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Accadde Oggi: A Selma, il 17 marzo 1972 nasceva Mariel Margaret Hamm detta Mia, ex calciatrice statunitense, di ruolo attaccante, ritenuta la migliore calciatrice della storia

 

Per un breve infinito istante, sembrava che il tempo si fosse fermato nell’estate del 1999. In una calda giornata californiana, uno stadio stracolmo con oltre 90.000 tifosi rimase in silenzioso e immobile, carico di ansia e paure, mentre Brandi Chastain si preparava a prendere la rincorsa per calciare il rigore che avrebbe potuto consegnare la Coppa del Mondo al suo Paese, agli Stati Uniti, padroni di casa.

Era il 10 luglio e il Rose Bowl di Pasadena ribolliva di afa e sudore. Una partita infinita, quella contro la Cina, dopo lo 0-0 dei 90’ minuti e dei supplementari. La terza finale del Mondiale femminile si sarebbe decisa ai calci di rigore. Brandi Chastain, destro naturale, era stata allenata per calciare anche di sinistro ,e anche se non aveva mai tirato dagli 11 metri col suo piede debole, decise di andarci col sinistro. Aveva già alzato al cielo la prima storica Coppa del Mondo, nel 1991, e a lei toccava il quinto e ultimo rigore dopo che la cinese Liu Ailing aveva fallito il suo tentativo. Un’ultima esitazione, poi il tiro e il boato.

Before a packed and jubilant stadium, the U.S team received their gold medals.

Un ruggito travolse  Chastain: tutto il team della Nazionale femminile statunitense corse verso la propria eroina; lei si strappò la maglia, la sventò per aria prima di crollare sulle sue ginocchia. Quella, a sua insaputa, diventerà l’esultanza più iconica nel calcio femminile anche perché quella finale, a suo modo, segnerà il passo decisivo verso la crescita esponenziale di un movimento e di una credibilità agli occhi di tutto il mondo.

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Fu la finale di fine millennio e mai una folla così festante e voluminosa si era riunita precedentemente per un evento sportivo femminile. Non solo presenti allo stadio e durante tutto il Mondiale, ma per estensione quasi 40milioni americani videro quel match. Certo, lo sport ha corso tantissimo negli ultimi decessi, sono state raggiunte nuove vette e nuovi record, ma dopo 20 anni, l’eredità lasciata dalle “99ers” (come vengono chiamate in America le eroine del 1999) è ancora sotto gli occhi di tutti. Un’eredità che si è espansa oltre i confini patriottici e di cui ne ha beneficiato tutto il calcio e le donne stesse.

Alla fine degli anni ’90, il calcio femminile era nella  sua acerba formazione, stava sbocciando com’era evidente dalla mancanza di risorse economiche e copertura mediatica. Formata nel 1985, la Nazionale americana, partecipò al suo primo torneo in Italia, un quadrangolare che vedeva anche l’Inghilterra e la Danimarca, ma più che essere una squadra, più di sentire addosso il peso della maglia, era un agglomerato di atlete prim’ancora che calciatrici. Michelle Akers, forza del centrocampo di quell’epoca, ricorda che nonostante le strigliate del coach, fu solo quando iniziarono a subire cocenti sconfitte che l’orgoglio venne scalfito e decisero di impegnarsi e radicalizzare il calcio nella loro cultura.

Captain Carla Overbeck (4) raises the World Cup trophy aloft, elevating women's football to another level in the country.

I meriti furono, poi, di Anson Dorrance, che nel 1986, prese le redini della Nazionale femminile e instillò nelle giocatrici la massima filosofia possibile: era un sogno, una visione, vedere gli Stati Uniti arrivare in alto, essere la squadra migliore al mondo. Un seme piantato in ciascuna ragazza che come leggenda o mitologia è stato poi consegnato anche alle generazioni successive.

E proprio lavorando sulla generazione successiva, gli Usa hanno alzato per competenza e professionalità l’approccio al calcio. Così Mia Hamm, Kristine Lilly e Julie Foudy, appena adolescenti, furono invitate a prendere parte a una sessione d’allenamento e furono scelte al posto di colleghe decisamente più esperte. L’intuizione fu determinante e, con gli occhi del presente, ovvia: Kristine Lilly, con 354 presenze e 23 anni di militanza, è ancora la calciatrice con più presenze in Nazionale. E che dire di Mia Hamm? Ha vestito la casacca a stelle e strisce dal 1987 al 2004, segnando 158 in 276 partite, vincendo la Coppa del Mondo nel 1991 e 1999, aggiudicandosi l’alloro alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e Atene 2004. Ritenuta la migliore calciatrice della storia, ha vestito per diciassette anni la maglia della Nazionale statunitense, ha vinto due FIFA Women’s World Player of the Year (2001 e 2002) ed è una delle sole due donne incluse nella FIFA 100, la lista dei migliori 125 calciatori di tutti i tempi.

Per far breccia nella cultura popolare e sdoganare pregiudizi, la Mattel, per promuovere e rilanciare il Mondiale del 1999, mise in commercio la Barbie “Soccer Teresa”, ispirandosi alla silhouette della stessa Hamm che, però, in campo giocava per un solo obiettivo: la sua grinta era pari alla sua umiltà e tutto quello che fecero di eroico era per migliorare il loro sport.

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Sia dentro che fuori dal campo, le “99ers” hanno mostrato al mondo di cosa erano capaci le atlete e, di riflesso, di cosa erano capaci le donne. Erano altruiste, autentiche e determinate a fare la differenza. Bill Clinton, al tempo presidente americano, era tra i 90.000 presenti e ospitando le vincitrici alla Casa Bianca, disse: «Il vostro successo avrà un impatto enorme, più di quanto le persone possano rendersene conto oggi e avrà un impatto di vasta portata non solo negli Stati Uniti, ma anche negli altri paesi».

US President Bill Clinton (L), First Lady Hillary Clinton (C) and daughter Chelsea Clinton with members of the U.S. Women's soccer team in the locker room.

Nella roulette dei calci di rigore, gli Stati Uniti trionfarono 5-4 e a determinare l’errore della cinese Liu Ailing fu il portiere Briana Scurry. Oltre a essere una delle primi giocatrici afro-americane professioniste, Scurry è stata anche una delle prime calciatrici apertamente gay e ha promosso campagne per l’uguaglianza di genere. Ha dato voce alla battaglia sulla discriminazione salariale ed è tra le pionieristiche fondatrici della WUSA, l’associazione di calcio femminile statunitense. A distanza di anni, la sua missione è ancora la stessa: «Anche se non giochiamo più, vogliamo fare tutto il possibile per progredire nel gioco e nell’uguaglianza in termini di diritti e di opportunità».

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Fonte: Cnn

La sua entrata, durante la parata celebrativa di mercoledì 10 luglio a New York, è stata da grande guascona, ma guai a non prendere sul serio Megan Rapinoe, la co-capitana della Nazionale femminile di calcio americana che ha appena vinto il suo quarto Mondiale in Francia.

Drappi Usa a stelle e strisce, un clima festoso e patriottico, lei che entra con il trofeo in mano, poi consegnato alla ragazza accanto a lei per alzare le mani al cielo come la sua tipica esultanza. E in questa Coppa del Mondo che ha visto un dominio in lungo e in largo della squadra di Jill Ellis, Megan Rapinoe, che il 5 luglio ha compiuto 34 anni, ha vinto la Scarpa d’Oro con sei reti realizzate: ha deciso la finale, realizzando il suo cinquantesimo gol con la maglia della Nazionale, con un rigore che ha portato le americane in vantaggio sull’Olanda. Ma non solo perché è stata premiata come miglior giocatrice della finale e, infine ha ricevuto il premio come miglior calciatrice in assoluto di questi Mondiali.

 

 

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Una che parla in campo, tanto, ma che ha la determinazione per alzare la voce anche fuori dal terreno di gioco. Una battaglia personale, ma coinvolgente, evidenziata anche nel profondo discorso pronunciato durante la parata:

Dobbiamo essere migliori. Dobbiamo amare di più e parlare di meno. Dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno. Dobbiamo capire che è responsabilità di tutti. Certo, noi facciamo sport. Certo, siamo atlete donne, ma siamo anche molto più di questo. Siete tutti molto più di questo. Come possiamo migliorare la nostra comunità?

Megan Rapinoe, dichiaratamente lesbica, la sera prima della parata si era rivolta, parlando alla CNN, direttamente al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump: «Il tuo messaggio esclude le persone. Tu mi escludi. Tu escludi le persone come me, escludi le persone di colore. Escludi anche americani che potrebbero sostenerti».

 

 

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U.S. women’s soccer co-captain Megan Rapinoe thanked her team and fans during the World Cup victory parade in New York City on July 10.

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Prima dell’inizio dei Mondiali, abbiamo persino detto: “Quanto sarebbe fantastico se giocassimo contro Stati Uniti?”

E Dominique Janssen questa finale tra Usa e Olanda l’ha proprio chiamata. Anzi per correttezza chiamatela Dominique Bloodworth da quando, nel 2018, il difensore olandese ha sposato l’americano Brandon. E sì, storia nella storia di questa finale, c’è anche una famiglia che sulla costa occidentale degli Stati Uniti farà il tifo per l’Oranjeleeuwinnen al posto degli Stati Uniti.

Una relazione sviluppata a distanza, nata su internet tra la giocatrice attualmente al Wolfsburg e il ragazzo che ha prestato servizio nell’esercito americano per quattro anni in Afghanistan. Poi il matrimonio e la scelta da parte di Dominique di cambiare il cognome sulle divise da gioco sia nel club che in Nazionale. Una decisione non semplice per la ragazzi 24 anni che nel 2017 ha vinto l’Europeo in prima squadra dopo aver partecipato, due anni prima, alla straordinaria esperienza della Coppa del Mondo in Canada. Con il cognome Janssen.

 

 

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As you can tell, nothing makes me happier than talking about how badass my wife is 👸 #teambloodworth #wwc2019

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«Brandon crede tanto nei valori della famiglia e anche se è americano lui e i suoi parenti faranno il tifo per noi», dice ridendo Dominique.  Suo marito è arrivato in Francia all’inizio del torneo, rimanendo a Lione per vedere la semifinale in cui le ragazze dell’Oranjeleeuwinnen hanno battuto la Svezia: «Sento sicuramente il suo sostegno quando è qui, ed è incredibile, mi dà quella scintilla in più che ho bisogno per giocare ancora meglio».

Molto è cambiato da quando le olandesi hanno giocato per la prima volta una partita in un Mondiale, quattro anni fa: «Allora non potevamo nemmeno osare di sognare di essere una squadra modello per giocatrici a livello mondiale. Ora sento davvero che le bambine possono guardare noi e rendersi conto che molte cose possono realizzarsi quando credi in te stesso».

E con il sostegno del marito “olandese per un giorno” Brandon, quella del 7 luglio potrebbe diventare una domenica davvero speciale per Dominique Bloodworth.

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E alla fine sono rimaste in due. La finale dei Mondiali femminili tra Stati Uniti e Olanda (in programma domenica 7 luglio ore 17 su Sky e Rai Sport) promette di essere un’occasione storica anche per le trame intriganti e intrecciate tra storie nelle storie. Alla fine a contenderci la Coppa del Mondo ci arriva la squadra detentrice del trofeo e l’attuale campione d’Europa: gli Stati Uniti sono alla loro terza finale consecutiva, con un numero di giocatrici già presenti quattro anni fa in Canada. Jill Ellis, l’allenatrice oggi come allora alla guida della Nazionale, è proprio sull’esperienza già acquisita che preme come arma di forza.

A ostacolare la quarta stella per gli Stati Uniti c’è l’Olanda che ha raggiunto la prima finale di Coppa del Mondo femminile alla sua seconda apparizione assoluta. La loro ascesa così dirompente è stata alimentata da una generazione d’oro, guidata dall’attacco di Vivianne Miedema, Lieke Martens e Shanice van de Sanden.

Chi si aggiudica il titolo di capocannoniere?

E proprio pensando all’eccezionale talento offensivo di entrambe le squadre, la finale di questa ottava edizione dovrebbe essere allettante con la lotta intestina per aggiudicarsi anche l’Adidas Golden Boot, il riconoscimento per il capocannoniere del torneo: da un lato c’è Alex Morgan con 6 gol e Megan Rapinoe, dietro di una rete, mentre per le avversarie difficilmente Miedema, con tre marcature, può insidiare i sogni delle due americane.

Dopo un Gruppo F dominato in lungo e in largo con 18 gol fatti e zero subiti e 9 punti ottenuti battendo Svezia, Thailandia e Cile, le americane si sono trovate dal lato più insidioso e complesso del tabellone costrette ad affrontare Spagna agli ottavi, le padrone di casa della Francia ai quarti e l’ostica Inghilterra in semifinale. Tre match con tre difficoltà differenti risolte con il medesimo risultato di 2-1.  Al contrario, come ha detto la calciatrice Daniëlle van de Donk, le Oranjeleeuwinnen arrivano a questa finale per la prima volta a Francia 2019 come sfavorite dopo aver completato il Gruppo E a punteggio pieno lasciandosi alle spalle Canada, Nuova Zelanda e Camerun e dopo aver battuto Giappone agli ottavi, l’Italia ai quarti e di misura, per 1-0, la Svezia in semifinale. Ma la squadra ha anche ripetutamente dichiarato di non aver ancora mostrato il loro miglior calcio in Francia e sicuramente dovranno fare il massimo per battere le più quotate avversarie. Nelle loro mani c’è ancora una volta la possibilità di stupire il mondo intero.

Come arrivano gli Stati Uniti

Jill Ellis ha più volte sottolineate alle giocatrici l’importanza di iniziare ogni singola sfida con il piede giusto e sul campo le americane hanno risposto con un dato sorprendente: sono andate a segno nei primi 12 minuti di ogni partita di questo Mondiale. Megan Rapinoe non ha giocato la semifinale a causa di un stiramento al bicipite femorale e anche l’eclettica centrocampista Rose Lavelle si è infortunata allo stesso muscolo. Anche se non al 100% le due calciatrici saranno disponibili per la finale. Gli Stati Uniti sanno di avere una forza nella panchina lunga, con Christen Press e Sam Mewis che hanno dimostrato di poter sostituire questo duo.

Come arriva l’Olanda

Squarci di gran bel calcio. L’Olanda, in questo Mondiale, ha mostrato bellissimi triangoli tra le tre centrocampiste, sprazzi di velocità da Shanice van de Sanden e momenti di splendore agonistico da Lieke Martens, come il suo meraviglioso gol nei quarti di finale contro l’Italia. E quando questa squadra inizia a girare, sa essere molto molto letale. Ma croce e delizia, appoggiarsi su singoli talenti qualche volta non ripaga: Shanice van de Sanden durante tutto il torneo ha cercato la forma migliore, Lieke Martens sta lavorando con un infortunio al piede e il portiere titolare Sari van Veenendaal è uscito dal campo dopo aver battuto la Svezia nella semifinale mercoledì con una mano gonfia. La vera preoccupazione per l’Oranjeleeuwinnen sarà ciò che accadrà se uno o più dei suoi protagonisti non è in tempo per recuperare.

Alla sua seconda partecipazione assoluta ai Mondiali, l’Olanda centra per la prima volta la finale. La decide Jackie Groenen al minuto 99 dei supplementari dopo una partita molto equilibrata tra Olanda e Svezia.

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L’esultanza di Jackie Groenen dopo la rete decisiva

Le campionesse europee sono riuscite a raggiungere gli Stati Uniti grazie al lampo di una delle tante campionesse in squadra. La numero 14 (in onore del grande Cruijff) ha insaccato la palle alle spalle del portiere Lindahl con un bel tiro da fuori area.

Le parate della numero 1 van Veenendaal hanno sicuramente tenuto sempre in vita le orange.

Prima vera palla gol per la Hurtig al 37′. Nella ripresa palo della Fischer e traversa di Miedema, ma il risultato non si sblocca. Nei supplementari arriva il gol che manda l’Olanda a giocarsi il titolo contro gli Stati Uniti e che consacra un biennio notevole dopo la conquista dell’Europeo nel 2017.

OLANDA-SVEZIA 1-0 

Primo tempo abbastanza equilibrato con le scandinave che vanno vicine al vantaggio con la punta Hurtig: una zampata in mischia dopo un corner, salvata benissimo d’istinto col piede dalla van Veenendaal.

Anche la ripresa è un po’ piatta dal punto di vista del gioco, meno per quanto riguarda le occasioni da rete con la Svezia che ci prova con la centrale Fischer con un rasoterra parato dall’estremo difensore olandese e il colpo di testa dell’attaccante Miedema sfiorato quanto basta da Lindahl.

Ai tempi supplementari a tirar fuori il coniglio dal cilindro è Groenen con un gran destro dai venti metri, palla rasoterra diretta sul secondo palo e imprendibile.

99′ Groenen

OLANDA (4-3-3): van Veenendaal; van Lunteren, van der Gragt, Bloodworth, van Dongen; Groenen, van de Donk, Spitse; Beerensteyn (72′ van de Sanden), Miedema, Martens (46′ Roord). Ct: Wiegman

SVEZIA (4-2-3-1): Lindahl; Glas, Fischer, Sembrant, Eriksson (111′ Andersson); Rubensson (78′ Zigiotti Olme), Seger; Jakobsson, Asllani, Hurtig (79′ Janogy); Blackstenius (111′ Larsson). Ct: Gerhardsson

Ammonite: Spitse (O), Zigiotti Olme (S), van de Donk (O)

Sia ben chiaro che la regola numero uno del calcio è che è uno sport di squadra e anche in questa edizione francese dei Mondiali femminili lo si è visto: chi è arrivato fino in fondo al torneo, chi avrà la possibilità di giocarsi la finale è perché ha funzionato come unità coesa. Ma certamente anche nelle macchine ben più oleate c’è un ingranaggio più importante degli altri, quello del primo movimento, quello che dà l’impulso ad avviare la macchina stessa. Anche tra Inghilterra, Stati Uniti, Olanda e Svezia c’è chi, a livello individuale, è più indispensabile delle altre. Ecco chi potrebbe decidere le due semifinali (Inghilterra-Stati Uniti in programma martedì 2 luglio alle 21.00 e Olanda-Svezia, mercoledì 3 luglio alla stessa ora):

Lucy Bronze

E’ considerata il più forte terzino al mondo e a giudicare il suo torneo, non c’è che da dare ragione: giocatrice d’acciaio, energica sia in fase di spinta che in fase di non possesso. Può sparare cannonate, ma anche in grado di contenere le avversarie, Bronze domina la fascia di destra. Gode della fiducia di tutta la squadra, il difensore del Lione è in ottime condizioni fisiche ed è scattante su entrambe le distanze, brevi e lunghe, nonostante i tre interventi al ginocchio negli ultimi due anni. Leader che alza la voce, carismatica e contagiosa, è la proiezione in campo del ct Phil Neville. Per l’Inghilterra è preziosa;

Julie Ertz

Mentre tutti ammiriamo la pericolosità là davanti di Rapinoe, Morgan ed Heath, Julie Ertz è l’unica giocatrice indispensabile per la Nazionale statunitense. Abbiamo osato troppo? Lei è la spina dorsale della squadra, la colla che tiene tutto assieme e quando non c’è, la sua assenza è pesantissima. Ertz è la giocatrice chiave di questo squadrone sia a livello offensivo che difensivo, proponendosi in ogni singolo secondo del match, fino al triplice fischio finale. Nella scorsa Coppa del Mondo vinta nel 2015, l’americana ha giocato come difensore centrale, oggi domina a centrocampo, in un ruolo in cui eccelle. Etica e professionale negli allenamenti, Ertz dimostra ancora grinta e fisico, due qualità essenziali per tenere saldi i fili degli Stati Uniti d’America;

Jackie Groenen

Ha 24 anni ed è un ex-judoka. Tanto basterebbe per presentare Jackie Groene, una tipa che non si è mai nascosta quando c’è da battagliare a centrocampo. Vale il detto “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”: alterna partite ottime a prestazioni meno buone, è il solo aspetto che ci dà conferma del suo essere un’umana. Groenen, sempre  sorridente, non tradisce mai ansia o preoccupazioni: è assolutamente indispensabile per questa Oranjeleeuwinnen;

Caroline Seger

Il capitano della Svezia è anche il motore della squadra. Lei sa essere risolutrice e come un pompiere chiamato per un’emergenza è pronto a domare l’incendio. Seger ha anche un preziosa capacità, dettare il ritmo del gioco, abbassando o alzando i giro a secondo dei momenti differenti della partita. Quasi 15 anni con la Nazionale e tre Coppe del Mondo, con la sua esperienza aiuta le sue compagne di squadra, dando l’esempio e usando le parole nella maniera più appropriata. La Svezia ha diverse atlete di talento, lei è in cima.

 

Perché la calciatrice Marta, che con il Brasile ha segnato più gol di Pelé ed è modello ispiratrice per le giovani giocatrici, non può avere lo stesso fascino narrativo del suo omologo maschile? E perché non celebrare, per esempio, il Giappone femminile che nel 2011 ha vinto il Mondiale (cosa che non è riuscita agli uomini) nonostante il paese in ginocchio per lo tsunami di qualche mese prima? E che dire di Megan Rapinoe e della sua lotta per la parità di diritti?

Il romanticismo, le storie di successo e di determinazione contro sistema e pregiudizi, nel calcio così come nello sport più in generale, non conoscono distinzioni di sesso. Così, almeno dovrebbe essere, secondo lo sguardo artistico di Sara Liguori, in arte Sarita, illustratrice che vive a Firenze (ma originaria di Castellamare di Stabia) e che da due anni si è tuffata nel mondo del pallone impugnando una matita e una tavolozza di colori (con dovute licenze poetiche, avendo anche a disposizione tavolette grafiche): «E’ nato dopo aver conosciuto i ragazzi di Zona Cesarini, loro facevano una serie di presentazioni di film a tema calcistico e ho creato alcune locandine per ciascuna proiezione. Ricordo ancora Sócrates, una delle grafiche ancora oggi più vendute come t-shirt. Con loro ho scoperto il lato romantico del calcio per quanto sia cresciuta in una famiglia dove si idolatrava Maradona e si tifa tutt’oggi il Napoli: mi sono appassionata alla letteratura sportiva e pian piano ho pensato di metter su un progetto mio indipendente».

Un percorso artistico, iniziato prima al liceo e poi sviluppato e ampliato durante i tre anni di accademia a Firenze anche se si è focalizzata più sulla scultura. Un mondo che, però, ha abbandonato ben presto per cercare la sua strada tortuosa, fatta di titubanze e di altri mestieri (quanto è dura “campare” d’arte?) prima di convincersi a investire su se stessa e sulla passione per l’illustrazione: corsi specifici, giri di contatti, consigli e suggerimenti dai più navigati, una pagina Facebook e un profilo Instagram creati ad hoc per mostrare le proprie creazioni e farsi largo in un settore che resta a maglie strette, ma senza rivalità aperta: «Si riacquista una dimensione più infantile, lontani da preconcetti e più legata puramente all’amore verso il calcio: è un piccolo mondo che condividi con altri che ti confortano perché ti danno un grande senso di appartenenza. Devo ringraziare Gianni Galleri che ho conosciuto alla prima edizione dell’Offside Fest: mi ha dato consigli e mi ha motivato, spronandomi e convincendomi che valeva la pena crederci».

L’anno scorso, ha quotidianamente seguito i Mondiali in Russia, pubblicando a fine giornata un’illustrazione riepilogativa delle partite viste o qualche focus su un giocatore o momento particolare. Una soddisfazione, dice lei, sapere che molti suoi amici tenevano il passo della manifestazione iridata seguendo la sua pagina e non direttamente i canali ufficiali o giornali. Ed eccoci, un anno dopo con l’edizione femminile in Francia dei Mondiali, la prima dopo 20 anni che vede l’Italia nuovamente protagonista. Tutto il movimento calcistico crede in questa competizione come momento di svolta tra un prima e un dopo nell’opinione pubblica e anche nei diritti delle calciatrici, a livello di sponsor, retribuzione e, più in generale, rispetto: «Il calcio è manifesto di quello che ci gira attorno anche sul mondo femminile e sul ruolo della donna stessa. Mi infastidisce sentire la solita polemica sulla donna che non capisce di tattica per questo ho sentito il bisogno di dire la mia puntando sulla comunicazione positiva, senza fare polemiche o scadere nei soliti discorsi retorici o anche “iperfemmisti”. Come fare? L’unico modo è quello di esaltare i successi, io non dico di guardare le donne per presa posizione, dico solo che nel calcio femminile c’è tanta poetica quanto in quello maschile».

Storie di donne che si sono battute, che vanno enfatizzate, a cui la società in passato e ancora oggi pone dei blocchi, dei limiti, forza a prendere altre strade o semplicemente dice “tu non lo puoi fare”. Sarita vuole raccontare ragazze che sono modelli motivazionali, per loro stesse innanzitutto, ma che possono diventare beniamine da appendere nelle camerette di bambine di questa o della prossima generazione. Gama, capitano della Nazionale femminile, che con Sarita condivide il nome, in occasione delle celebrazioni per i 120 anni della Figc, davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto:

Molti non conoscono però i sacrifici che abbiamo fatto quando eravamo bambine, semplicemente per riuscire a praticare lo sport che amiamo, e quelli profusi negli ultimi anni anche fuori dal campo perché ci venisse riconosciuto il nostro spazio e la possibilità di esprimerci al meglio. Per me e le mie compagne oggi è una festa. Molte di noi sono state presenti su molti fronti negli ultimi tre anni e sono testimoni – soprattutto a se stesse – di quello che è stato un primo viaggio alla ricerca della nostra dimensione. Noi sappiamo che oltre ai valori sportivi e alla nostra competitività, alla voglia di dare il meglio in campo spinte dalla nostra passione e dal desiderio di rappresentare al meglio il nostro Paese, abbiamo avuto una forza in più che ci ha mosso con moto costante, la forza che solo la capacità di sognare qualcosa di più grande ti può dare. Questa forza è il coraggio di pensare di poter cambiare il volto del nostro sport in Italia, fare conoscere il nostro splendido mondo a tutti gli italiani, soprattutto alle bambine italiane, creare per loro dei nuovi modelli a cui potersi ispirare e tracciare una strada meno impervia per il loro futuro.

 

Nemmeno le temibili asiatiche, gruppo essenziale e dalle buone individualità, riescono a interrompere il cammino dell’Italia che supera anche gli ottavi e si iscrive tra le 8 squadre più forti del mondo in questi Mondiali in Francia. Superato per la prima volta un turno eliminatorio (nel 1991 partecipavano 12 formazioni), appuntamento sabato alle 15.00 a Valenciennes: regalo che le nostre ragazze si concede grazie un gol per tempo firmato da Giacinti e Galli. Una favola che non si arresta per la Nazionale che continua a sognare in grande. Riviviamo il 2-0 contro la Cina attraverso le immagini, i gol, e le dichiarazione delle protagoniste:

Bartoli: “Gioco col cuore”

Eravamo un po’ troppo lunghe e non siamo riuscite a fare un buon palleggio, ma abbiamo sfruttato le occasioni create e siamo state ciniche. Dovevamo vincere e l’abbiamo fatto, poi bisogna anche saper soffrire. Speriamo in nessuna squalifica, oggi ho pensato al cartellino ma non sono stata troppo condizionata perché non pensavo ancora al turno successivo. Ora sono felicissima. Io do sempre tutto quello che ho, gioco col cuore e lo stiamo facendo tutte, questo sta facendo innamorare gli italiani: non c’è nessuna tattica. Abbiamo una maggiore consapevolezza sul gioco e su noi stesse, tutto il campionato italiano sta crescendo e si sta facendo notare

Galli: “Regaliamo sorrisi”

Ci ho pensato, se porta bene per la squadra faccio questo e altro. Abbiamo gestito molto bene, anche se siamo andati in difficoltà nel primo tempo ma poi il mio gol ha tranquillizzato. È tutto bellissimo. Vogliamo continuare così, regalando tanti sorrisi e tante gioie. Dedica? Alle mie amiche che sono venute fin qui in pullman per tifarci, è stato emozionante

Giacinti: “Inzaghi o Cutrone? Dico Morata”

Non ho subito realizzato, c’era mio nonno che mi guardava e mi sono emozionata. Poi sono corsa dalle compagne che avevano detto che oggi avrei fatto gol. C’era la voglia di giocare e di dimostrare, di fare quella rete che non arrivava. Sono contenta che sia avvenuto in una partita così importante e per la qualificazione ai quarti. Il Ct mi chiede sempre di attaccare e di allungare la squadra per mettere in difficoltà la difesa, mi dispiace di essere andata in fuorigioco ogni tanto. Col Brasile è stata una partita diversa, oggi c’era bisogno d’altro. Io come Inzaghi o Cutrone? Non mi rivedo in nessuno dei due, ma vorrei che mi paragonassero a Morata

Giuliani: “Non sembra di giocare un Mondiale”

 Sono contentissima di ciò che sto facendo e che stiamo facendo tutte insieme. Mi è passato davanti il film di tutto ciò che è stato prima, ora non mi sembra neanche di giocare un Mondiale. Vivo ogni partita come se fossero delle amichevoli, godendomi ogni partite e non c’è niente di più bello”. Giuliani si sta mettendo in mostra come uno dei migliori portieri della competizione: “Non ci penso, sono sincera: cerco solo di fare del mio meglio per metterlo al servizio della squadra. La nostra forza è il gruppo e ora tutte le mie energie vanno a questo, poi ciò che verrà alla fine si vedrà. Il nostro punto forte è la difesa, dove non arrivano loro provo a mettere una pezza io: prendiamo veramente pochi tiri

 

Una doppietta di Megan Rapinoe su calcio di rigore fa volare gli Stati Uniti ai quarti di finale: battuta 2-1 la Spagna. Morgan e compagne troveranno al prossimo turno le padrone di casa della Francia, in una partita stellare. Nell’altro ottavo, di questa terza giornata di scontri diretti ai Mondiali femminili in Francia, la Svezia piega il Canada e raggiunge la Germania.

SPAGNA-USA 1-2

7′ e 75′ Rapinoe (U), 9′ Hermoso (S)

SPAGNA (4-3-3): Panos; Leila, Maria Leòn, Paredes, Corredera; Losada, Torrecilla (83’ Caldentey), Patri; Garcìa (32’ Losada), Hermoso, Putellas (78’ Falcon). Ct. Jorge Vilda

STATI UNITI (4-3-3): Naeher; O’Hara, Dahlkemper, Sauerbrunn, Dunn; Lavelle (89’ Horan), Ertz, Mewis; Rapinoe (97’ Press), Morgan (85’ Lloyd), Heath. Ct. Ellis

I capelli ossigenati color rosa di Megan Rapinoe sventolano a destra e a sinistra in un’esultanza che sa di quarti di finale. Gli Stati Uniti battono di rigore la Spagna e continuano la propria corsa al titolo. Allo Stadio Auguste Delaune di Reims finisce 2-1 per la nazionale a stelle e strisce grazie a due penalty al 7′ e al 75′ della giocatrice del Seattle. Inutile il momentaneo pareggio spagnolo a firma Hermoso al nono minuto. Gli Usa ora sono attesi da un big match contro la Francia padrona di casa, che domenica ha eliminato il Brasile di Marta ai supplementari.

 

 

SVEZIA-CANADA 1-0

55’ Blackstenius

SVEZIA (4-3-3): Lindahl; Glas, Fischer, Sembrant, Eriksson; Rubensson (79’ Bjorn), Asllani, Seger; Jakobsson, Blackstenius, Rolfò. Ct. Gerhardsson

CANADA  (4-4-2): Labbé; Lawrence, Buchanan, Zadorsky, Chapman; Prince (64’ Leon), Scott, Schmidt, Beckie; Sinclair, Fleming. Ct. Heiner-Moller

Sarà la Svezia a sfidare la Germania nei quarti di finale. La squadra scandinava ha battuto 1-0 il Canada al termine di un match all’insegna della noia. Sino al minuto 55, quando Stina Blackstenius sblocca il match coronando un contropiede in velocità su palla in verticale di Asslani. La partita si accende all’improvviso e al 68’ il Canada si guadagna il calcio di rigore del possibile pareggio: dal dischetto però Hedvig Lindahl si tuffa alla propria destra respingendo il tiro di Janine Beckie. Il risultato non cambia più.

Francia-Brasile. Accostare queste due Nazionali quando si parla di calcio è far lievitare i ricordi di una sfida classica del calcio mondiale. Giocatori leggendari di epoche differenti in epiche battaglie che ancora oggi ricordiamo in istantanee iconiche. Come la doppietta di Zinedine Zidane in quel 3-0 del 1998 che consegnò alla Francia la prima storica Coppa del Mondo.

E anche le giocatrici francesi, che proprio in casa stanno vivendo questa esperienza mondiale, vorrebbero replicare il successo di 21 anni fa in quello che è senza dubbio l’ottavo di finale più entusiasmante di Francia 2019. Da un lato la Nazionale che ha superato il proprio girone come prima e a punteggio pieno; dall’altro le brasiliane che sono arrivate terze nello stesso raggruppamento dell’Italia e che, pur avendo preso parte a tutte le otto edizioni, non hanno mai sollevato il trofeo.

Per caricare d’adrenalina il match in programma domenica 23 giugno alle 21 allo Stade Oceane di Le Havre, la Fifa ha chiesto alle Blues cosa rappresenta per loro giocare contro la Seleçao:

Amandine Henry, centrocampista e capitano

La squadra femminile brasiliana ha una buona cultura calcistica: è nei loro geni. Francia-Brasile sicuramente attira attenzione mediatica tra giornali e appassionati e noi dobbiamo assicurarci di essere altrettanto all’altezza in campo. Da tifosa, Francia 1998 è un ricordo pieno d’affetto: ho visto la finale a casa e poi sono uscita a festeggiare con i bambini che abitavano nella casa accanto alla mia. E’ un ricordo meraviglioso come supporter, ma ora voglio avere un ricordo bello anche come giocatrice.

Griedge Mbock Bathy, difensore

Ripensiamo tutti alle sfide precedenti tra Francia-Brasile, sia nel calcio maschile che femminile. Le abbiamo già affrontate e sappiamo che sono una squadra con un potenziale enorme e grandi giocatrici. Si sono comportate bene in questo torneo e non deve ingannare il terzo posto: Marta è una grande giocatrice ed è stata nominata miglior giocatrice dell’anno in numerose occasioni. Lei sicuramente è un’avversaria durissima.

Viviane Asseyi, attaccante

Quando la gente dice Francia-Brasile io penso subito al 1998 perché quella partita mi ha fatto scoccare la scintilla per diventare calciatrice. Ora, 21 anni dopo, la gente dice “Francia-Brasile” parlando della partita in cui ci sarà anche io, ed è fantastico.

Aissatou Tounkara, difensore

Siamo stati abbastanza fortunati ad avere una partita così entusiasmante agli ottavi, al di là dei pronostici.

Eugenie Le Sommer, attaccante

Francia-Brasile evoca il calcio stesso. Anch’io penso alla finale del 1998, al 3-0: sono stati momenti grandiosi che abbiamo vissuto in tutto il Paese e rimangono impressi nella mente. Grandi ricordi indelebili.

Corinne Diacre, allenatrice

No, non è solo una partita leggendaria del passato: è l’ottavo di finale di Francia 2019 femminile.