Tag

Pyeongchang 2018

Browsing

Se una cosa certamente abbiamo imparato dalle Olimpiadi Invernali, e non solo da PyeongChang 2018, è che la nazione regina è la Norvegia:  il paese scandinavo, infatti, ha vinto il medagliere dei XXIII Giochi olimpici invernali con 39 medaglie e ha superato il record di 37 medaglie stabilito dagli Stati Uniti a Vancouver nel 2010. Un risultato storico e oltre ogni aspettativa.

Il paese scandinavo non è solo ricco di panorami adatti allo sport invernale, ma è soprattutto rappresentato dai suoi concittadini che adorano fare ogni tipo di sport su neve e ghiaccio.

Ma qual è il segreto di tale supremazia?

Pare che alla base ci sia il semplice divertimento. Ogni ragazzino norvegese che si affaccia allo sport lo deve fare con serenità e spregiudicatezza. In effetti, come ha specificato il presidente del Cio norvegese, Tom Tvedt:

Prima dei 12 anni, ti devi divertire con lo sport, non ci focalizziamo troppo su chi sia o meno il vincitore. Ci concentriamo, invece, nell’invogliare i nostri ragazzini ad avvicinarsi a uno degli 11mila club sportivi che ci sono nel nostro paese. E funziona, visto che il 93% di bambini e adolescenti è regolarmente impegnato in queste organizzazioni.

Non è quindi un pozione magica o una ricetta miracolosa quella che adotta la federazione norvegese, ma solamente tranquillità e attesa di crescita. Certe volte pare che i ragazzini siano delle macchine e che debbano fare tutto e bene nel giro di pochi mesi e pochi anni, accelerando il loro percorso di crescita, che invece (come insegnano i norvegesi) deve essere graduale.
Ogni ragazzino si affaccia allo sport con un spirito di divertimento più che già agonistico.

Un altro aspetto importante è il budget: La federazione mette a disposizione circa 15 milioni di euro, da spartire tra le Olimpiadi invernali e quelle estive. Cifre ben lontane dai numeri anche della stessa Italia che, nell’ultima ripartizione dei fondi, ha distribuito 145 milioni di euro.
Fra gli sport invernali, inoltre, la Norvegia non stanzia alcun finanziamento per bob, skeleton e slittino, discipline ritenute troppo costose anche per partecipazioni olimpiche senza particolari ambizioni.

C’è da ribadire anche il fatto che gli atleti della federazione norvegese, dal punto di vista economico, non fanno solo affidamento agli stipendi sportivi, ma quasi tutti hanno un lavoro a cui affiancano le attività agonistiche.

Con le vittorie a PyeongChang l’obiettivo è stato raggiunto e ora si punta già a fare meglio in Coppa del Mondo.

Il 23 febbraio, in Russia, è il Giorno dei difensori della Patria, una festa nazionale nella quale gli uomini, considerati tutti potenziali soldati, ricevono auguri e regali. Ma è stata una donna, anzi una ragazzina, che proprio nella giornata odierna ha reso gloria alla Russia: la quindicenne Alina Zagitova, vincitrice, nel pattinaggio artistico, della prima medaglia d’oro russa alle olimpiadi di PyeongChang 2018.

La giovanissima Alina, costretta come tutti i suoi connazionali a gareggiare sotto le insegne dell’Oar (Olympic Athletes from Russia), aveva già concluso il programma corto al comando della classifica, mentre grazie all’ultima prova del programma libero femminile, eseguita sulle note del Don Chisciotte di Ludwig Minkus, ha totalizzato 239,57 punti, suo nuovo primato personale.

Un successo ottenuto in un clima non certo favorevole per gli atleti russi in generale, ed in particolare per la stessa Zagitova, fermata tre giorni subito dopo l’inizio della sessione di allenamento per un controllo anti doping a sorpresa.

Mentre Alina Zagitova diventava la seconda più giovane campionessa olimpica di tutti i tempi, un’altra atleta russa, Evgenia Medvedeva, campionessa del mondo in carica, conquistava la medaglia d’argento, con il punteggio totale di 238,26.

Tuttavia la diciannovenne moscovita non ha potuto trattenere le lacrime per la mancata conquista del gradino più alto del podio, un traguardo che ad inizio stagione sembrava dover essere suo; probabilmente l’infortunio occorsole prima della finale del Gran Prix ha condizionato la sua preparazione e quindi il suo percorso in queste olimpiadi invernali.

La sfida tra le due atlete russe potrebbe presto rinnovarsi il mese prossimo in occasione dei mondiali di Milano, dove la Medvedeva sarà chiamata a difendere il titolo iridato conquistato nelle due precedenti edizioni.

Il terzo gradino del podio è stato conquistato dalla canadese Kaetlyn Osmond, mentre la nostra Carolina Kostner ha chiuso al quinto posto, suo secondo miglior risultato olimpico dopo la medaglia di bronzo di Sochi 2014.

Che quelle di PyeongChang sarebbero state olimpiadi difficili, in Russia ne erano consapevoli tutti. Costretti a gareggiare sotto la bandiera neutrale dell’Oar (Olympics Atheletes from Russia) per via del cosiddetto “doping di Stato” risalente a Sochi 2014, per gli atleti russi, ancora a caccia del primo oro, i problemi sembrano non finire mai.

È di due giorni fa la notizia della positività al meldonio di Alexander Krushelnytsky, fresco vincitore della medaglia di bronzo nel curling doppio misto insieme alla moglie Anastasia Bryzgalova. Una storia poco chiara sin dall’inizio (il meldonio non influirebbe sulle prestazioni sportive, a maggior ragione in uno sport come il curling) che in queste ore si sta tingendo ulteriormente di giallo: lo stesso Krushelnytsky, in precedenza mai risultato positivo, ha infatti accusato un compagno di squadra di averlo sabotato versandogli nella bevanda la sostanza vietata per vendicarsi del fatto di non essere stato selezionato per le olimpiadi.

Sempre due giorni fa la campionessa di pattinaggio artistico, la quindicenne Alina Zagitova, è stata sottoposta ad un test antidoping a sorpresa, pochi minuti dopo aver iniziato gli allenamenti. Un modus operandi che non è stato gradito dalla delegazione russa, secondo la quale Alina avrebbe dovuto terminare la sua sessione di allenamento, prima di sottoporsi a tutti i controlli richiesti.

Intanto appare ancora lontana la risoluzione della controversia tra Russia e Comitato olimpico internazionale sul pagamento a quest’ultimo di una multa da 13 milioni di euro per finanziare la lotta al doping, un requisito che, insieme al rigoroso rispetto delle norme etiche avrebbe potuto riabilitare la compagine russa e permetterle di sfilare sotto le proprie insegne durante la cerimonia di chiusura.

Ma Mosca, come recentemente confermato dallo stesso capo delegazione russo a PyeongChang 2018, Stanislav Pozdnyakov, aveva già comunicato l’intenzione di pagare la sanzione dopo la cerimonia di chiusura, per avere la certezza di poter sfilare con i propri vessilli. Un braccio di ferro che nei prossimi giorni dovrà inesorabilmente concludersi, vedremo a favore di chi.

L’esordio a PyeongChang 2018 non è stato certo dei migliori per la nazionale olimpica russa di hockey su ghiaccio maschile, sconfitta per 3 a 2 dalla Slovacchia dopo un iniziale doppio vantaggio. Tuttavia l’entusiasmo in patria per il team allenato dal lettone Oleg Znarok non sembra averne risentito e l’obiettivo rimane quello della vigilia: il gradino più alto del podio.

D’altronde, come recita un detto popolare russo: “Un’olimpiade senza oro nell’hockey è come una festa di matrimonio senza alcolici”. Che la Russia sia la favorita per la vittoria finale nel suo principale sport nazionale, se ne sono accorti anche negli Stati Uniti (anche loro sconfitti ieri per 3 a 2 dalla Slovenia), come scritto tre giorni fa dal New York Times.

Infatti, come ricordato dal quotidiano a stelle e strisce, la Nhl (National Hockey League) aveva già annunciato ad aprile che non avrebbe osservato alcuna pausa durante i giochi olimpici, adducendo come motivazioni il rischio di infortuni ed il calo dei profitti derivanti da sponsor in un periodo dell’anno in cui la concorrenza di calcio e basket è più blanda, impedendo di fatto la partecipazione alle olimpiadi dei suoi atleti, soprattutto americani e canadesi ma anche svedesi e finlandesi.

La compagine russa invece è costituita quasi esclusivamente da giocatori della Khl, Kontinental Hockey League, secondo campionato per club al mondo, al quale partecipano non solo squadre russe ma anche europee e asiatiche. La gran parte degli atleti presenti a PyeongChang 2018 milita nel CSKA di Mosca e nella SKA San Pietroburgo. Il direttore generale della nazionale canadese, Sean Burk, ha affermato:

Credo che la Russia abbia la squadra più talentuosa, per la prima volta dopo tanto tempo c’è un’unica grande favorita alle olimpiadi

L’ultima medaglia d’oro olimpica conquistata dalla Russia risale ad Albertville 1992, quando i giocatori russi facevano parte di una squadra unificata che comprendeva tutte le ex repubbliche sovietiche.

La notizia era già nell’aria. Qualche giorno fa il vice premier e presidente del comitato organizzatore dei Mondiali di calcio Russia 2018, Vitaly Mutko, aveva infatti annunciato che la Russia avrebbe organizzato “olimpiadi alternative”, dopo la fine di Pyeongchang 2018, ma senza fornire ulteriori dettagli né conferme.
La delusione per l’esclusione di circa 70 rappresentanti dello sport invernale russo, compresi gli atleti paralimpici, decisa in sede d’appello dal Tas, il tribunale arbitrale sportivo di Losanna, è stata cocente e brucia ancora, per quella che i russi considerano una vera e propria ingiustizia sportiva nei loro confronti.

Ora c’è l’ufficialità: il primo ministro della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev, ha firmato il 12 febbraio un decreto governativo con il quale vengono formalmente istituiti giochi olimpici invernali alternativi, da svolgersi a marzo, per la durata complessiva di alcune settimane.
La notizia è stata inizialmente diramata dall’agenzia di stampa Tass e subito rilanciata dai principali quotidiani on line, sportivi e non, della Russia.

Le competizioni riguarderanno cinque diversi sport, sci, biathlon, bob, short track e pattinaggio di velocità su ghiaccio e potranno prendere parte non solo gli atleti russi esclusi da Pyeongchang 2018, ma anche atleti stranieri che manifesteranno l’intenzione di parteciparvi. Le città candidate ad ospitare le gare sono San Pietroburgo e Chanty-Mansijsk.

Ecco le parole di Medvedev alla stampa russa:

Ho firmato il decreto per mantenere inalterato il potenziale degli sport invernali, sostenere i nostri atleti e consentire loro di esprimersi e dimostrare al mondo le loro capacità; speriamo che questo aiuti a compensare quei problemi che hanno affrontato i nostri atleti

Il vice primo ministro Vitaly Mutko, aggiungendo che le stesse competizioni si terranno nelle discipline paralimpiche, ha aggiunto:

È stato istituito un fondo premi adeguato per premiare gli atleti vincitori delle olimpiadi

Compierà 18 anni il prossimo 29 giugno, nemmeno un filo di barba, ma qualche brufoletto. Eppure il 17enne Redmond Gerard ha segnato il suo nome nella storia sportiva e olimpionica degli Stati Uniti d’America e dello sport in generale. Gerard, infatti, con il primo posto conquistato domenica 11 febbraio nello slopestyle di snowboard non solo ha regalato la prima medaglia d’oro agli Usa, ma è il primo atleta del nuovo millennio a vincere in un’Olimpiade, in questo caso nei Giochi invernali di PyeongChang 2018.

Il ragazzo prodigio che viene da Westlake, in Ohio, ha chiuso in testa dopo una strepitosa terza prova, scavalcando il duo canadese Maxence Parrot,  argento per lui, e Mark McMorris (che ha alle spalle una storia incredibile), bronzo nonostante esser stato in testa nei primi due run.

Gerard ha piazzato il punteggio decisivo di 87.16 nella terza e conclusiva frazione, dopo due turni nei quali ha commesso svariati errori e che lo hanno costretto a classificarsi come decimo nell’ultimo turno decisivo.
Lo slopestyle è una delle discipline sia dello sci che dello snowboard ed è sport olimpico dai Giochi invernali di Sochi, nel 2014. Lungo una pista in discesa, gli atleti devono realizzare salti e acrobazie, usufruendo di rampe, ringhiere e altri ostacoli. Gerard è, così, il secondo americano a vincere la medaglia d’oro nella disciplina dello slopestyle in un’Olimpiade: al debutto dell’evento di quattro anni fa, a trionfare fu Sage Kotsenburg, ora ritiratosi.

Un ragazzotto guascone fuori dalle righe. E a dimostrarlo è la notte passata in bianco guardando Netflix (le puntate della serie Brooklyn Nine-Nine) alla vigilia della gara più importante della sua vita. Ovviamente la sveglia al mattino, regolata alle 6.30, non l’ha minimamente sentita ed è stato solo grazie al suo compagno di squadra, Kyle Mack, che è riuscito a svegliarsi, dopo essere stato letteralmente buttato giù dal letto. Tra l’altro senza ricordarsi dove aveva lasciato la giacca con cui avrebbe dovuto gareggiare. Giacca che ha poi preso in prestito dall’amico.

Redmond è salito su uno snowboard all’età di due anni e non è più sceso: alcuni anni fa, la sua famiglia ha deciso di costruirgli un terrain park (una riproduzione di una pista dove poter fare snowboard) nel cortile della loro abitazione in Colorado. In breve tempo è diventato talmente popolare che i residenti della zona lo usano per allenarsi ed è nato un profilo Instagram, “Red’s Backyard”, che ha più di 5.600 followers.

A pochissimi giorni dall’apertura dei Giochi Olimpici Invernali 2018, si discute ancora sulla presenza degli atleti russi alle gare.

Sembrava tutto ormai deciso e invece la decisione del Tas di Losanna, che ha scagionato diversi atleti per mancanza di prove nell’indagine antidoping effettuata dal CIO, ha dato inizio ad una serie di ricorsi che non accennano a diminuire neanche a due giorni prima del via.

A breve sarà decisa la sorte di 32 di loro, che hanno fatto ricorso per poter essere riammessi all’ultimo minuto ai Giochi. Tra loro spiccano nomi di grandi campioni, come Viktor Ahn, stella dello short track, e Anton Shipulin, biatleta campione olimpico in staffetta a Sochi 2014.

Insieme a Denis Airapetyan, Vladimir Grigoryev, Sergey Ustyugov e Ksenia Stolbova e tanti altri, attendono con ansia il responso della commissione di Pyeongchang. Ogni caso sarà trattato in maniera individuale per valutare le diverse situazioni, sempre tenendo conto della necessità di prendere una rapida decisione visti i tempi ristretti.

Ma i precedenti non fanno ben sperare. La stessa procedura, infatti, è già stata affrontata da altri 15 russi, 13 atleti e 2 tecnici, che nei giorni scorsi hanno presentato ricorso per la riammissione alle Olimpiadi. Purtroppo, nel loro caso la sorte non è stata benevola e il Cio ha respinto ogni richiesta.

Nonostante l’annullamento della squalifica a vita decretato dal Tas di Losanna, la commissione non ha nemmeno voluto esaminare i casi perché sussistono ancora dubbi sull’integrità sportiva di questi atleti. Secondo il Cio, infatti, il tribunale arbitrale non ha fornito loro motivazioni della sua decisione, necessarie per ritenere davvero puliti gli atleti presi in causa.

Alcuni di loro hanno presentato, quindi, nuovamente ricorso, come Alexander Legkov, campione olimpico di sci di fondo nel 2014, che attende risposta prima di venerdì.

Neanche la Russia ha accettato di buon grado questa decisione del Cio e il primo ministro russo Dmitry Medvedev ha ripreso la questione del complotto contro il proprio paese che ritiene vittima di “violazione dei principi elementari della legge e delle regole olimpiche con lo scopo di rovinare persone e provocare un danno politico alla Russia”.

Oramai manca veramente poco che il sipario si alzi sulla ventitreesima edizione delle Olimpiadi Invernali a PyeongChang e noi di Mondiali.it vogliamo fare un tuffo nel passato per ricordare chi sono stati i primi atleti azzurri a trionfare nella competizione olimpica.

Iniziati nel 1924, i Giochi invernali ci regalarono il primo vero acuto nel 1948 con l’oro di Nino Bibbia nella specialità dello skeleton. A questa ne sono seguite altre 113. La prima gioia femminile, invece, risale all’Olimpiade di Oslo nel 1952 e fu il bronzo di Giuliana Minuzzo nella discesa.

Per poter parlare della prima grande impresa di Nino Bibbia, dobbiamo fare un tuffo di 70 anni e catapultarci nella quarta edizione dei Giochi a Saint Moritz nel 1948. Il 25enne, originario di Bianzone in provincia di Sondrio, era alla sua prima apparizione nella competizione dei cinque cerchi. Tuttavia conosceva bene il territorio dato che da anni viveva proprio nella cittadina svizzera di Saint Moritz. Si sentiva a casa Nino Bibbia e ciò facilitò quella sua grande impresa.

C’è da ribadire, però, che il campione azzurro non era solamente un atleta della specialità skeleton. In quell’edizione il sondriese era iscritto nelle gare di salto (arrivò a 69 metri), pilota sia nel bob a due (dove giunse ottavo) che nel bob a quattro (chiuse sesto) ed era pure nella squadra di hockey. Un vero e proprio atleta a 360 gradi.

Proprio una partita di hockey gli stava facendo saltare la cerimonia ufficiale del suo skeleton, nel quale era riuscito a salire sul podio più alto. Nino Bibbia, inoltre, è stato anche un innovatore: 50 anni prima delle action cam che troviamo in testa a quasi tutti i partecipanti, in una delle sue gare Bibbia indossò sulla schiena una cassetta d’acciaio con all’interno una camera da presa pesante oltre 40 chili, per raccogliere immagini durante la discesa.

Per trovare il primo sorriso femminile, invece, dobbiamo trasferirci a Oslo durante le Olimpiadi del 1952. La gioia è stata tutta per la nostra “donna jet” Giuliana Minuzzo, sciatrice alpina classe 1931, originaria di Marostica in provincia di Vicenza.

Foto de “La Stampa” del 24/02/1960 – Olimpiadi di Squaw Valley ’60

L’azzurra all’epoca era 21enne e chiuse la gara solamente dietro l’austriaca Trude Beiser e la tedesca Annemarie Buchner . Una medaglia importantissima per lo sport azzurro, basti pensare che, nella storia italiana ai Giochi Invernali, solamente in altri quattro casi atlete azzurre sarebbero salite sul podio nei successivi 40 anni, e cioè fino ad Albertville 1992 con Deborah Compagnoni. Nel mezzo solo la stessa Minuzzo (bronzo nel gigante a Squaw Valley 1960), Erika Lechner (oro nello slittino a Grenoble 1968), Claudia Giordani (argento nello slalom a Innsbruk 1976) e Paola Magoni (oro nello slalom a Sarajevo 1984).

 

Il quadro degli sport invernali rappresentati dai nostri azzurri alle prossime Olimpiadi di Pyeongchang si fa sempre più chiaro. Molti di questi possiedono già il pass per accedere alla competizione olimpica, mentre per altri si deve ancora aspettare almeno circa un mese.

Al momento in Corea del Sud voleranno 34 atleti azzurri nelle discipline sportive del curling, pattinaggio di figura, short track e biathlon.

Gli sport azzurri già qualificati

La qualificazione del curling è avvenuta nel fine settimana con la grande impresa storica della squadra maschile. Saranno presenti a Pyeongchang quattro atleti più l’alternate.

Nel pattinaggio di figura i posti occupati dai nostri azzurri sono sette. Oltre alla possibilità di schierare i propri rappresentanti migliori nelle diverse specialità, l’Italia ha conquistato la possibilità di partecipare al team event, una competizione esclusiva per le dieci migliori nazionali delle ultime due stagioni.

Il team tutto al femminile dello short track, con la portabandiera Arianna Fontana in testa, è composto da 5 pattinatrici. Ancora da decidere gli uomini che svolgeranno le prove individuali.

Undici atleti, divisi in 5 uomini e sei donne, sono i rappresentanti del biathlon alle Olimpiadi di febbraio.

Gli sport ancora da definire

Tra gli altri sport invernali le partecipazioni si devono ancora decidere nel prossimo mese di gennaio.

Sci alpino, sci di fondo, combinata nordica, salto con gli sci, freestyle, snowboard daranno le loro adesioni il prossimo mese, come bob e skeleton, la cui data è fissata per il 14 gennaio.

Entro la fine dell’anno invece sapremo quanti atleti schiereranno le discipline dello speed skating e dello slittino.

Non resta dunque che aspettare che il quadro sia completo e conoscere poi i nomi degli atleti ufficialmente convocati a rappresentare l’Italia ognuno nel proprio sport di riferimento.