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Se attorno alla eterea figura di Lev Ivanovič Jašin (o Yashin per comodità e popolarità occidentale) esistono così tante leggende e aneddoti è perché: 1- è egli stesso una leggenda che nel corso della sua carriera e anche dopo ha arricchito la fantasia di tifosi e appassionati; 2- il suo essere leggenda deriva semplicemente dal fatto che prima di lui il ruolo del portiere non era degno di menzione. O meglio, era impossibile cucire racconti romantici e romanzati attorno a chi è nato per evitare la gioia del calcio, ovvero il gol.

Il buon Galeano, quasi con carezza paternale, ha scritto belle pagine attorno alla sciagurata figura dell’estremo difensore, ma Yashin ha creato un precedente: si può entrare nella storia del football dal senso di marcia opposto, ma prima di abbandonarci al flusso di racconti parafantastici, siamo pragmatici e scioriniamo una serie di titoli che ha vinto.

Unico portiere a vincere il Pallone d’oro, nel 1963, a 34 anni e dopo aver annunciato (poi ritrattato) il suo ritiro. Dietro di lui, quell’anno, tutti in fila per levarsi il cappello c’erano Rivera, Eusebio, Schnellinger, Suarez, Trapattoni e Bobby Charlton.
Nella classifica della International Federation of Football History and Statistics è stato votato come miglior portiere del XX secolo. Bandiera fino alla fine, Yashin ha avuto tre colori sulla propria pelle: il bianco e l’azzurro della Dinamo Mosca, con cui ha conquistato cinque campionati sovietici e tre Coppe dell’Urss. E poi il rosso, quello proprio della Nazionale sovietica con cui ha collezionao 74 presenze, vincendo una medaglia d’oro ai Giochi olimpici del 1956 e un campionato europeo nel 1960.
Nel 1964 ha nuovamente raggiunto la finale del torneo continentale, perdendola contro la Spagna. Ha disputato quattro Mondiali e lui era in campo, nel 1958, quello svedese e quello della prima apparizione assoluta dell’Urss che si piantò ai quarti di finale.

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In realtà il suo vero e unico colore era il nero e non per qualche scelta politica, semplicemente perché vestiva total black e per questo il suo soprannome divenne “ragno nero”. Nero come l’occhio che si ritrovò, nel Mondiale in Cile, quattro anni dopo, quando Lev conobbe “l’ospitalità” cilena: un paio di colpi ben assestati e un occhio bendato che non impedì al poritere di continuare a giocare da perfetto stoico.

Questo è uno degli aneddoti che costellano la vita di Yashin. Nato in una famiglia di operai dell’industria pesante, iniziò a lavorare in fabbrica a 14 anni, durante la seconda guerra mondiale, per rimpiazzare i colleghi più anziani impegnati al fronte. Qui, si narra, già intuirono le sue qualità di para tutto grazie alla prontezza di riflessi con cui il giovane ragazzotto riusciva ad afferrare al volo bulloni e altri oggetti che i suoi compagni di fabbrica gli tiravano per gioco.
Poi c’è l’usanza di scendere in campo con due cappelli, uno in testa e l’altro da posizionare dietro la porta o la leggenda che lo vedeva raccogliere un quadrifoglio nei pressi della porta dopo ogni rigore neutralizzato (se ne contano più di 80 non di quadrifogli, ma di rigori parati).

Il ragazzotto nella sua bacheca vanta anche un altro trofeo, extracalcistico: nel 1953 vinse una coppa sovietica di hockey su ghiaccio, sempre come portiere della Dinamo Mosca. Sì perché la società russa capì di avere con sè un diamante grezzo che non andava sprecato, ma nel calcio i pali in quell’era erano abbastanza protetti da Aleksei Petrovich Khomich, la tigre, così Lev fu momentaneamente “parcheggiato” nell’hokey.

Nel 1985, a seguito di una grave forma di tromboflebite, subì l’amputazione di una gamba, ma nonostante tutto, tre anni dopo, accompagnò comunque la selezione sovietica alle Olimpiadi di Seul, dove l’Urss vinse, per la seconda e ultima volta, la medaglia d’oro nel torneo di calcio.

E’ morto nel 1990, a 60 anni, a causa di un cancro allo stomaco. Abbiamo aperto con un aggettivo preciso: etereo. Beh in realtà lui, o almeno il suo nome, nello spazio c’è per davvero: gli è stato dedicato un asteroide, il 3442 Yashin.

(Lev Yashin è stato scelto come simbolo per il poster ufficiale del Mondiale 2018 in Russia. L’opera è stata realizzata dall’artista Igor Gurovich e mette in evidenzia una marcata estetica sovietica)

Non ci sono particolari ragioni per cui chi non abbia visto URSS-Colombia del 1962 se ne debba crucciare. Ma, in fondo, non ci sono motivi neanche motivi per cui chi si sia imbattuto nella sintesi o nei semplici highlights di quell’incontro non ne voglia rinverdire un po’ la memoria. Del resto, le fasi finali della Coppa del mondo offrono a volte match dagli abbinamenti un po’ esotici che regalano inaspettatamente gol, errori ed emozioni e questo fu il destino della sfida tra sovietici e Cafeteros andata in scena nella città cilena di Arica il 3 giugno 1962.

Siamo alla seconda partita della fase a gironi. La Colombia, all’esordio in una fase finale, ha perso 2-1 contro l’Uruguay il primo incontro, l’URSS –campione d’Europa in carica- ha sconfitto 2-0 la Jugoslavia nella riedizione dell’atto conclusivo di Euro 1960. Questo fa dei sovietici i favoriti per uno dei due pass che valgono l’accesso ai quarti e come tali essi si comportano in avvio del match.
Al 14′, infatti, il risultato dice 3-0 grazie a una bordata di sinistro dal limite di Ivanov, non trattenuta dal portiere colombiano Sanchez, al raddoppio ottenuto da una proiezione di Čislenko in area avversaria e a un’altra rete di Ivanov, stavolta con un tiro in diagonale di destro. I sudamericani si risvegliano e al 20′ un bel passaggio filtrante di Serrano trova libero Aceros in area, tiro sotto la traversa e il grande Jašin è battuto. Per festeggiare un colombiano ribatte la palla in porta e buca la rete, evento tutt’altro che raro in quella Coppa del mondo…

Ad ogni modo fin qui tutto normale; anzi, le cose diventano ancor più normali quando al 6′ della ripresa una bello scambio Voronin-Ponedelnik manda quest’ultimo a tu per tu con Sanchez e il 4-1 è cosa fatta.

Abbiamo già capito dall’incipit che la Colombia rimonterà, ma la cosa davvero incredibile è che il tutto inizia grazie a un errore gigantesco del giocatore sovietico più rappresentativo: la palla su un corner di Marcos Coll, effettato, ma decisamente lento, entra rimbalzando in rete senza che Jašin neanche provi a piegarsi per raccoglierla. In Spagna lo chiamano “gol olímpico”, in Portogallo “cantinho”, fatto sta che a tutt’oggi quello di Coll è l’unico gol realizzato direttamente su angolo in una fase finale di un Mondiale.
Dieci minuti dopo, al 77′, siamo già 4-4 per i gol di Rada e Klinger (e anche in questo caso c’è da sottolineare l’uscita a vanvera del portiere sovietico), il risultato non cambierà più, ma, a dire il vero, l’inatteso pareggio non cambierà di molto il destino delle due formazioni: i Cafeteros verranno travolti 5-0 dalla Jugoslavia e usciranno subito, i sovietici batteranno l’Uruguay, ma si fermeranno nei quarti davanti al Cile padrone di casa.

 Il gol da angolo al minuto 6:07

La storia completa è su Calcio Romantico

All’inizio di ogni Mondiale il Brasile è inserito di diritto nella rosa dei favoriti, se non addirittura additato come la squadra da battere. Spagna ’82 non fa eccezione e ci sono una serie di validi motivi: Arthur Antunes Coimbra detto Zico, stella assoluta del Flamengo che fa gola a molte società italiane; Paulo Roberto Falção, che in Italia ha giocato la stagione appena passata facendo fare un ulteriore balzo in avanti in termini di qualità alla già competitiva Roma di Liedholm;  Socrates, il Dottore, leader del Corinthians che sta sperimentando una gestione democratica dello spogliatoio in un periodo in cui il Brasile è ancora in mano ai militari; Leo Junior, che a Torino farà il regista difensivo dai piedi eccelsi, ma che al Flamengo gioca sulla fascia per la sua abilità nei cross; Eder, giocatore dell’Atletico Mineiro un po’ meno fantasioso dei quattro compagni di squadra sopracitati, ma in possesso di un sinistro potentissimo.

 

L’esordio della verde-oro è previsto al Sanchez Pizjuan di Siviglia in data 14 giugno. Avversaria è l’Unione Sovietica di Oleg Blokhin, Pallone d’Oro nel 1975, anno in cui con la Dinamo Kiev aveva trionfato in Coppa delle Coppe e nella Supercoppa Uefa, e del blocco georgiano della Dinamo Tbilisi, che la Coppa delle Coppe l’ha vinta invece nel 1981: ci sono i difensori Sulakvelidze e Chivadze, quest’ultimo anche capitano, il centrocampista offensivo Daraselja, che a dicembre del 1982 troverà la morte in un incidente stradale, e Ramaz Shengelja, attaccante dalle non grandi doti fisiche ma con un buon fiuto del gol.
Pronti via e Zico si produce una bella percussione centrale. Il Galinho tira e Rinat Dasaev, portiere dello Spartak Mosca, risponde senza paura: l’impressione è che sarà un bel match, ma che alla fine la Seleção non avrà difficoltà a vincere. Forse una sorta di riedizione di Brasile contro Jašin del 1958.

In effetti, per Dasaev sarà una serata da ricordare, il suo “debutto” sulla scena internazionale, l’inzio di una carriera il cui profilo seguirà in tutto e per tutto ascesa e declino della Nazionale con la scritta CCCP sulla maglietta. Ma, a dire la verità, nel resto del primo tempo il portiere non deve compiere parate molto difficili, si trova sempre ben piazzato e poi ha la fortuna che come terminale del gran gioco macinato dai brasiliani si ritrovi sempre Serginho, autentica ira di Dio in patria -è accreditato di 242 reti in 399 presenze col San Paolo tra il 1973 e il 1982-, ma decisamente impreciso nella serata sivigliana. E non solo…

Le cose per i verde-oro peggiorano decisamente quando i sovietici cominciano a mettere la testa fuori. Un fallo da rigore su Shengelija viene beatamente ignorato dall’arbitro spagnolo Lamo Castillo, poi al 34′ un tiro innocuo di Bal non viene trattenuto da Valdir Peres e finisce dentro.
I presenti allo stadio e gli avversari alla TV capiscono in quel preciso momento il bug di quella Seleção mondiale: ché se hai un attaccante che non segna ma tanti uomini di classe, allora prima o poi la butti dentro lo stesso; ma se hai un estremo difensore che non ti dà sicurezza, per vincere di gol te ne serviranno sempre tanti. Vedi Sarrià qualche settimana dopo…

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