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sergio ramos

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Fonte: Uefa.com

Nel dicembre 2016 ha mostrato su sul profilo Instagram i suoi nuovi quattro tatuaggi. Tutti e quattro sulle dita della mano sinistra, quattro numeri speciali per Sergio Ramos.  Il 35 e il 32 sono i suoi due primi numeri di maglia indossati nel Siviglia, la sua prima squadra, quella che per prima lo ha lanciato nel calcio che conta. Il 19 è l’età che aveva all’esordio con la Nazionale spagnola,  mentre il 90+ è in ricordo del famoso gol segnato all’Atletico Madrid nella finale di Champions League di Lisbona del maggio 2014, che è valso La Décima per la gioia di Carlo Ancelotti e di tutto il Real Madrid.

E non è un caso che in Spagna il difensore del Real sia ormai conosciuto da tutti come Sergio “NoventayRamos”, quello dai gol decisivi e rigorosamente all’ultimo respiro. Una carriera vincente quella del difensore nato a Camas, nell’Andalusia, il 30 marzo 1986; una carriera vincente non solo perché circondato da validi compagni di squadra che lo trascinano verso trofei e vittorie, ma perché è soprattutto lui a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e a prendere in mano il suo fato, il suo destino.

Ramos ad oggi, siamo nel 2020, è vincitore di quattro Champions League e di altrettanti successi nella Liga, ha sollevato le coppe di Euro 2008 e di Euro 2012, intervallate dalla vittoria del Mondiale del 2010. Il difensore centrale è un punto di riferimento per il Real Madrid e per la Spagna dov’è primatista con 170 presenze e 21 gol.

 

Ecco, in sintesi, alcuni record e numeri impressionanti:

  • Il suo trasferimento dal Siviglia al Real Madrid per 27 milioni di euro nel 2005, quando aveva appena 19 anni, è un record per un giovane spagnolo.
  • Ramos è andato a segno in Liga per 16 stagioni di fila, record per un difensore. Nel 2018/19 è andato a bersaglio in 11 occasioni (otto rigori), stabilendo il suo record per una singola stagione.
  • Nell’Olimpo dei difensori ad aver segnato in due diverse finali di Coppa dei Campioni, è l’unico ad esserci riuscito nell’attuale formato. I suoi gol nelle finali di  Champions League del 2014 e 2016 contro l’Atlético Madrid gli hanno permesso di raggiungere Tommy Gemmell (1967 e ’70) e Phil Neal (1977 e ’84).
  • Col pareggio nei minuti di recupero della finale di Supercoppa del 2016 contro la squadra per la quale giocava da ragazzo, il Siviglia, Ramos ha segnato nelle finali di Champions League, Coppa del Mondo per Club e Supercoppa. Non male per un difensore.

Con la casacca della Roja, altri, imponenti numeri: a ottobre 2019, nell’1-1 tra Spagna e Norvegia valevole per le qualificazioni a Euro 2020, ha superato il record di 167 presenze in nazionale detenuto da Casillas. Un traguardo nato in virtù anche del fatto che è stato il  più giovane spagnolo a esordire in Nazionale degli ultimi 55 anni: il suo debutto con la Spagna è arrivato quattro giorni prima del suo 19esimo compleanno, ed è stato festeggiato con una maglia da titolare nelle qualificazioni al Mondiale del 2006 contro la Serbia e il Montenegro.

Chiamatelo Sergol Ramos | Agenti Anonimi

In Nazionale indossa la maglia numero 15 in ricordo di Antonio Puerta, suo ex compagno al Siviglia e scomparso nel 2007. A lui ha dedicato, con una maglia commemorativa esibita durante i festeggiamenti, i due Europei.  Ma il guerriero non sarebbe tale se non citassimo anche un altro “speciale” record: detiene, infatti, il primato negativo di espulsioni col Real Madrid avendo collezionato complessivamente ben 26 cartellini rossi fra tutte le competizioni. È stato inoltre espulso in cinque edizioni del Clásico, un record, l’ultima delle quali in occasione del successo 3-2 del Barcellona in casa del Real ad aprile 2017.

Sergio Ramos minaccia aerea: cronaca di una marcatura impossibile

Di stelle in campo ce ne saranno tante; di vittorie e trionfi gloriosi si potrebbe parlare per giorni. Tra Scudetti vinti dalla Juventus, Champions League alzate al cielo dal Real Madrid e i vari Pallone d’Oro vinti da Cristiano Ronaldo, se dovessimo mettere assieme trofei di squadra e premi individuali dei due club, avremmo bisogno di una bacheca grande quanto il lato lungo di un campo da calcio.

E poi c’è un re-match che scotta ancora, dopo la finale di Champions League tra il club madrileno e quello di Torino che si sono contesi la 62^ edizione al Millennium Stadium di Cardiff e che ha visto le merengues trionfare per 4-1.
Il Real, dopo la maledizione per la “decima” che tardava ad arrivare, con Ancelotti prima e Zidane poi ha piazzato la terza Champions League negli ultimi quattro anni; la Juventus, invece, dopo la delusione di tre anni fa contro il Barcellona è ancora lì desiderosa di completare un ciclo (quasi)perfetto aperto da Conte e proseguito con Allegri.

Due squadre complete in tutti i reparti: esperienza e fantasia si mescolano a intelligenza tattica e affiatamento tra i vari reparti. Giocatori che hanno alle spalle tante finali giocate, con l’adrenalina a mille, la carica e un po’ di tensione per un quarto di finale che ha l’allure di vendetta, ma anche di un forte scossone verso la finale del 26 maggio a Kiev. Ma quanti di loro hanno giocato la finale di un Mondiale, vincendola?

Lo spagnolo

Il difensore Sergio Ramos è l’unico superstite merengues ad aver vinto il Mondiale in Sudafrica nel 2010. Il resto della ciurma che sette anni fa giocava nel Real è, infatti, andato via: Raúl Albiol gioca nel Napoli, Álvaro Arbeloa ha giocato una stagione al West Ham, Xabi Alonso, dopo l’avventura al Bayern Monaco, si è appena ritirato e lo storico leader e portiere Iker Casillas, ancora in attività, difende i pali del Porto.
Così il goleador centrale Sergio Ramos è, in questa finale di Cardiff, l’unico spagnolo che ha sollevato la prestigiosa coppa ideata da Gazzaniga. Con la Nazionale maggiore ha esordito il 26 marzo 2005, quattro giorni prima del suo 19esimo compleanno; e durante i festeggiamenti per il trionfo del Mondiale 2010 con la vittoria per 1-0 contro l’Olanda, Sergio Ramos ha indossato una maglietta con la foto di Antonio Puerta, suo connazionale ed ex-compagno al Siviglia deceduto nell’agosto 2007;

I tedeschi

Quest’anno, tra i teutonici sponda Madrid e sponda Torino, a spuntarla sono proprio gli juventini: da un lato Toni Kroos, 27 anni, arrivato nel club di Madrid nel luglio 2014 da campione del Mondo. Dall’altro lato, Sami Khedira, 30 anni, alla Juventus dal 2015. Entrambi centrocampisti, entrambi protagonisti nella spedizione in Brasile del 2014, entrambi a segno nella stessa e unica partita di tutta la competizione: nel devastante 7-1 contro i padroni di casa. Piccola vittoria, in realtà, per Toni che in quel match ha segnato una doppietta.
Ma nel mercato estivo, però, a scombussolare gli equilibri di questa particolare classifica, è arrivato Benedikt Höwedes, difensore centrale, ex Schalke 04, autentico protagonista ai Mondiali brasiliani. Benedikt, infatti, ha giocato tutte e sette le gare, non perdendosi nemmeno un minuto di gioco (compresi i supplementari). Una sicurezza per il ct  Löw.

Gli italiani

Sono quelli più “anziani” ad aver vinto una Coppa del Mondo. Bisogna risalire al 2006, quasi 11 anni fa dalla finale di Berlino contro la Francia, il nove luglio. Gianluigi Buffon e Andrea Barzagli sono ancora oggi esperienza ed efficacia in difesa: assieme a Bonucci e Chiellini hanno formato, in questa nuova era juventina, una delle difese più forti e sicure della storia. Solo tre gol subiti in quest’avventura europea, merito anche delle parate del 39enne Buffon che oggi, come allora, impressiona ancora per la sua reattività tra i pali.
Del resto, nei nostri occhi è ancora impressa la sensazionale e fantasmagorica parata sul colpo di testa di Zidane nella finale…

E poi c’è Barzagli, scelto nella rosa dei Mondiali del 2006 anche se aveva giocato appena sei minuti nelle qualificazioni, che collezionò due presenze in Germania, tra cui gli interi 90 minuti dei quarti di finale contro l’Ucraina al posto dello squalificato Marco Materazzi. Uscito dal giro della Nazionale dopo il trasferimento al Wolfsburg, grazie all’intuizione della Juventus che l’ha riportato in Italia nel 2011, Andrea è stato uno dei difensori più affidabili negli ultimi cinque anni;

Il francese

Ha smesso di giocare, ma è ancora un vincente. Anche se adesso ha una giacca e una cravatta e mantiene un certo aplomb, sicuramente di più di quanto non faceva in campo. Zinédine Zidane, il figliol prodigo di Carlo Ancelotti come vice sulla panchina del Real, si sta dimostrando un allenatore preparato e sicuro di sé: ha già inanellato due Champions League, una Liga, due Supercoppe europee, una Supercoppa spagnola e due Mondiali per club.

 

La sua ultima immagine legata a un Mondiale è tristemente nota: lui, di spalle, mentre si allontana dal campo e dalla Coppa, dopo la testata inflitta a Materazzi. Ma quando vuole, l’ex fantasista transalpino, la testa la sa usare per far sognare i tifosi: Mondiali del 1998, in Francia, finale allo Stade de France di Saint-Denis contro il Brasile. Un trionfante 3-0 con doppietta proprio del fantasista numero 10: due colpi di testa, il secondo, con tanto di pallone passato in mezzo alle gambe di Roberto Carlos.

Insomma, se volessimo guardare i campioni che hanno vinto un Mondiale, la sfida tra Juventus e Real Madrid finirebbe 4-3…e chi di questi sei sarà il più decisivo nella doppia sfida tra andata e ritorno dei quarti di finale?

Possiamo srotolare tutti gli appellativi prendendo prestiti dalla cultura di massa, dalla letteratura, mitologia o dalla musica: la sfida di Champions League tra Napoli e Real Madrid, in 180 minuti da giocare al Bernabeu e al San Paolo, può avere numerose etichette.
La classica, quella più inflazionata, ci porta alla battaglia tra il gigante Golia e Davide, reminiscenze bibliche che trovano eco nel primo libro di Samuele. Il guerriero filisteo che, a prima vista sembrava invincibile, sconfitto dall’arguzia di Davide e dalle cinque pietre scagliate con la sua frombola.
Dalle citazioni coraniche fino alle opere di Caravaggio, del Bernini o di Tanzio, il dualismo intelletto-forza bruta si è propagato nel linguaggio più comune dei nostri giorni.

Tra i tanti ricami saltati fuori attorno a quest’entusiasmante sfida, oltre al ricordo dell’unico doppio precedente (nel 1987, 2-0 per i merengues all’andata in un Bernabeu a porte chiuse; 1-1 al ritorno in casa dei partenopei), Napoli contro la squadra bianca di Madrid è un match di campioni. Tanti sono i calciatori vincenti che hanno sfilato tra la penisola flegrea e quella sorrentina, tra Puerta del Sol e il Palacio Real. Tra loro ci sono anche discreti campioni del Mondo.

In occasione del Mondiale del 2014 giocato in Brasile, il tabloid inglese Daily Mail pubblicò un articolo sui team e, di riflesso, sui campionati maggiori nazionali che hanno avuto il maggior numero di calciatori vincitori di un Mondiale mentre erano tesserati tra le loro file. Nel complesso, la Serie A ha avuto ben 90 calciatori laureatisi campioni del Mondo (con la Juve in testa con 22, seguita dall’Inter con 18).
Anche la Triestina o la Lucchese o il Lecce possono vantare un menzione speciale, ma tra i pezzi da novanta, a Napoli, ricorderanno con piacere uno in particolare, tanto da dedicargli un altarino in via San Biagio dei Librai: nato a Lanús il 30 ottobre 1960 e con l’azzurro, il bianco e il sole cuciti sulla pelle, che sia dell’Argentina o del golfo, “El Pibe de oro”, Diego Armando Maradona.

Ecco che l’accezione Davide contro Golia acquista una sfumatura in più che ne aumenta la tensione, l’ansia e la scaramanzia. Ma che innalza anche la qualità. Se Maradona è l’unico “napoletano” campione del Mondo, il Real Madrid, infatti, può sfoggiare quasi una formazione intera: ben 10 hanno sollevato in trionfo la gloriosa coppa d’oro di Silvio Gazzaniga.
L’infornata più grande, va detto, è merito della Spagna totalizzante dell’ultima era, con due Europei e il Mondiale vinto nel 2010 nella finale contro l’Olanda decisa da Iniesta.

Ben cinque facevano parte di quella spedizione: il portiere Iker Casillas, i difensori Sergio Ramos, Álvaro Arbeloa e Raúl Albiol (ex di questo incontro assieme a José Callejon) e il centrocampista Xabi Alonso.
A completare la formazione ideale ci sono ancora: il terzino brasiliano Roberto Carlos (Corea del Sud-Giappone 2002) che chiude la difesa a 4, così come 4 sono i centrocampisti con il francese Christian Karembeu (Francia 1998) e il duo tedesco Günter Netzer (Germania Ovest 1974) e Sami Khedira (Brasile 2014). Mancherebbe una punta per completare il modulo, ma al Madrid può bastare un solo attaccante: l’argentino Jorge Valdano (Messico 1986).

Nella storia gloriosa a ritmi alterni del Napoli, Maradona è lui l’unico trofeo che i partenopei possono vantare di più di ogni altra cosa. Perché nel Mondiale del 1986, il numero 10 argentino dimostrò che si possono avere tanti campioni in squadra, ma lui era diverso. Speciale, irriverente, imprendibile, leader. Quello che non erano gli altri.
Quello del 1986 fu un Mondiale perfetto nella sua complessità, nelle sue polemiche, nelle sue tensioni politiche. Forse, anche per questo, irripetibile.
Ma senza ombra di dubbio fu un’edizione piena di stelle: dalla Francia di Platini, all’Inghilterra di Linecker, passando per il Brasile di Socrates e la Germania di Rummenigge. E di una rete fantasmagorica: il gol degli “11 tocchi” di Maradona contro l’Inghilterra, seguita dal telecronista sudamericano che non riesce a stargli dietro e si limita a esclamare “ta-ta-ta”.
Qualche istante prima, invece, la marcatura, altrettanto memorabile, passata alla storia come la “mano de Dios”. La più grande scorrettezza e la più bella magia, insieme nella stesa partita. Solo a Diego è concesso fare questo. Tra la guerra delle Malvine, la crisi diplomatica tra due paesi che, per il controllo delle Folkland, hanno impugnato le armi; tra Inghilterra e Argentina c’era solo lui.

Per tutti gli argentini e per gli sportivi, quello sarà per sempre il Mondiale di Maradona. Lui è riuscito a segnare un passaggio importante nel calcio: si può essere trascinatori di un’intera squadra. Anche da soli.
Come ha detto Giovanni Galli, portiere dell’Italia quell’anno:

Se Maradona avesse vestito la maglia della Corea, quell’anno la Corea avrebbe vinto il Mondiale