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Dalle grandi sfide tra Coppi e Bartali, alle imprese della Nazionale azzurra di calcio, non c’è stato evento sportivo che da fine ‘800 a oggi non sia stato visto, commentato, riportato agli italiani, dalla Gazzetta dello Sport. A Milano arriva nelle edicole il 3 aprile del 1896 nata dalla fusione tra il settimanale Il Ciclista e il bisettimanale La Tripletta, entrambi di argomento ciclistico. Il giornale esce, inizialmente, il lunedì e il venerdì di ogni settimana, visto che la maggior parte delle gare si svolgono nel fine settimana e il mercoledì o il giovedì. Sulla scia dei fogli da cui nasce, anche la Gazzetta tratta maggiormente di ciclismo, lo sport più seguito a fine Ottocento.

1997-2006: TUTTO VERO! Gioie e dolori di un'epoca - La Gazzetta ...

Tuttavia, bisogna aspettare ancora tre anni per vedere le pagine rosa sugli scaffali delle edicole. Il look iniziale del giornale è, infatti, caratterizzato da pagine verdi. Questo almeno fino al 4 settembre del 1896, quando le pagine vengono colorate di giallo. Il nuovo look non è destinato a durare molto e, il 1° gennaio 1897, si ritorna al colore verde. La Gazzetta dello Sport rimane di quel colore fino al 2 gennaio 1899, anno in cui viene lanciato il nuovo look a cui il quotidiano ci ha abituati.

Prima pagina La Gazzetta dello Sport 15 Febbraio 2004 | Fotografia ...

Non è chiarissimo perché il primo numero fu stampato su carta verde: Gazzetta dice che il motivo potrebbe essere stato economico, perché far “sbiancare” la carta costava più che mantenerla del colore verde chiaro. Altri fanno notare che il verde chiaro era anche il colore del Ciclista, uno dei due quotidiani sportivi dalla cui fusione nacque la Gazzetta dello Sport (l’altro era La Tripletta). E all’epoca esisteva già l’usanza di adottare carta colorata per i giornali sportivi: Le Vélo, un giornale sportivo francese fondato nel 1892, aveva la carta verde, mentre L’Auto – il predecessore dell’odierno quotidiano sportivo L’Équipe – venne fondato nel 1900 e adottò una carta gialla.

LA GAZZETTA DELLO SPORT – VERDE | El parlàva de per lù

Ci sono un paio di eccezioni, però, nell’era moderna. La “rosa” torna a essere verde il 16 dicembre del 2004 per una bella iniziativa: Quel giorno, il giornale aveva accettato la proposta di Shrek2 e del suo distributore, United International Pictures, di cambiare colore per un gesto di solidarietà: una parte del ricavato è stata devoluta al reparto pediatrico dell’Istituto dei Tumori di Milano. Il giornale svestiva per un giorno il rosa per promuovere un cartone animato che ha fatto divertire bambini di tutto il mondo, e nello stesso tempo voleva essere vicino a tanti bambini provati dalla malattia. In quell’occasione, furono raccolti e consegnati 120.000 euro.

Gazzetta dello Sport, prima pagina e titoli del 28 luglio

Successivamente l’11 giugno 2014 è uscita su carta azzurra – come il colore della maglia della Nazionale – per segnalare l’inizio dei Mondiali di calcio; il 28 luglio dello stesso anno è uscita su carta gialla per festeggiare la vittoria del ciclista Vincenzo Nibali al Tour de France (il giallo è il colore della maglia che indossa il primo in classifica durante il Tour de France). Verde è stata anche la prima pagina del numero del 3 aprile 2016, per festeggiare i 120 anni dall’uscita del primo numero.

Perché oggi la Gazzetta dello Sport è verde - Il Post

 

Piangere per lui proprio mentre stavamo per preparagli una bella torta di compleanno. Anche quando si tratta di morte, Lucio Dalla c’ha preso in giro tutti: se n’è andato il primo marzo del 2012 a un passo dal compiere i 69 anni. E i suoi funerali si sono tenuti il 4 marzo, proprio il giorno del suo compleanno come ben ci ricorda una sua canzone autobiografica. Portatore dei valori e dei temi tradizionali della canzonetta italiana, Dalla li ha accolti e fatti propri a modo suo, cantando l’amore senza tempo e spazio in “Caruso”, o la storia malinconica di un barbone che vive nella “Piazza grande” della sua Bologna. Ha cantato e raccontato, però, tutti gli aspetti della quotidianità dandone stesso risalto, stessa importanza.

Risultati immagini per lucio dalla calcio

E tra questi, nei suoi testi c’è tutta la passione per lo sport, diversamente da quello che è il pensiero nobile ed aristocratico di molti cantautori (lo stesso De Gregori, suo grande amico, ebbe difficoltà ad accettare l’inno della Roma scritto dall’amico Venditti). Era da tutti conosciuto come un assiduo frequentatore del Dall’Ara, lo stadio del Bologna calcio, dove era solito sedere accanto a Morandi. Per la stessa squadra scrisse, a quattro mani con  Luca Carboni, Gianni Morandi ed Andrea Mingardi, l’inno dal titolo “Le tue ali Bologna”. Nel 2001, inoltre, compose una canzone “Baggio…Baggio” dedicata al Divin Codino, rinato proprio nella sua breve parentesi bolognese:

Sei mai stato il piede del calciatore che sta per tirare un rigore e il mignolo destro di quel portiere che è lì, è lì per parare…

Ma più di tutto aveva la pallacanestro nel cuore. Da sempre tifoso della Virtus Bologna, con il suo fare da “buffone“, ironizzava sulla sua altezza:

Sono un grande playmaker. Forse il più grande. Mi ha fregato solo l’altezza

Resterà celebre la foto con accanto Augusto Binelli, cestista di oltre 2 metri, entrambi con la casacca bianca con la V nera della Virtus. Eppure nel suo scherzare, ne capiva di basket: ogni tanto scendeva negli spogliatoi, parlava con i giocatori, con la società e tutti accettavano i consigli (e qualche volta le critiche) che era solito impartire, sempre con grande pacatezza. Tifoso sì, ma sempre composto.

La sua altra grande passione erano i motori, le corse automobilistiche. In “Nuvolari” (traccia di spicco del disco “Automobili”, tutto incentrato sulle corse), narra, con ritmi accelerati e frenetici, l’esaltazione mista a mistificazione della folla, disposta ad aspettare un tempo infinito per poi vedere sfrecciare in un manciata di secondi, quando  giunge dall’orizzonte, quel tipetto “basso di statura, al di sotto del normale”. Ed infatti “la gente arriva in mucchio e si stende sui prati, quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore e finalmente quando sente il rumore salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d’amore, e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo”.

Un trasporto emotivo che trova l’apoteosi in una canzone, scritta nel 1996, che ricorda Ayrton Senna, pilota di Formula 1, tragicamente scomparso due anni prima in un incidente in pista ad Imola. Un testo, interpretato in prima persona, da leggere tutto d’un fiato: “Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota e corro veloce per la mia strada anche se non è più la stessa strada anche se non è più la stessa cosa anche se qui non ci sono piloti anche se qui non ci sono bandiere… E ho deciso una notte di maggio in una terra di sognatori ho deciso che toccava forse a me e ho capito che Dio mi aveva dato il potere di far tornare indietro il mondo rimbalzando nella curva insieme a me mi ha detto “chiudi gli occhi e riposa” e io ho chiuso gli occhi”.

 

Ha dato tanto alla canzone italiana e nel suo piccolo, anche al mondo dello sport che non lo ha dimenticato. La Gazzetta dello Sport, il giorno dopo la sua morte, ha reso omaggio al cantautore intitolando ogni articolo in prima pagina con una sua canzone. La partita di calcio Bologna – Novara, in programma la domenica dopo alle 15.00, fu  spostata alle 18.30, dando la possibilità di essere presenti al suo funerale. La Virtus Bologna che ha intitolato la Curva Ovest dov’era solito guardare i match, è scesa in campo sulle note di “Caruso”.

Tra i tanti messaggi, c’e anche quello dell’allenatore Emiliamo Mondonico. Quel giorno disse:

Sono rammaricato di non essere  potuto andare quando sono morti Lucio Battisti e John Lennon, Lucio  Dalla non potevo non venire a salutarlo. Per me Lucio Dalla è stato molto  importante, ha circa la mia età e perciò mi ricorda la mia vita. E’ un pezzo di noi che viene a mancare

Alcuni parlano di Serie A “bundeslighizzata”, similitudine con il campionato tedesco dove la forbice imprenditoriale e in campo tra Bayer Monaco e le restanti squadre è sempre più abissale. Può essere, ma l’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus, segue seppur in maniera eclatante (si parla ormai del trasferimento del secolo) un percorso già avviato da anni, basti pensare alla striscia di Scudetti (sette) ancora aperta e agli acquisti di Higuain dal Napoli e di Pjanic alla Roma, due scippi alla “dirette” concorrenti per fare ancor più terra bruciata (anche l’acquisto di Cancelo, “monitorato” e opzionato dopo la buona parentesi all’Inter è l’ulteriore riprova).

Cr7 che dal Real Madrid viene in Italia scomoda paragoni illustri ed eccellenti e, forse, li supera ampiamente: Maradona al Napoli, Ronaldo – il Fenomeno – all’Inter, ci metteremmo pure Zico all’Udinese nel 1983. Ci sentiamo di condividere l’editoriale di Alberto Cerruti, pubblicato sulla Gazzetta dello Sport, nell’edizione del 10 luglio. I tempi sono ancora al condizionale perché l’ufficialità è arrivata solo nel pomeriggio, ma l’impalcatura concettuale rimane.

 

Lo sbarco di Cristiano Ronaldo sul pianeta Serie A potrebbe battere tutti i precedenti per almeno cinque motivi, senza entrare nel confronto tecnico tra i vari campioni. Unico punto comune (per Maradona e il “Fenomeno) il Paese di provenienza, perché arrivano dalla Liga, sponda Barça però.

La prima differenza a favore di Cristiano è il momento che attraversa l’Italia calcistica e non soltanto per l’assenza al Mondiale. Quando Maradona si presentò a Napoli nel 1984 e Ronaldo all’Inter nel 1997, nessuno diceva come oggi che il loro arrivo avrebbe fatto bene al nostro movimento, perché la Serie A era il teatro dei grandi campioni stranieri. Maradona, infatti, si aggiunse ai vari Platini, Zico, Rummenigge, Falcao, Passarella. Il brasiliano raggiunse Zidane, Batistuta, Savicevic, Boban, Weah, Simeone. Cristiano, invece, sarebbe la nuova attrazione per tutti, in Italia e all’estero.

La seconda differenza riguarda il ruolo mediatico che oggi distingue Cristiano, perché è unico nel suo genere, molto più universale appunto dei tanti campioni che lo hanno preceduto per la fama trasversale che lo accompagna in ogni continente. Tra il Portogallo, di cui è pure capitano, e il Real Madrid, senza scordare il passato al Manchester United, Cristiano a 33 anni supera come immagine Maradona e Ronaldo, arrivati in Italia rispettivamente a 23 e 20 anni.

La terza differenza, strettamente legata alla precedente, riguarda il curriculum di Cristiano che si presenterebbe accompagnato da grandi punti esclamativi, senza gli interrogativi, sia pure ridotti, nella scia dei più giovani che lo avevano preceduto. Cristiano ha vinto cinque Palloni d’Oro e cinque Champions, con due squadre tra l’altro, e quindi non deve dimostrare nulla. Semmai deve continuare a vincere, come ha sempre fatto ovunque, in una squadra abituata ai successi almeno in Italia, mentre Maradona si inserì in un Napoli che non aveva mai conquistato uno scudetto e ci sarebbe riuscito al terzo tentativo.

La quarta differenza, figlia dei tempi moderni, riguarda l’industria che ruota attorno a Cristiano e a quei pochi, come Messi, al suo livello. Maradona è stato il più grande giocatore del Napoli e basta, nel senso che il suo genio si esauriva in campo. Gli ingaggi per le amichevoli e i proventi per gli sponsor di ogni genere, allora soltanto all’inizio, oggi si sono moltiplicati in misura direttamente proporzionale alla fama dei campioni e in questo senso tutto il mondo che ruota attorno a Cristiano non può essere minimamente paragonato a quanto accadeva negli anni 80 e 90.

Infine basta soffermarsi sull’importanza delle maglie e dei rispettivi numeri per capire quanto può valere Cristiano più di Maradona. E’ vero che a Napoli c’è ancora chi gira con una malia azzurra numero 10 con lo sponsor Buitoni, ma oggi il 7 di Cristiano venduto in tutto il mondo, con il bianco del Real Madrid o il risso del Portogallo, sarebbe una garanzia di nuovi introiti per la Juventus, molto di più che in passato. E’ sufficiente pensare quanto potrebbe fruttare alla società bianconera l’idea di acquistare la maglia ufficiale, e non taroccata, di Cristiano da indossare nella sua prima partita, a Torino, in uno stadio ovviamente stracolmo. In attesa di sapere se, e quando, arriverà.

E soprattutto se, e quando, arriverà anche quella famosa coppa. Stregata per la Juventus, ma non per Cristiano.

Alberto Cerruti, Gazzetta dello Sport – 10 luglio.

Corea del Sud, Golden gol, Byron Moreno e Ahn Jung-hwan. Quattro indizi che fanno una prova, anzi apparecchiano il luogo perfetto dell’omicidio calcistico. Sono passati quindici anni dai Mondiali nippocoreani che videro l’Italia del Trap eliminata sciaguratamente dalla Corea del Sud del perugino Ahn e dall’allenatore globetrotter Guus Hiddink.
Una debacle per una Nazionale sulla carta senza dubbio valida tanto da potersi spingere più in là nel torneo, ma frenata dal ct Trapattoni con le sue maniacali fisse che andavano al di là delle reali insidie delle avversarie. Chi si ricorda del terzino ecuadoregno Ulises de la Cruz!? E dell’acqua santa scaramantica usata in panchina?

Il Mondiale del nuovo millennio, del futuristico pallone Fevernova, della prima volta che due paesi, Giappone e Corea del Sud, uniscono le proprie forze per metter su la più gigantesca manifestazione sportiva dopo le Olimpiadi. E poi c’è l’Italia di Buffon, Nesta, Maldini e Cannavaro, di un centrocampo di rottura con Cristiano Zanetti, Tommasi e Di Biagio e poi la qualità e la forza lì davanti con Totti, Vieri, Inzaghi e Del Piero. Con Roberto Baggio lasciato a casa.

Un’Italia che si fa piccolina piccolina, timorosa, col freno a mano tirato e senza esprimere davvero un calcio dominante se non nel match inaugurale contro l’Ecuador, vinto per 2-0 con doppietta di Vieri. Poi la sconfitta per 2-1 contro la Croazia e il pareggio acciuffato per 1-1 contro il Messico grazie alla rete di Del Piero. Piccola nota a margine: l’Italia si qualifica agli ottavi portandosi un bagaglio di quattro gol annullati in due partite tra presunte strattonate e un dubbioso fuorigioco.

E poi arrivò Byron Moreno. Era il 18 giugno 2002 e l’Italia si spostò dal Giappone in Corea, proprio contro i padroni di casa per un ottavo di finale estremamente infuocato. Nello stadio di Daejon si rievocarono spiacevoli fantasmi: “Again 1966” era il messaggio di benvenuto agli azzurri, chiaro il riferimento alla disfatta del Mondiale del 1996 per mano di un’altra Corea, quella del Nord.
Contro i padroni di casa, contro un clima ostile, all’Italia si aggiunse anche la beffarda esibizione arbitrale di Moreno che iniziò subito dopo quattro minuti, quando decise di rendere omaggio ai coreani con un rigore generoso per una trattenuta di Panucci, ma Buffon parò, facendo rimanere in gola l’urlo di gioia di Ahn e dei tifosi rossi.
E’ poi sempre Vieri a sbloccare il match al 18′, a forzare una partita impari dove l’ago della bilancia vestito di nero pendeva nettamente dalla parte dei coreani: il fallaccio su Zambrotta, la ferita alla testa di Coco, il fallo a limite dell’area su Totti rimasero gesti impuniti.

I padroni di casa erano, così, galvanizzati, gli italiani invece iniziarono a perdere le staffe e la concentrazione. Vieri sbagliò alcune clamorose occasioni con il risultato di dover difendere alla bell’e meglio un misero gol di scarto. Tutto invano perché all’87’ l’Italia, per rimanere in tema mitologico nipponico, si fece harakiri: Panucci s’incartò su un cross dalla destra e Seol incrociò di sinistro sul palo lontano. Stadio in fiamme e azzurri nel panico, costretti in extremis ai supplementari.

Lo spauracchio del Golden gol incuteva quasi meno paura rispetto a Byron Moreno che, durante l’extra-time, sfoggiò il meglio: doppio giallo a Totti per una simulazione che non lo era e gol regolare annullato a Tommasi. Il finale era già tutto scritto e fu Ahn, il perugino, a prendere in mano penna e calamaio per scrivere la parola fine: al 115′, Maldini è in ritardo, Ahn spizzica quel tanto che serve a bucare Buffon.
L’Italia era fuori agli ottavi dal Mondiale, la Corea proseguì il suo cammino facendo fuori la Spagna ai quarti, con annesse polemiche, prima di capitolare in semifinale contro la Germania.

Fu un triste epilogo: Paolo Maldini, bersagliato dalle critiche, decise di smettere con la maglia azzurra (rifacendosi con il Milan con la Champions l’anno successivo giocando pressoché tutte le partite della stagione), di Byron Moreno non se ne sentì più parlare tranne qualche anno dopo quando fu condannato a due anni e mezzo di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti.

E Ahn? L’idolo per il proprio paese, antieroe mal riuscito in Italia fu cacciato dal vulcanico patron del Perugia, Luciano Gaucci, che sulle colonne della Gazzetta dello Sport, il 19 giugno, disse:

Non lo voglio più vedere: ha offeso il paese che lo ha accolto

Arrivò in Italia con un’affermazione audace, dicendo di voler essere meglio di Nakata. Lasciò l’Italia dopo due stagioni con 30 presenze sporadiche e cinque gol. Ma con un grande dispiacere: consegnare all’Italia il biglietto di ritorno nel Mondiale del 2002.

Un profondo oblio dal quale, lentamente ma con convinzione, l’Italia deve uscire. La Nazionale non si qualifica per il Mondiale in Russia 2018. Lo 0-0 contro la Svezia, complice la sconfitta per 1-0 in terra svedese, fa ripiombare il calcio tricolore in un vortice di domande e dubbi come 60 anni fa.

Ecco di seguito, una carrellata dei titoli dei quotidiani nazionali e dei siti stranieri dopo il clamoroso flop di Ventura e della sua suqadra. Il Corriere dello Sport è duro e dice: “Fuori tutti”; più laconico, invece, è il commento della Gazzetta dello Sport che titola “Fine”.
Fuori dai confini nazionali, Marca titola: “Mondiale senza Italia”, As, invece: “Dramma! Italia non va al Mondiale”. Ovviamente grande euforia per i siti svedesi. Aftonbladetscrive: “Miracolo a Milano”. Expressen, invece, esalta i giocatori: “Eroi”.