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Abbiamo dovuto aggiornare per l’ennesima volta il foglio con le imprese di Roger Federer: da oggi (ma chissà per quanto ancora) la più grande è la vittoria all’Australian Open 2017, ottenuta a 35 anni e mezzo, con una finale fantastica e faticosa di cinque set nella quale ha messo da parte il suo nemico di sempre Rafael Nadal, dopo sei mesi fuorigioco per un ginocchio malandato.
L’eco di una pagina storica non si è ancora placato, ma Re Roger, il giorno dopo il suo trionfo, era già con il pensiero altrove: ha trovato un attimo, un istante per fermarsi e dedicare la vittoria a una persona speciale. La persona che ha creduto in lui quando era un ragazzino, quando il talento c’era, acerbo, ma andava indirizzato, andava preparato alle sfide più mature e difficili della vita. Un ragazzino troppo duro con sé stesso per quanto voleva essere perfetto. Quella persona era Peter Carter, il suo allenatore australiano.

Carter era nato ad Adelaide, cresciuto come tennista anche se una serie di continui infortuni intaccarono un fisico non eccessivamente sportivo. Così a 27 anni, Carter disse “stop” al tennis giocato. Dopo l’addio dalle scene decise di trasferirsi, dopo qualche tempo, in Svizzera. Era il 1991.
Coincidenze, segno del destino? Peter fu contattato dal circolo della zona di Basilea, l’Old Boys Tennis Club, dove avrebbe allenato i giocatori del club e disputato partire qua e là.
E fu proprio lì che, per la prima volta, vide Roger Federer. Aveva solo 10 anni e tra i due passavo 17 anni di differenza, eppure tra i due c’era un rapporto non solo professionale, ma anche di amicizia. Fratello maggiore e fratello minore.

Il primo agosto del 2002, a una settimana dal 21esimo compleanno di Federer, Peter Carter perse la vita in Sudafrica in un incidente stradale. Un colpo profondo per il giovane svizzero.
Il 14 agosto, nella chiesa di San Leonardo, a Basilea, si celebrarono i funerali e lì Roger vide per la prima volta, in quell’occasione, i genitori di Peter. E, nella recente finale di Melbourne, si sono incrociati di nuovo.
In un’intervista all’Australian Associated Press, Federer ha parlato dell’impatto che il suo ex-coach ha avuto sulla sua carriera. L’impatto maggiore, dice, sul suo meraviglioso stile di gioco; il mentore più influente per lui:

Peter Carter ha avuto il maggiore impatto su di me e sulla mia tecnica. Sono stato in grado di perfezionare il mio stile in seguito nella mia vita, ma lui è stato fondamentale per la mia crescita ed è per questo che sono così felice che i suoi genitori erano alle finali di ieri e mi hanno visto vincere. Significava davvero molto per me.

 

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin

Roger Federer è come il vino: con il tempo migliora. E sembra quasi assurda tale affermazione se pensiamo alla carriera stratosferica del tennista svizzero. Ma a 35 anni, lui che ha sempre fatto spazio a classe ed eleganza, non perde un colpo. La mano, la racchetta e la forza sono calibrate in un perenne gioco di equilibrio per servire colpi autentici da maestro qual è lui.

Per Roger Federer è la 13esima seminale su 14 apparizioni agli Australian Open: spazzato via il tedesco Mischa Zverev che ha giustiziato Andy Murray lungo il suo cammino. In meno di due ore, 3 set a 0 (con il punteggio di 6-1 7-5 6-2) e ad attenderlo e a sbarrare la sua strada verso la finale è il connazionale Stan Wawrinka.
Nella gara contro il tedesco (che gli ha tenuto testa a livello di qualità espresso), Re Roger ha ammaliato gli spettatori con colpi, magie e geometrie, come il doppio “lob” (pallonetto) rifilato nel giro di un paio di scambi: se al primo tentativo Zverev è stato lesto, al secondo si solo potuto inchinare. Ecco il video: