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L’abbiamo abbandonato in una stanza d’albergo di Rimini, l’abbiamo negato ai nostri sentimenti, quasi dimenticato salvo poi riconvertici dopo la sua morte, il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2004. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguenza di un’overdose di cocaina.
La mamma Tonina grida ancora giustizia, molte cose non quadrano, lei se lo sente, ha inviato più volte a riaprire il caso, poi richiuso: «E’ stato un omicidio e non un suicidio».
Intercettazioni parlano dell’intromissione della camorra, riferendosi all’episodio di Madonna di Campiglio, che alterando il sangue di Pantani lo portò all’esclusione dal Giro d’Italia 1999.

La morte del “Pirata” ha lasciato sgomenti tutti gli appassionati non solo del ciclismo: a testa bassa, abbiamo rimpianto la perdita di un grande corridore, uno degli sportivi italiani più popolari, influenti e belli da vedere dal dopoguerra. Protagonista di tante imprese, anche e soprattutto umane.
Il suo mito, fatto di semplicità e di sacrificio, si è addentrato nella cultura popolare italiana, abbracciando ogni momento della quotidianità. Dal look della sua bandana alle corse tra amici fatte gridando il suo nome passando per il suo impegno sulle due ruote: ha vinto il Giro d’Italia nel 1998, per la prima volta, e nello stesso anno anche Tour de France, 33 anni dopo Felice Gimondi. E chi si dimentica l’incredibile successo nella tappa Les Deux Alpes?
L’accoppiata Giro-Tour è un’impresa riuscita a pochi, pochissimi. Si è ritirato, è ritornato nel 2000 ma non era più lo stesso: durante il Tour de France abbozza una sfida con Lance Armstrong, qualche schermaglia, qualche sussulto finale, prima di lasciare il dominio statunitense.

Anche la musica lo ha celebrato, osannato e ha puntato il dito sulla cecità di chi l’ha abbandonato. Già nel 1999, I Litfiba hanno dedicato a Marco Pantani la canzone Prendi in mano i tuoi anni, pubblicata nel 1999 nell’album Infinito. A differenza di tutte le altre, questa è l’unica canzone scritta quando il ciclista era ancora in vita:

Il tempo corre sul filo segnano il nostro cammino
so già che vuole averla sempre vinta lui
duello duro col tempo con il passato e il presente
e pure oggi mi dovrò affilare le unghie
la luce rossa dice “c’è corrente”
perché qualcosa stimola la mente
il mio futuro è nel passato e nel presente
ehi, dove sei? cosa aspetti ancora?
gioca la tua partita non sarà mai finita
la corsa nel tempo in salita forse è la mia preferita

Poi c’è stato Riccardo Maffoni con Uomo in fuga; Francesco Baccini e la sua In fuga; Alexia ha scritto Senza un vincitore. Tanti artisti differenti come Gli Stadio che hanno scritto appositamente per lui E mi alzo sui pedali, nel quale hanno integrato il testo della canzone con alcuni pensieri scritti dallo stesso ciclista e ritrovati su fogliettini sparsi nella stanza d’albergo:

E mi rialzo sui pedali con il sole sulla faccia
e mi tiro su gli occhiali al traguardo della tappa
ma quando scendo dal sellino sento la malinconia
un elefante magrolino che scriveva poesie
solo per te… solo per te…
io sono un campione questo lo so
un po’ come tutti aspetto il domani
in questo posto dove io sto
chiedete di Marco, Marco Pantani

Nel febbraio 2006, invece, nell’album Con me o contro di me, i Nomadi gli hanno dedicato la canzone L’ultima salita:

Cerchi questo giorno d’inverno
il sole che non tramonta mai
lo cerchi in questa stanza d’albergo
solo e sempre con i tuoi guai.
dammi la mano fammi sognare
dimmi se ancora avrai
al traguardo ad aspettarti
qualcuno oppure no

 

Una canzone dura, ma che ben racconta la critica di una società miope che ha puntato il dito contro quelli che erano i suoi miti per poi scaricarli, secondo logiche morali e ipocrite, è quella scritta da Antonello Venditti nel 2007. Con Tradimento e perdono, il cantautore romano si sofferma non solo su Marco Pantani, ma anche su Agostino Di Bartolomei e Luigi Tengo, uomini che hanno in comune un solo difetto, non esser stati compresi:

Mi ricordi di Marco e di un albergo
nudo e lasciato lì
era San Valentino l’ultimo arrivo
e l’hai tagliato tu
questo mondo coglione piange il campione
quando non serve più
ci vorrebbe attenzione verso l’errore oggi saresti qui
se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui

 

Nicky Hayden non ce l’ha fatta. È deceduto il campione di motociclismo statunitense, rimasto gravemente ferito il 17 maggio in un incidente stradale a Misano Adriatico, mentre si allenava in bicicletta. All’Ospedale Bufalini sono in corso le pratiche di accertamento del decesso.

“Il Collegio medico ha accertato il decesso del paziente Nicholas Patrick Hayden, ricoverato da mercoledì scorso 17 maggio nel reparto di Rianimazione dell’Ospedale Bufalini di Cesena a seguito del gravissimo politrauma occorso in quella stessa data”, si legge nella nota dell’Ospedale. Il 36enne campione del mondo della MotoGp nel 2006 ha avuto il grave incidente mentre si stava allenando in bicicletta intorno alle 14 del 17 maggio, sulla strada provinciale Riccione-Tavoleto, quando è stato investito da una Peugeot 206, guidata da un 30enne di Morciano di Romagna, rimasto illeso. Le condizioni del pilota del Kentucky erano apparse subito molto gravi.

nicky hayden

Intanto, come si legge su ‘riminitoday.it’, è spuntato un video con l’intera dinamica dell’incidente. Il video, che proviene da un impianto di videosorveglianza di un’abitazione a pochi metri dall’incrocio tra via Ca Raffaelli e via Tavoleto, non lascerebbe molti dubbi su quanto accaduto verso le 14 di mercoledì 17 maggio: Hayden avrebbe tirato dritto all’incrocio senza fermarsi mentre, dalla sua sinistra, stava arrivando la Peugeot.