati con un tessuto in grado di resistere a strappi e intemperie. Le immagini verranno affisse tutte assieme all’interno dello stadio.

Il prezzo, poi, è altamente simbolico: 13 euro, infatti, è il costo di un posto in piedi allo stadio, quasi a voler sottolineare ancor di più la presenza di chi non c’è più.  La campagna è stata lanciata dal gruppo Alt-Unionern, insieme al fan club Eisern V.I.R.U.S. e l’Eisernen Botschaftern. E ancora un volta riecheggia forte il motto dei tifosi:Einmal Unioner, Immer Unioner” – Una volta Unioner, per sempre Unioner.

Il Chelsea dichiara guerra al razzismo. Il club di Roman Abramovich allontanerà i tifosi responsabili di comportamenti xenofobi a Stamford Bridge oppure li inviterà a corsi di recupero come, ad esempio, una visita ai campi di concentramento di Auschwitz. Punizione e rieducazione. I blues dicono quindi basta a quei cori a sfondo antisemita che spesso si levano dalle tribune dell’impianto londinese. La notizia è stata riportata nelle ultime ore dal tabloid britannico “Sun”.

Non si rischierà solo una sorta di daspo inglese dallo stadio. Il Chelsea inviterà i propri supporter a recarsi in uno dei simboli dell’eccidio nazifascista durante la II Guerra mondiale. I campi di concentramento nella cittadina polacca di Auschwitz in cui, secondo le ricostruzioni storiche, morirono circa un milione di persone deportate. Le ragioni del provvedimento sono state spiegate dal presidente della squadra, Bruce Buck:

Allontanare le persone dallo stadio non è sufficiente, non cambierà il loro comportamento. Questa politica dà invece ai tifosi la possibilità di capire quello che hanno fatto e di doversi comportare meglio. In passato li avremmo individuati prima di allontanarli dallo stadio fino a tre anni. Il nostro augurio è che anche altre società possano prendere sul serio la questione

Il campo di concentramento di Auschwitz

Nonostante il calcio inglese sia spesso proposto come modello di civiltà e organizzazione sugli spalti, resistono ancora frange di tifo intollerante e antisemita. Lo scorso anno, durante il derby tra Chelsea e Tottenham (la squadra del quartiere ebraico di Londra), i sostenitori di Hazard e compagni intonarono cori razzisti nei confronti degli ebrei. Scenario simile che si ripresentò al King Power Stadium di Leicester dopo un gol di Alvaro Morata. Lo stesso attaccante spagnolo prese le distanze da questo tipo di tifo, chiedendo il rispetto per tutti. Magari una visita ad Auschwitz potrà aprire la mente i più stupidi e ignoranti che si definiscono tifosi.

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Nell’estate del 2016 ha fatto vibrare il suolo francese e mezza Europa. “Huh, corale, tutti assieme, un ritmo scandito e cadenzato all’unisono che accelera in un climax ascendente. Aron Gunnarsson, il capitano dell’Islanda, dà il tempo, dietro di lui i guerrieri e compagni di squadra della prima storica spedizione all’Europeo lo seguono.
Le braccia spalancate, gli occhi fissi rivolti verso i tifosi. L’8% della popolazione islandese ha seguito la squadra in Francia e proprio allo Stade de France si chiude l’epopea vichinga, sconfitti 5-2 dai padroni di casa, nei quarti di finale. “Huh”, ancora una volta, e poi un battito di mani; “Huh”, sempre più veloce, in un silenzio assordante. Sugli spalti c’è anche Guðni Jóhannesson, il presidente dell’Islanda, che declinando la tribuna d’onore, va in curva. In mezzo alla sua gente, perché anche la sua voce conta. Per far tremare l’Europa.

 

La “Viking clap” o “Geyser sound” è il coro che caratterizza l’Islanda e che traghetterà la nazionale, dopo la storica apparizione agli Europei del 2016, al prossimo Mondiale in Russia. Anch’esso un “unicum” nella cronistoria dell’isola scandinava. Il palcoscenico ideale per superare latitudini e longitudini ed espandere ancor di più il loro “Huh”. Ecco, Gylfi Sigurðsson&soci hanno reso planetaria questa esultanza, ma risalendo la corrente per arrivare all’origine e alla nascita di questo simbolo di unione tra calciatori e tifosi, possiamo dire che certamente non è nato in Islanda.

Da un’isola ad un’altra, si va in Scozia. E’ Jóhann Bianco, colui che ha l’onore di dare il ritmo attraverso il tamburo, a raccontare l’aneddoto in un video emozionante e intenso: Jóhann, che fa parte dei “Tólfan” (Il dodicesimo uomo), gruppo organizzato e ufficiale che sostiene l’Islanda con cori e coreografie, spiega che tutto è iniziato nell’estate del 2014.
Lo Stjarnan, squadra della città di Garðabær, si qualifica per preliminari di Europa League, dove, dopo aver superato Bangor City, Motherwell e Lech Poznan, giunge fino ai play-off, dove viene sconfitta dall’Inter per 3-0 in Islanda e per 6-0 a San Siro.
E’ la trasferta a Motherwell, però, la genesi di questo racconto: i 22 tifosi islandesi che arrivano al Fir Park rimangono impressionati da questo coro ritmico, sulla base di “Since I Was Young”, che coinvolge tutti i supporter scozzesi.

Nel match casalingo contro l’Inter, decidono così di replicarlo all’insaputa di tutti gli altri sostenitori. Jóhann Bianco era presente allo stadio, anche lui rimane folgorato, manda un messaggio a un suo amico dall’altra parte della tribuna, è la scintilla: «Portiamo questo coro in nazionale!».

La storia, però, affascina perché è imprevedibile e ricca di contaminazioni. In Inghilterra, i fan del Middlesbrough sono stati accusati di plagio per aver portato all’interno del Riverside Stadium il “Viking Clap”. In realtà esiste un video del 2013 che darebbe proprio ai supporter del Boro la paternità del gesto. O forse no? Sì, perché anche dalla Francia è partita una richiesta di rivendicazione: arriva direttamente da Lens e a vedere il video, anch’esso del 2013, le similitudini sono evidenti.

Onore comunque all’Islanda che ha raggiunto un’altra conquista: il loro simbolico coro è apparso anche nel videogioco Fifa18, versione Mondiali di Russia!