22 febbraio 1980, giochi olimpici invernali di Lake Placid, torneo di hockey su ghiaccio. Gli Stati Uniti, approdati alle olimpiadi con una squadra raffazzonata composta prevalentemente da dilettanti e giocatori universitari, affrontano l’Unione Sovietica, grande favorita per la vittoria finale. Nel pieno della guerra fredda (L’URSS aveva da poco invaso l’Afghanistan) va in scena quello che è passato alla storia come il miracolo sul ghiaccio: gli americani battono in rimonta i sovietici per 4 a 3 e dopo l’ulteriore vittoria contro la Finlandia conquistano un oro insperato.
Cambiano i tempi e le circostanze, ma certe rivalità sono dure a morire e anche se non ci è dato ancora sapere chi vincerà il torneo di hockey su ghiaccio a PyeongChang 2018, una cosa è certa: stavolta il “miracolo” non c’è stato.
Le due superpotenze del ghiaccio, si sono incontrate e il verdetto è stato inequivocabile: la Russia, costretta a gareggiare senza nome (si chiama Oar che sta per Olympic Athlet from Russia) né bandiera, ha calato il poker contro gli Stati Uniti, presentatisi ai giochi olimpici senza i giocatori della NHL, la National Hockey League, il principale campionato al mondo per club.
Una vittoria, ottenuta grazie alle marcature di Nikolai Prokhorkin e Ilya Kovalchuk, entrambi autori di due doppiette, di fondamentale importanza, che ha permesso alla Russia di conquistare il primo posto del girone B, complice anche la contemporanea vittoria della Slovenia sulla Slovacchia, e quindi la qualificazione diretta ai quarti di finale.
Il coach americano Tony Granato:
Ero furioso perché a due minuti dal termine e già sul punteggio di 4 a 0, la Russia ha schierato la sua migliore cinquina. Spero di incontrarli nuovamente, la prossima volta il risultato sarà diverso
Vyacheslav Fetisov, due volte medaglia d’oro olimpica nonché ex ministro dello sport russo:
In queste olimpiadi non abbiamo rivali all’infuori di noi stessi
Dopo la partita forse c’è da credergli.