Niki Lauda, uno dei più famosi piloti nella storia della Formula 1, è morto lunedì 20 maggio. Lauda aveva 70 anni: durante la sua carriera vinse tre Mondiali alla guida di Ferrari (1975 e 1977) e McLaren (1984) e fu protagonista di una delle più iconiche rivalità nella storia degli sport motoristici con il pilota britannico James Hunt, raccontata da Ron Howard nel film Rush.
«Con profonda tristezza, annunciamo che il nostro amato Niki è morto pacificamente con la sua famiglia lunedì scorso», si legge in un comunicato diffuso dalla famiglia e pubblicato da The Sun. E’ considerato tra i migliori piloti di sempre. Nel corso della sua carriera ha disputato 171 Gran Premi vincendone 25. L’ex pilota austriaco era stato ricoverato in una clinica privata in Svizzera per problemi ai reni, sottoponendosi ad un trattamento di dialisi resosi necessario per migliorare le proprie condizioni. Scrivono i familiari:
I suoi risultati unici come atleta e imprenditore sono e rimarranno indimenticabili, come il suo instancabile entusiasmo per l’azione, la sua schiettezza e il suo coraggio. Un modello e un punto di riferimento per tutti noi, era un marito amorevole e premuroso, un padre e nonno lontano dal pubblico, e ci mancherà
E’ stato tre volte campione del mondo di Formula 1 (nel 1975 e 1977 con la Ferrari, nel 1984 con la McLaren), come imprenditore ha fondato e diretto due compagnie aeree, la Lauda Air e la Niki; come dirigente sportivo, dopo avere diretto per due stagioni la Jaguar, è stato dal 2012 presidente non esecutivo della scuderia Mercedes AMG F1. Ha disputato 171 Gran Premi, vincendone 25, segnando 24 pole position e altrettanti giri veloci. Ha avuto una carriera sportiva di grande livello guidando per March, BRM, Ferrari, Brabham e, infine, McLaren.
Lauda iniziò a correre prima di compiere vent’anni. Proveniva da una ricca famiglia di banchieri viennesi che non vedeva bene il suo interesse per le automobili e la velocità. Dovette quindi arrangiarsi. Nel 1968 iniziò nelle gare riservate a vetture Mini, piccole e poco costose automobili allora prodotte dalla British Motor Corporation. Per arrivare soltanto in Formula 2 fu costretto a farsi prestare soldi e a dare come garanzia una polizza di assicurazione sulla propria vita. Entrò a far parte del team March e nel 1971 debuttò per lo stesso team in Formula 1, dove corse alcune gare. L’anno seguente partecipò all’intero campionato ma la macchina era poco competitiva e non ottenne nemmeno un punto.
In seguito ottenne, pagandoselo con un complicato contratto, un posto alla BRM, un’altra scuderia britannica, in cui rafforzò il suo rapporto con il pilota svizzero Clay Regazzoni. Lauda si fece conoscere come buon pilota, ma soprattutto come esperto collaudatore, dotato di una particolare sensibilità nel riconoscere i difetti delle auto, al punto che fu soprannominato “il computer” per la meticolosità con cui metteva a punto il proprio mezzo. Fu notato dall’occhio lungo di Enzo Ferrari, il quale, anche su consiglio dell’amico Regazzoni, lo portò alla Ferrari.
Anche caratterialmente si mostrava freddo, poco emotivo e molto determinato, specialmente agli occhi di chi non era a stretto contatto con lui. Perfino il suo stile di guida era essenziale e, per gli appassionati, scarsamente divertente ma, visti i risultati, molto efficace.
Uno dei momenti più ricordati della carriera di Lauda fu il terribile e famoso incidente che avvenne durante il Gran Premio di Germania, sul lunghissimo tracciato del Nürburgring, del 1976. A causa dell’incendio riportò numerose ustioni soprattutto al viso, che non era protetto né dalla tuta né dal casco. Il danno più serio, ma meno visibile, lo ebbe ai polmoni: aveva inalato aria molto calda e satura dei prodotti di combustione della benzina, che lo avrebbero potuto uccidere. Nei primi giorni, quando i medici erano molto scettici sulle sue condizioni, un prete gli diede l’estrema unzione. Per ricostruirgli parte del volto i chirurghi eseguirono un autotrapianto di pelle da una sua gamba. Ma a tal proposito affermò che preferiva il fondoschiena a un bel viso perché era convinto che una vettura si guida soprattutto “con il sedere”.