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Uno è diventato campione del mondo ed è stato il primo capitano nero della Germania; l’altro nella sessione invernale del calciomercato è approdato – inaspettatamente – al Barcellona. E poi c’è il terzo che con il calcio non ha concluso nulla, eppure a detta degli altri due era il più promettente.

E’ la famiglia Boateng o meglio i “Die Brüder Boateng”: c’è Jerome che di anni ne ha 30, poi Kevin-Prince, un anno più vecchio, e George, 37 anni per lui. George e Kevin hanno una madre diversa rispetto a Jerome che infatti è cresciuto in un quartiere benestante di Berlino, a differenza degli altri due che si sono fatti le ossa dalle parti di Wedding, zona nod-ovest della capitale tedesca.

 

La Berlino post crollo del Muro, quella degli anni ’90 tosti, dei campetti di periferia, delle strade da prendere e dei rischi da correre. A tutti e tre piaceva il calcio, anche George prometteva bene, anzi era quello con il maggior talento tra i tre. Tutti passati nelle file giovanili dell’Hertha, a George, però, la testa calda l’ha tradito, così quei treni da cogliere nella vita che non passano spesso o che passano sotto al naso senza accorgersene li ha visti allontanarsi.

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La storia dei tre fratellini è, però, un simbolo della nuova Germania multietnica. Non a caso proprio su di loro si è basato un libro prima e poi uno spettacolo teatrale chiamato “Peng Peng Boateng”, che racconta la loro storia. Berlino è molto presente nella vita dei tre fratelli, ognuno per un motivo diverso. Il calcio al centro di tutto. A Wedding, precisamente a Travemünderstrasse, Kevin e Jerome hanno iniziato a dare i primi calci ad un pallone. Nel “Panke”, una vera e propria gabbia, dove ancora oggi ragazzini di tutte le età si ritrovano per giocare. Lì dove i Boateng si sono imparati a conoscere davvero anche fuori dal campo.

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Jerome ora è un pilastro del Bayern Monaco; Kevin-Prince ha deciso di giocare per il Ghana, nazionalità del padre, è esploso nel Milan prima di girare tra Schalke, La Palmas, Francoforte e Sassuolo. George, invece, ha intrapreso la carriera da rapper dopo qualche mese di reclusione e una vita lasciata quasi subito come allevatore di cani. Nel 2015, BTNG (è il suo nome d’arte),  ha pubblicato un singolo che si intitola “Gewachsen auf Beton” (letteralmente “Cresciuto sul cemento”) il cui video è girato interamente a Wedding ed riconoscibile il gigantesco murale che raffigura il viso dei tre Boateng che proprio lì sono cresciuti. L’opera, un esempio ben riuscito di guerrilla-marketing effettuato da Nike durante un suo evento per la presentazione di una nuova collezione di scarpe da calcio, fa da cornice anche a un altro video “Kafigtiger” (gabbia della tigre) dove compaiono proprio Jerome e Kevin-Prince che giocano nella gabbia. Nel loro Panke.

Solo dieci anni fa sarebbe stato impossibile assistere a una standing ovation, all’interno di una trasmissione musicale nazionale, davanti a un’esibizione rap. Ma Anastasio sul palco di X Factor sta, incredibilmente, mettendo tutti d’accordo: ha colpito i giudici sin dalle prime selezioni per la sua capacità di scrittura, la potenza delle immagini che sa evocare, la sua maturità e la geniale propensione agli incastri con testi mai banali e sempre potenti. Lui che, in un programma generalmente di cover, deve scrivere qualcosa di suo a ogni puntata al punto da leggere, con ironia, il commento dei The Jackal sulla trasmissione del 22 novembre dedicata agli inediti dei giovani artisti.

Entrato nella squadra di Mara Maionchi, Anastasio è presto diventato uno dei pupilli del suo giudice (gasatissima dalla sua performance della scorsa settimana, quando ha reinterpretato alla sua maniera “Another brick in the wall” dei Pink Floyd), amatissimo dal pubblico, nonché uno dei favoriti per la vittoria finale. Basti pensare alle parole con cui recentemente lo ha lodato un giudice “avversario” come Fedez:

Sei una vera e propria penna. Incastri le rime molto bene, fai cose che a me piacciono un sacco. Non ho mai trovato una persona che scrive così a X Factor.

Una sorta di investitura, per un giovane rapper di Meta di Sorrento e che tifa Napoli. Sì perché se ora è riconosciuto grazie allo slancio di X Factor, sul web si è fatto notare già all’inizio di quest’anno grazie a una canzone dedicata a Maurizio Sarri, ex allenatore della squadra partenopea. Nasta, così si faceva chiamare, ha composto “Come Maurizio Sarri” e, in breve tempo, è arrivata alle orecchie dell’allenatore che a marzo lo volle anche suo ospite a Castelvolturno e che gli regalò un souvenir davvero speciale e unico: una sigaretta autografata dall’allenatore ora al Chelsea.

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Ma di cosa parlava “Come Maurizio Sarri”? La canzone, ovviamente un rap, è un inno a un allenatore cresciuto nei campi di periferia e che ha sempre anteposto la parte estetica del suo calcio al pragmatismo vincente che si insegna nei «piani alti». Il tutto sintetizzato nella frase manifesto: “Noi portiamo la bellezza dell’esproprio proletario”. “Lo faccio per passione come Maurizio Sarri. Niente giacca e cravatta come Maurizio Sarri. Sto con la barba sfatta come Maurizio Sarri”. E, come Maurizio Sarri, anche Anastasio adesso punta a diffondere il “bello”, partendo dal basso, ovviamente.