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Circa ottanta anni fa le strade di Vienna sono listate a lutto. Forse 40mila persone, forse 15mila. Camminano lì, nel freddo austriaco, in processione, per rendere omaggio al più grande calciatore austriaco di sempre. Il Mozart del calcio, detto anche Cartavelina. Il 23 gennaio 1939 Matthias Sindelar e sua moglie, l’insegnante ebraica italiana Camilla Castagnola, vengono ritrovati senza vita nel loro appartamento. La versione ufficiale parla di fuga di gas (avvelenamento da monossido di carbonio), altri avanzano la tesi del suicidio, altri ancora il ruolo determinante della Gestapo. Una morte sospetta. La polizia austriaca archivia velocemente il caso, il fascicolo sulla sua morte scompare misteriosamente nel nulla.

Ma Sindelar è stato ben oltre che il “calciatore suicidato”. Ed è stato molto di più che un semplice atleta. Nasce nel 1903 a Kozlov, in Moravia, al confine con la Slovacchia. Infanzia difficile, patisce la fame, è orfano di padre caduto nella I guerra mondiale. Il suo fisico gracilino non gli impedisce di tirare calci al pallone, a piedi nudi perché le scarpe servivano per cose più importanti. Lo nota un dirigente dell’Hertha Vienna, rapito dalla straordinaria abilità di Matthias con il dribbling. Centravanti atipico, elegante, ama gli assist e il bel calcio, spesso sale a centrocampo per impostare l’azione. Un Mozart del pallone, come lo soprannomina l’allenatore e ct Hugo Meisl.

 

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Passa all’Amateur Wiener (l’attuale Austria Vienna) dove esplode definitivamente. Vince due Coppe Europee, una sua tripletta stende l’Ambrosiana Inter in finale. E’ la stella della Wunderteam, la Nazionale austriaca delle meraviglie, che tra il 1931 e il 1933 vince 12 partite su 16. Contro i rivali tedeschi non c’è partita: Sindelar vince 5-0 e 6-0 in due gare contro la Germania. Seguono un 2-1 all’Italia e un 8-2 all’Ungheria. Contro l’Inghilterra a Stamford Bridge l’Austria perde 3-4 ma Mozart segna un gol dribblando praticamente tutti gli avversari. Un Maradona ante litteram.

Nella semifinale del Mondiale italiano del 1934, Mathias viene colpito ripetutamente dai falli dell’oriundo azzurro Luisito Monti, senza che un arbitro troppo casalingo commini alcunché. Sindelar si infortuna in quel match, l’Austria perde 2-1 e si classifica quarta. E’ proprio nella riabilitazione che il fuoriclasse conosce la sua futura moglie, Camilla Castagnola, traduttrice italiana.

Vivono a Vienna che nel 1938 subisce l’Anschluss, l’annessione nazista per fare la Grande Germania. L’Austria diventa una provincia del Terzo Reich con il nome di Ostmark. Il 3 aprile 1938, per celebrare la nuova conquista tedesca, al Prater di Vienna si gioca la Partita della riunificazione. L’Ostmark sfida la Germania, prima della fusione tra le due squadre. La pangermanizzazione del pallone, voluta da Hitler con un’unica rappresentativa con la svastica sulla maglia. L’Anschluss anche del calcio. Sindelar disputa la sua ultima partita con la Nazionale austriaca. La divisa è quella storica, biancorossa, fortemente voluta da Matthias.

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E’ l’unica concessione che fa la Gestapo. Gli austriaci, infatti, avevano l’ordine di perdere per esaltare al meglio le virtù sportive dei nazisti in campo. Sindelar non ci sta e gioca forse la sua migliore partita. Corre, dribbla, si fa scherno degli avversari. Segna un gol, esulta proprio sotto la tribuna della polizia delle SS, ne fa segnare un altro a Karl Sesta. L’Austria vince 2-0. Il cerimoniale ora impone il saluto nazista rivolto ai gerarchi del Reich. Ma sia Sindelar che Sesta si rifiutano di alzare il braccio teso. Sono gli unici a non fare il Sieg Heil con il successivo Heil Hitler.

Ai successivi Mondiali di Francia il ct tedesco Sepp Herbergher lo vuole nella Nazionale del Reich. Mathias rifiuta, per la seconda volta in pochi mesi, la chiamata nazista. E’ troppo vecchio e infortunato, dice. Si ritira poco dopo, apre un bar con la sua Camilla prima di quel 23 gennaio 1939. Forse un suicidio, forse un duplice omicidio. La verità non si saprà mai. Di vero resta quel No ripetuto due volte che Matthias Sindelar, il Mozart del calcio, disse ad Adolf Hitler.

Nella piazzetta antistante alla mastodontica e moderna Allianz Arena, a Monaco di Baviera, c’è una targa con il volto di un uomo in bassorilievo e sull’epigrafe bronzea si legge: “Kurt Landauer – Der Präsident des Bayern München”. In verità, la scritta in tedesco è accompagnata da una frase tradotta anche in ebraico e la stessa piazzetta (come la via che sbuca dinanzi allo stadio), nel dicembre 2015 è stata intitolata all’ex-presidente bavarese che ha rivestito la carica, in tre periodi differenti, dal 1913 al 1951, ottenendo il mandato più lungo, ben 19 anni, non ancora eguagliato. Sotto la sua guida il club ha vinto, nel 1932, il suo primo titolo nazionale e gettato le basi dei suoi futuri e attuali successi sportivi.

Presentazione della targa commemorativa alla presenza di Franz Beckenbauer, presidente onorario del Bayern
Nato il 28 luglio 1884 a Planegg, paesino non lontano da Monaco, da una famiglia ebrea che gestiva un negozio di abbigliamento femminile, Kurt si avvicinò al club bavarese, nel 1901, inizialmente come calciatore, ricoprendo il ruolo di secondo portiereGià nel 1913 assunse il titolo di presidente, incarico, però, interrotto dopo solo un anno, perché con l’esplodere della prima guerra mondiale, fu chiamato al fronte per difendere la patria. Ottenuta la Croce di Ferro al valore e terminata l’esperienza bellica, tornò a rivestire il ruolo di “numero 1” della squadra bavarese fino al 1933: nel suo secondo mandato, Kurt si focalizzò principalmente sull’edificazione di una società capace di vincere, partendo da un’organizzazione solida e controllata.

Riformò il settore giovanile, un’idea al tempo unica e, con un’attenta pianificazione, fece diventare il Bayern una squadra economicamente potente. Fu considerato antisportivo e contro i principi etici tedeschi quando propose di stipendiare i calciatori per il loro tempo speso in campo: un incentivo, pensava, per portare anche giocatori talentuosi nel club.
Lui, inoltre, apprezzava le squadre straniere dalle quali poteva apprendere e imparare: il Bayern giocò regolarmente amichevoli contro avversari svizzeri, ma anche contro i più forti del tempo che venivamo dall’Ungheria e dall’Austria. Un atteggiamento, ancora una volta, osteggiato dalla Federazione calcistica tedesca che voleva un calcio nazionale puro e libero da contaminazioni.

Dopo anni magri, finalmente, nel 1932, il Bayern vinse il suo primo titolo nazionale: il 24 aprile, con le reti di Oskar Rohr e Franz Krumm e guidati dall’allenatore Richard Kohn, il gruppo sconfisse l’Eintracht Francoforte a Norimberga, vincendo il primo campionato che fu festeggiato per le strade di Monaco su una carrozza, mentre tifosi e cittadini accoglievano trionfanti i calciatori.

Un idillio che si ruppe sul più bello: qualche mese più tardi, i nazisti salirono al potere e l’incantesimo si spezzòAdolf Hitler, nella sua perversa visione del mondo, vedeva il calcio professionistico di matrice ebraica, quindi fece in tutti i modi per riportare il calcio tedesco a livello amatoriale. Il Bayern Monaco, in aggiunta, avendo il presidente e qualche altro elemento dello staff di origina ebraica, fu sin da subito etichettato come “Judenklub” (club ebreo) e fu costretto a seppellire i pochi trofei vinti perché i nazisti erano alla continua ricerca di materiale ferroso per produrre le armi: una situazione spinosa che portò l’allenatore Kohn a fuggire in Spagna e alle dimissioni di Landauer.
Dopo la Kristallnacht, la Notte dei cristalli tra il 9 e il 10 novembre 1938, circa 30mila ebrei furono deportati nei campi di concentramento di Dachau, Sachsenhausen e Buchenwald: tra i deportati a Dachau, sempre nel land della Baviera, c’era anche Kurt Landauer, ma, grazie al suo passato di soldato durante il primo conflitto mondiale, fu rilasciato dopo 33 giorni di prigionia. Mentre tutti i suoi fratelli, tranne uno, furono assassinati dai nazisti, lui riuscì a emigrare in Svizzera.

Seppur in esilio, Landauer non fu dimenticato: al paese svizzero è legato, forse uno dei momenti più romantici della storia del club bavarese. Il Bayern Monaco era a Ginevra per un’amichevole e, durante la gara, i calciatori notarono seduto in tribuna il loro ex-presidente. Non curandosi delle possibili sanzioni e dei rischi di quel gesto provocatorio, sotto gli occhi vigili dei generali della Gestapo, i ragazzi si avvicinarono a bordo campo per salutare e applaudire Landauer.
Si dice che nel 1947, una volta terminata la guerra, come molti altri perseguitati, Kurt avesse già in tasca il biglietto per rifarsi una vita a New York, ma passato da Monaco, preso dai ripensamenti e dall’affetto verso la città,  decise di fermarsi e  di trascorrere gli anni successivi. Uno dei pochi ebrei che decise di tornare in Germania, Landauer ottenne, per la terza volta, il mandato di presidente del club bavarese che ha onorato fino al 1951, prima di morire 10 anni più tardi, il 21 dicembre 1961 nell’ospedale Schwabing.

Il saluto dei giocatori al loro ex-presidente. Scena tratta dal film "Landauer – Der Präsident"
La storia di Kurt Landauer è stata per molti decenni dimenticata, ma sono stati soprattutto i tifosi (che all’Allianz Arena hanno più volte dedicato una coreografia) a riportare in vita la memoria di un brillante personaggio della storia del club: nel 2005, sulla spinta del Club Nr. 12, associazione di supporter bavaresi, il consiglio comunale ha approvato la proposta di intitolare la strada, vicino all’Allianz-Arena, “Kurt-Landauer-Weg”. Alcuni sostenitori pensarono anche di rinominare lo stadio “Stadion am Kurt-Landauer-Weg”, ma non ebbe grande riscontro.
Dal 2006, però, promossa dal gruppo ultras Schickeria, si disputa ogni anno la Kurt-Landauer-Pokal, una manifestazione sportiva contro il razzismo. Nel 2009, invece, in occasione dei 125 anni dalla nascita di Landauer, si svolse una commemorazione vicino la Baracca 8 di quello che rimane del campo di concentramento di Dachau. Alla cerimonia erano presenti anche i rappresentanti del TVS Maccabi München, squadra locale ebrea che, nel 2005, ha intitolato il suo campo di gioco a Kurt Landauer. Nel luglio 2014, in Germania è, invece, uscita una fiction televisiva dal titolo “Landauer – Der Präsident”.
Coreografia dei sostenitori bavaresi all'Allianz Arena