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Anni fa una bambina le ha chiesto: «Ma tu sei una Barbie vivente? Perché hai le braccia e le gambe di plastica…». Lei non si è offesa: «I bambini non hanno filtri e dicono quello che pensano. Va bene così! Dovete piantarla di pensare che noi disabili siamo fatti di cristallo». Oggi la Barbie-Bebe Vio esiste davvero.

All’atleta 22enne, campionessa paralimpica mondiale ed europea in carica di fioretto individuale, è stato assegnato a Milano, a conclusione delle celebrazioni per il 60esimo compleanno della fashion doll, il più alto riconoscimento concesso dal brand Mattel: una Barbie «one of a kind», una bambola in copia unica con le sue sembianze, «al fine di celebrare il ruolo che ha avuto nell’aumentare la consapevolezza delle infinite possibilità a disposizione per le bambine di tutto il mondo».

Appassionata di scherma fin da piccola, Bebe (all’anagrafe Beatrice Maria Adelaide Marzia) a 11 anni è stata colpita da una meningite fulminante, in seguito alla quale ha dovuto subire l’amputazione di avambracci e gambe. Sembrava la fine del suo sogno sportivo, perché all’epoca non esistevano protesi per le braccia adatte alla scherma. Ma lei non si è arresa: grazie alla protesi su cui innestare il fioretto, ideata da suo padre, ha cominciato a competere nella scherma in carrozzina, diventando la prima atleta al mondo con il braccio armato protesizzato. Tra i suoi successi le Paralimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, i Mondiali di Roma nel 2017 e gli Europei di Terni nel 2018. Ora si sta allenando per i prossimi Giochi Paralimpici di Tokyo, l’anno prossimo. Nel 2009, con la sua famiglia, ha fondato “art4sport”, una onlus di sostegno all’integrazione sociale tramite la pratica sportiva dei bambini che hanno subìto amputazioni.

In Italia, lo stesso riconoscimento è stato assegnato quest’anno alla chef stellata Rosanna Marziale, alla cantautrice Elisa, all’astrofisica Sandra Savaglio e alla stilista Alberta Ferretti. Mattel si propone, con questa e altre iniziative, di combattere il «dream gap», il meccanismo psicologico che si verifica solitamente nelle bambine intorno ai 5 anni e «blocca» i loro sogni sul futuro. A differenza dei maschietti, intorno a quest’età smettono di credere di poter intraprendere alcune carriere: ecco perché è importante mostrare loro modelli di donne che si sono realizzate nella loro professione, raggiungendo grandi traguardi.

In attesa del nuovo grande evento offerto da Pyeongchang per domani, con l’inizio delle Paralimpiadi Invernali 2018, volgiamo uno sguardo al passato e ricordiamo la prima medagliata italiana della storia in una gara paralimpica.

Si tratta di Dorothea Agetle, vincitrice di diverse medaglie nell’arco della sua carriera, che nonostante non abbia mai svolto questo lavoro da professionista, dedicando anche la sua vita al lavoro da impiegata, è considerata la più grande fondista della storia.

L’atleta paralimpica di Bolzano ha fatto i conti la sua disabilità sin dall’età di 3 anni, ma la passione per lo sport l’ha aiutata a non mollare mai e al suo esordio, nel 1988, sfiora il podio per soli 11 secondi.  

Ai Giochi di Innsbruck, in Austria, dove lo sport è un obbligo, si è piazzata in quarta posizione, assaporando quasi l’idea della medaglia, mancata per pochi secondi: 

Arrivai quarta nella gara di 2.5 km, non presi la medaglia per soli 11 secondi. E c’è ancora qualcuno che, con una simpatia che vi lascio immaginare, mi chiede se, nel frattempo, io sia riuscita a ritrovarli quegli 11 secondi o se ancora li stia cercando. Un vero peccato, me lo ricordo bene

Ma Dorothea non si è persa d’animo e i suoi sacrifici e il grande impegno le hanno permesso di ottenere finalmente quella medaglia che tanto desiderava. Ma non fu una soltanto: una dopo l’altra arrivarono quelle medaglie che più che un premio per la gara erano un riconoscimento per essere riuscita a farcela nonostante la sua disabilità, vista non come un limite ma una possibilità. 

Il primo successo è datato 1992 ad Albertville, in Francia, dove per la categoria sitting vinse due bronzi, uno sulla 2.5 km e uno sulla 5 km. Poi nel 1994 fu argento sui 10 km a Lillehammer, dove fece anche il bis di bronzi. Un altra medaglia d’argento arrivò poi a Nagano, in Giappone, sui 10 km.

Ecco una delle pochissime foto che ritraggono la grande atleta, emozionata mentre riceve un riconoscimento per le sue performances ottenute nel 1992 come atleta plurimedagliata ad Albertville. 

A dimostrazione del suo modo di vedere lo sport come una passione e un divertimento, se le si chiede di ricordare uno dei momenti più significativi della sua carriera da sportiva paralimpica non si avrà una risposta scontata, legata ad uno dei suoi successi, ma un aneddoto che ancora racconta con grande emozione:

Mi ricordo di quando la norvegese, una che batteva anche i maschi, mi diede dei consigli per non farmi male alla spalla. Poteva non dirmi niente, fregarsene e, invece, mentre gareggiavamo e ci giocavano le medaglie, mi chiamò per nome e mi disse di non alzare troppo il braccio per non farmi male, per non rovinarmi l’articolazione. Sono le dolcezze dello sport che ricordo con maggior affetto

Del resto, oltre alle soddisfazioni, Dorothea Agetle ha anche vissuto attimi di sconforto e tristezza, come nel 2002 quando fu portabandiera alle Paralimpiadi di Salt Lake City. Di quell’edizione non conserva un bel ricordo, come racconta in queste parole:

Avrei potuto fare benissimo, ma fu una Paralimpiade sciagurata a livello emotivo e di squadra. Fui portabandiera e questo attirò su di me odio e invidie che mi rovinarono i Giochi. A pensarci, ancora mi dispiace tantissimo

Oggi, alla vigilia delle Paralimpiadi in Corea del Sud, ecco cosa si sente di dire ai giovani che da domani affronteranno questo percorso e a chi, dopo di loro, vorrà intraprendere la stessa strada: 

Lo sport è bello perché è divertimento, ma ricordatevi che ci vuole anche coscienza e costanza. Aiuta a inserirsi nella società e, vi dirò di più, è bello anche arrangiarsi, trovare delle difficoltà logistiche da superare, come le ho spesso superate io, è bello non avere tutto. Perché così facendo non si è debitori di nessuno e questa, per me, è una cosa importante

Fonte: Gazzetta dello Sport

 

Da oggi fino al 12 novembre, a Roma, si svolgeranno i Mondiali di scherma e una delle partecipanti più determinate e risolute che puntano esclusivamente alla vittoria è Beatrice Vio, detta Bebe.

Non ci sono mezze misure per la campionessa delle Paralimpiadi del 2016 che non intende accontentarsi di una medaglia d’argento ma vuole a tutti i costi arrivare prima. La sua determinazione è totale: niente svaghi, niente distrazioni ma solo allenamento e riposo in vista della gara che la vede già in prima linea da domani nell’individuale e giorno 11 nella prova a squadre.

È proprio il padre a parlare ai giornalisti raccontando questi mesi di preparazione della figlia:

Da quel momento ha smesso di bere alcool e mangiare cibi che appesantiscono. Ha rinunciato anche allo spritz con gli amici

E ha colorito il suo racconto anche con qualche simpatico episodio che dimostra quanto Bebe Vio sia concentrata:

Da settembre in poi ha fatto spola tra Tirrenia, al centro olimpico del Coni, e casa. Una settimana da una parte e una dall’altra, avanti così rinunciando a tutti gli impegni extra per concentrarsi e prepararsi al meglio. Si è fermata anche a casa dell’allenatore della Nazionale Simone Vanni con cui ha instaurato un bellissimo rapporto. Una sera lui le ha detto: Bebe, beviamoci un bicchiere di prosecco per brindare, quando lei ha detto di no, lui ha replicato che avrebbe potuto. Ma niente. Gliel’ho detto e lei, ridendo, mi ha fatto notare: “Papà, Simone l’ha fatto apposta”. Insomma, per metterla alla prova. Ma se Bebe decide, decide: punto

È evidente che la campionessa paralimpica vuole emergere a tutti i costi e per farlo non si risparmia nemmeno fisicamente. Il suo obiettivo è vincere, soprattutto nella sfida a squadre dove la prova è sicuramente più difficile. Vuole vincere per lei e vuole farlo per la sua coatch, Loredana Trigilia, che concluderebbe la sua carriera con un traguardo importantissimo.

Non resta che aspettare fino a domani per vederla gareggiare e tifare per lei, che finora ha regalato al suo paese solo grandi soddisfazioni. La mancata partecipazione della Cina potrebbe, inoltre, essere un altro elemento a suo favore per arrivare fino in fondo, senza per questo sottovalutare il talento degli avversari dell’Ungheria, della Russia e di Honk Kong.