È volato in America a Chicago quando era un ragazzino sedicenne. Ora che di anni ne ha 23, il ricevitore italiano Alberto Mineo, partito da Ronchi dei Legionari (Gorizia), ne ha fatta di strada nell’organizzazione dei Chicago Cubs di baseball.
Il suo sogno attuale è quello di rimanere in America per continuare un percorso di crescita che è partito nel 2010 e che lui in primis non vuole interrompere.
Lasciare tutto da adolescente: casa, famiglia, amici, scuola e la sua squadra, i New Black Panthers, non è stato per niente semplice, ma la voglia di essere un atleta ad alti livelli ha fatto sì che volasse a Chicago, storica città in cui si pratica baseball da secoli.
Come ti trovi a Chicago e come valuti questi sette anni in America?
Con l’organizzazione dei Chicago Cubs mi trovo veramente molto bene, abbiamo uno staff di allenatori molto buono e con una gran voglia di insegnare e far migliorare tutti noi.
Sono giunto al mio settimo anno negli States con i Cubs, sono contento di come sta andando la mia carriera e vado ogni giorno al campo con la grinta di migliorare e diventare un buon giocatore.
Non tutto è andato sempre per il meglio, ad esempio i primi anni sono stati un po’ difficili perché qui si gioca ogni giorno e a volte non è semplice stare dietro a questi ritmi sia fisicamente che mentalmente. Tuttavia con il tempo mi sono abituato e ho imparato a prepararmi sotto entrambi gli aspetti, perfezionando il lavoro sono riuscito ad avanzare.
Il tuo ruolo è quello del ricevitore. Su cosa ti basi per dare le giuste indicazioni al lanciatore?
Come ricevitore devo avere un buon rapporto con tutti i lanciatori della mia squadra per poter essere in sintonia ed avere una fiducia reciproca quando siamo in partita. Prima del match facciamo sempre una riunione dove parliamo con il pitching coach riguardo il nostro piano d’attacco verso i battitori avversari in modo tale da avere delle idee su come chiamare i vari lanci nelle diverse situazioni durante la partita.
Ti è mai capitato di esclamare: “Urca che colpo!”?
Certo, più di una volta mi è capitato di vedere partire la palla dalla mazza del battitore e rimanere stupito. Per esempio quest’anno abbiamo giocato contro i Lansing Longnuts (squadra affiliata ai Toronto Blue Jays) dove gioca Vladimir Guerrero jr. (figlio omonimo del famoso giocatore di Major League Baseball), e, mentre io stavo ricevendo, Guerrero ha battuto un line drive sopra l’interbase che sembrava non cadesse più per la forza con cui la aveva battuta, finché la pallina ha sbattuto dritto contro la recinzione dell’esterno centro sinistro. In quell’istante ho buttato l’occhio sul maxischermo sopra l’esterno centro per vedere quanto veloce andasse la pallina: 108 mph (oltre 170 Km/h).
Qual è la tua più grande soddisfazione?
Beh sicuramente indossare la casacca della nazionale è sempre un gran onore oltre che soddisfazione. Nonostante dia il 100% in qualsiasi match che disputo, quando scendo in campo con la Nazionale c’è sempre quell’emozione che ti da ancor più energia e adrenalina.
Cosa manca al baseball italiano per affermarsi a livello mondiale?
Secondo il mio punto di vista in Italia non si giocano ancora abbastanza partite, che è il miglior modo per perfezionarsi e ottenere quell’esperienza che ogni giocatore deve avere.
Com’è stato vivere all’interno dei Cubs la loro vittoria del World Series 2016, dopo 108 anni di digiuno?
La vittoria delle World Series dei Cubs è stato qualcosa di veramente speciale che si aspettava e sparava da troppi anni. Viverla dall’interno dell’organizzazione ha dato ancor più motivazione a tutti noi delle leghe minori, per lavorare duro ogni giorno. Il nostro scopo è quello proprio di dare il massimo per arrivare un giorno a giocare per la Prima squadra e contribuire alle vittorie.
Hai un numero di maglia a cui sei affezionato?
Adesso sto usando il numero 47 che è lo stesso numero di maglia che ho usato qui a Southbend. Mi ci sono affezionato dopo averlo usato la stagione passata, ma in realtà non c’è nessun motivo particolare per cui l’abbia scelto.

Cosa fai nel tempo libero?
Ahimè di tempo libero non ne ho molto. Di solito guardo dei film, gioco alla PlayStation con i miei coinquilini e mi rilasso per tenermi in forma per le partite.
A fine stagione scade il tuo contratto, che intenzioni hai?
Essendo libero, potrò decidere di firmare per qualche altra squadra. Il mio sogno è quello di restare in America per continuare quella crescita che ho iniziato dal 2010.
Sicuramente l’Italia mi manca, la famiglia e gli amici in primis. Mi manca anche la cucina italiana ma il fatto di essere tutti i giorni in campo e fare ciò che amo, mi aiuta a non pensarci.
Dario Sette