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Piangere per lui proprio mentre stavamo per preparagli una bella torta di compleanno. Anche quando si tratta di morte, Lucio Dalla c’ha preso in giro tutti: se n’è andato il primo marzo del 2012 a un passo dal compiere i 69 anni. E i suoi funerali si sono tenuti il 4 marzo, proprio il giorno del suo compleanno come ben ci ricorda una sua canzone autobiografica. Portatore dei valori e dei temi tradizionali della canzonetta italiana, Dalla li ha accolti e fatti propri a modo suo, cantando l’amore senza tempo e spazio in “Caruso”, o la storia malinconica di un barbone che vive nella “Piazza grande” della sua Bologna. Ha cantato e raccontato, però, tutti gli aspetti della quotidianità dandone stesso risalto, stessa importanza.

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E tra questi, nei suoi testi c’è tutta la passione per lo sport, diversamente da quello che è il pensiero nobile ed aristocratico di molti cantautori (lo stesso De Gregori, suo grande amico, ebbe difficoltà ad accettare l’inno della Roma scritto dall’amico Venditti). Era da tutti conosciuto come un assiduo frequentatore del Dall’Ara, lo stadio del Bologna calcio, dove era solito sedere accanto a Morandi. Per la stessa squadra scrisse, a quattro mani con  Luca Carboni, Gianni Morandi ed Andrea Mingardi, l’inno dal titolo “Le tue ali Bologna”. Nel 2001, inoltre, compose una canzone “Baggio…Baggio” dedicata al Divin Codino, rinato proprio nella sua breve parentesi bolognese:

Sei mai stato il piede del calciatore che sta per tirare un rigore e il mignolo destro di quel portiere che è lì, è lì per parare…

Ma più di tutto aveva la pallacanestro nel cuore. Da sempre tifoso della Virtus Bologna, con il suo fare da “buffone“, ironizzava sulla sua altezza:

Sono un grande playmaker. Forse il più grande. Mi ha fregato solo l’altezza

Resterà celebre la foto con accanto Augusto Binelli, cestista di oltre 2 metri, entrambi con la casacca bianca con la V nera della Virtus. Eppure nel suo scherzare, ne capiva di basket: ogni tanto scendeva negli spogliatoi, parlava con i giocatori, con la società e tutti accettavano i consigli (e qualche volta le critiche) che era solito impartire, sempre con grande pacatezza. Tifoso sì, ma sempre composto.

La sua altra grande passione erano i motori, le corse automobilistiche. In “Nuvolari” (traccia di spicco del disco “Automobili”, tutto incentrato sulle corse), narra, con ritmi accelerati e frenetici, l’esaltazione mista a mistificazione della folla, disposta ad aspettare un tempo infinito per poi vedere sfrecciare in un manciata di secondi, quando  giunge dall’orizzonte, quel tipetto “basso di statura, al di sotto del normale”. Ed infatti “la gente arriva in mucchio e si stende sui prati, quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore e finalmente quando sente il rumore salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d’amore, e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo”.

Un trasporto emotivo che trova l’apoteosi in una canzone, scritta nel 1996, che ricorda Ayrton Senna, pilota di Formula 1, tragicamente scomparso due anni prima in un incidente in pista ad Imola. Un testo, interpretato in prima persona, da leggere tutto d’un fiato: “Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota e corro veloce per la mia strada anche se non è più la stessa strada anche se non è più la stessa cosa anche se qui non ci sono piloti anche se qui non ci sono bandiere… E ho deciso una notte di maggio in una terra di sognatori ho deciso che toccava forse a me e ho capito che Dio mi aveva dato il potere di far tornare indietro il mondo rimbalzando nella curva insieme a me mi ha detto “chiudi gli occhi e riposa” e io ho chiuso gli occhi”.

 

Ha dato tanto alla canzone italiana e nel suo piccolo, anche al mondo dello sport che non lo ha dimenticato. La Gazzetta dello Sport, il giorno dopo la sua morte, ha reso omaggio al cantautore intitolando ogni articolo in prima pagina con una sua canzone. La partita di calcio Bologna – Novara, in programma la domenica dopo alle 15.00, fu  spostata alle 18.30, dando la possibilità di essere presenti al suo funerale. La Virtus Bologna che ha intitolato la Curva Ovest dov’era solito guardare i match, è scesa in campo sulle note di “Caruso”.

Tra i tanti messaggi, c’e anche quello dell’allenatore Emiliamo Mondonico. Quel giorno disse:

Sono rammaricato di non essere  potuto andare quando sono morti Lucio Battisti e John Lennon, Lucio  Dalla non potevo non venire a salutarlo. Per me Lucio Dalla è stato molto  importante, ha circa la mia età e perciò mi ricorda la mia vita. E’ un pezzo di noi che viene a mancare

Alberto Bucci esce dal parquet. Non l’hanno fermato né una zone press asfissiante, né un quinto fallo discutibile. Solo una malattia che lo tormentava da anni ha portato via uno dei tecnici più vincenti e carismatici dello sport italiano. Lo piange la sua Virtus Bologna, lo piangono tutti gli appassionati che l’hanno apprezzato in panchina e come opinionista televisivo. Se n’è andato a 70 anni dopo aver visto solo qualche giorno fa la sua Virtus fino alla fine, nella semifinale di Coppa Italia contro Cremona.

Era iniziato tutto…con la Fortitudo

Bucci aveva esordito da coach a soli 25 anni con la sua “Bologna sbagliata”, ovvero non con la Virtus ma con la Fortitudo nel 1974. Poi Rimini e Fabriano fino all’incontro fatale con le V nere nel 1983. Subito uno scudetto, replicato per due volte nella sua seconda esperienza bolognese negli anni ’90. Nel suo palmares anche 4 Coppe Italia, una Supercoppa italiana, tre promozioni nella massima serie (Fabriano, Rimini e Verona) e anche un Mondiale con la Nazionale over 45 nel 2009.

Era una persona di una cultura sottile e importante. Aveva grande carisma, personalità, era molto sensibile. Sapeva capire gli errori dei giocatori. A me perdonò alcune dichiarazioni scomode, quando comprese che non erano rivolte a lui. Un grande allenatore, su questo non si discute, ma mi ha insegnato soprattutto l’umanità.

Carlton Myers affida al Resto del Carlino il ricordo di Alberto Bucci. Hanno vissuto insieme un anno a Pesaro, ma sono stati grandi rivali nei derby tra Virtus e Fortitudo. C’era anche il coach bolognese nella celebre foto del 1983 con Lucio Dalla e Augusto Binelli. Lo stesso ex centro della Virtus commentava qualche tempo fa al quotidiano bolognese la genesi di quello scatto:

C’erano Alberto Bucci, il coach, e l’avvocato Porelli che, seduto in panchina, sovrintendeva tutto. Lucio aveva un grande controllo di palla, un ottimo tiro. Si vedeva che conosceva bene i fondamentali della pallacanestro

Il suo unico vero errore durante il Mondiale negli Stati Uniti nel 1994? Beh, girare un’imbarazzante spot per l’Ip, la vecchia Italiana Petroli.
Ironia, tanta ironia, al punto da dimenticarsi del rigore fallito dagli 11 metri più importanti della sua vita. E anche della nostra. Contro il Brasile, in finale a Pasadena. Vien da sorridere perché, in fondo, a quel Mondiale, Sacchi, l’Italia e noi italiani ci siamo aggrappati per il “codino”. Roberto Baggio trascinatore di una spedizione, alla fine, fallimentare.

Ma il Baggio che gira la pubblicità per l’Ip e che viene sapientemente caricaturizzato dalla parodia di Guzzanti, altro genio assieme al numero 10, ci porta nell’altra dimensione della comunicazione. La società contemporanea non rimaneva impassibile: lui spostava gli equilibri della Serie A  e spostava, al contempo, la fantasia e l’opinione. Baggio ha cambiato tante maglie, ma si può dire che l’unica casacca indossata nella sua carriera è proprio la fantasia.

Nazionalpopolare al punto giusto, il “Divin codino” è riuscito anche a distorcere la realtà, a plasmarla rendendola piacevole ed eterna come i sogni dei tanti tifosi. Quella traversa che trema ancora con il portiere carioca Taffarel che esplode di gioia, così, sempre in uno spot, questa volta della Wind, diventa un tiro che supera la dimensione della logica e si insacca in rete.

Era il 2000, ben sei anni dopo gli Usa, in mezzo un altro campionato del mondo finito ai rigori, contro la Francia, nel 1998. Al Mondiale transalpino, Baggio ci arriva dopo una stagione incredibile, la più prolifica dal punto di vista realizzativo.
Con l’idea di trovare continuità per convincere il ct Cesare Maldini, Roby accetta di trasferirsi dal Milan al Bologna (nel mezzo un accordo quasi raggiunto con il Parma, ma senza la convinzione di Carlo Ancelotti).
Si taglia il codino, si converte al buddismo, segna 22 reti in 30 partite. E’ la sua rinascita, Bologna si esalta, la Granarolo, con sede nel capoluogo emiliano, decide di andare in tv per esaltare il “campione dell’alta qualità”:

Lui l’anno dopo lascia l’Emialia-Romagna per tornare a San Siro, questa volta sponda Inter. Ma tra i rossoblu ha lasciato un profondo amore: all’ombra della Torre degli Asinelli e di portici in portici, il nome di Roberto provoca autentica nostalgia.
Chi si addormenta con la sua maglia, chi ne parla al bar, chi non vede più un senso alla domenica pomeriggio senza lui in campo. Tra loro c’è il bolognese Cesare Cremonini, ex frontman dei Lunapop che, sulle note di “Marmellata#25”, dice:

Ah, da quando Senna non corre più
Ah, da quando Baggio non gioca più
Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu
Non è più domenica

A Bologna ha incantato tutti, anche Lucio Dalla che, nel 2001 all’interno dell’album Luna Matana scrive la canzone “Baggio Baggio”:

Sei mai stato il piede del calciatore che sta per tirare un rigore,
e il mignolo destro di quel portiere che è lì, è lì per parare
meglio, sta molto meglio il pallone, tanto, lo devi solo gonfiare.

Baggio è arte con le calze slabbrate a coprire i parastinchi. Arte che entra nell’arte come la musica oppure alzando il sipario di un teatro. “Orfeo Baggio”, infatti, è una pièce musicale, è un giallo complesso con sullo sfondo un omicidio, realizzato da Mario Morisini.
In un articolo sul Corriere della Sera, il sceneggiatore disse: «Accostare Baggio a Orfeo può parere provocatorio, in realtà si tratta di due miti con molte affinità. Entrambi sono incantatori di folle: Orfeo con la cetra, Baggio con il pallone. Entrambi devono affrontare una discesa agli Inferi alla ricerca di qualcosa di impossibile. Per me, figlio di un operaio emigrato in Francia, le origini italiane sono sempre state motivo di fierezza. Ma accanto a Leonardo e Michelangelo, a Verdi e Manzoni, non esito ad aggiungere Baggio. A suo modo anche lui un artista sommo».

Baggiomaniaci, baggiocentrici e chi più ne ha di neologismi, più ne metta. Forse è esagerato? Beh Roby è talmente mitologico che è finito anche in un episodio di “Holly&Benji”, massima espressione infantile e adolescenziale del calcio puro. Puro divertimento. Unica nota stonata, ma divertente: quando Rob Denton calcia il pallone, la voce fuori campo, estasiata, esclama un buffo: “Robbbbbertobbbaggio”. Poesia.

 

Giovanni Sgobba