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Sono trascorsi oltre trent’anni da quella famosa notte dell’All Star Game Nba in cui Michael Jordan ha segnato la storia della pallacanestro, al limite del paranormale.

Era la sera del 6 febbraio 1988 e nello storico Chicago Stadium (demolito nel ’94 per far posto all’attuale United Center) andava di scena una delle finali di Slam Dunk Contest (il minitorneo Nba sulle schiacciate) più belle e avvincenti di sempre.

L’atto finale dell’evento mise a confronto due campioni dell’Nba di quel periodo, Dominique Wilkins stella degli Atlanta Hawks e appunto il grande Michael Jordan con la maglia n°23 dei Bulls.

Uno scontro bellissimo tra i due fuoriclasse al limite della perfezione e dell’equilibrio.

Al primo turno, infatti, Wilkins è il migliore (96) con Jordan secondo (146, con una dunk da 50, massimo possibile). I due si ritrovano in finale, uno di fronte all’altro. Tre schiacciate a testa, un 45 e due 50 per “The Human Highlight Film”. MJ avrebbe dovuto registrare un 48 per eguagliarlo e un 49 per batterlo nell’ultima dunk in programma.
Serviva qualcosa di inimmaginabile per rompere quella parità e Michael Jordan lo ha fatto.

Foto saltata fuori qualche anno fa, scattata da qualche tifoso sugli spalti del Chicago Stadium

E quando il grande Larry Bird disse la famosa frase: “Penso sia semplicemente Dio travestito da Michael Jordan”, in quel preciso istante non ha avuto tutti i torti.

Nell’ultima schiacciata dalla lunetta, Jordan sfoderò un colpo micidiale un salto in cui il campione americano rimase per qualche secondo fermo, prima di schiacciare la palla con forza nel canestro, con conseguente visibilio del pubblico presente. Ovviamente non fece ne 48 e ne 49, bensì 50 l’en plein. Una schiacciata da vero “Air Michael Jordan”.

Un gesto unico che tuttora è nella mente di ogni amante della pallacanestro. Un schiacciata che ora è anche un famoso brand sportivo. Inizialmente nata come marchio di scarpe, la Air Jordan ora è abbigliamento in mano alla Nike che ne ha fatto per sempre Michael ‘Air’ Jordan. Dall’inizio della stagione europea di Champions League, il brand ha realizzato il primo storico completino da calcio per il Paris Saint Germain.

Non solo, quel magnifico gesto è stato ripetuto anche nel famosissimo film “Space Jam” in cui Michael Jordan interpretava se stesso e giocava a basket con i personaggi della Warner Bros, i Looney Tunes.

Tornando a quella sera, rimase a bocca aperta perfino Doctor J. Julius Erving, il primo a far diventare quel gesto un’opera d’arte sportiva. Da quella sera in poi si capì che la Nba aveva il suo nuovo re ed era definitivamente sbocciato il migliore giocatore della storia del basket.

È volato in America a Chicago quando era un ragazzino sedicenne. Ora che di anni ne ha 23, il ricevitore italiano Alberto Mineo, partito da Ronchi dei Legionari (Gorizia), ne ha fatta di strada nell’organizzazione dei Chicago Cubs di baseball.
Il suo sogno attuale è quello di rimanere in America per continuare un percorso di crescita che è partito nel 2010 e che lui in primis non vuole interrompere.
Lasciare tutto da adolescente: casa, famiglia, amici, scuola e la sua squadra, i New Black Panthers, non è stato per niente semplice, ma la voglia di essere un atleta ad alti livelli ha fatto sì che volasse a Chicago, storica città in cui si pratica baseball da secoli.

Come ti trovi a Chicago e come valuti questi sette anni in America?

Con l’organizzazione dei Chicago Cubs mi trovo veramente molto bene, abbiamo uno staff di allenatori molto buono e con una gran voglia di insegnare e far migliorare tutti noi.
Sono giunto al mio settimo anno negli States con i Cubs, sono contento di come sta andando la mia carriera e vado ogni giorno al campo con la grinta di migliorare e diventare un buon giocatore.
Non tutto è andato sempre per il meglio, ad esempio i primi anni sono stati un po’ difficili perché qui si gioca ogni giorno e a volte non è semplice stare dietro a questi ritmi sia fisicamente che mentalmente. Tuttavia con il tempo mi sono abituato e ho imparato a prepararmi sotto entrambi gli aspetti, perfezionando il lavoro sono riuscito ad avanzare.

Il tuo ruolo è quello del ricevitore. Su cosa ti basi per dare le giuste indicazioni al lanciatore?

Come ricevitore devo avere un buon rapporto con tutti i lanciatori della mia squadra per poter essere in sintonia ed avere una fiducia reciproca quando siamo in partita. Prima del match facciamo sempre una riunione dove parliamo con il pitching coach riguardo il nostro piano d’attacco verso i battitori avversari in modo tale da avere delle idee su come chiamare i vari lanci nelle diverse situazioni durante la partita.

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Ti è mai capitato di esclamare: “Urca che colpo!”?

Certo, più di una volta mi è capitato di vedere partire la palla dalla mazza del battitore e rimanere stupito. Per esempio quest’anno abbiamo giocato contro i Lansing Longnuts (squadra affiliata ai Toronto Blue Jays) dove gioca Vladimir Guerrero jr. (figlio omonimo del famoso giocatore di Major League Baseball), e, mentre io stavo ricevendo, Guerrero ha battuto un line drive sopra l’interbase che sembrava non cadesse più per la forza con cui la aveva battuta, finché la pallina ha sbattuto dritto contro la recinzione dell’esterno centro sinistro. In quell’istante ho buttato l’occhio sul maxischermo sopra l’esterno centro per vedere quanto veloce andasse la pallina: 108 mph (oltre 170 Km/h).

Qual è la tua più grande soddisfazione?

Beh sicuramente indossare la casacca della nazionale è sempre un gran onore oltre che soddisfazione. Nonostante dia il 100% in qualsiasi match che disputo, quando scendo in campo con la Nazionale c’è sempre quell’emozione che ti da ancor più energia e adrenalina.

Cosa manca al baseball italiano per affermarsi a livello mondiale?

Secondo il mio punto di vista in Italia non si giocano ancora abbastanza partite, che è il miglior modo per perfezionarsi e ottenere quell’esperienza che ogni giocatore deve avere.

Com’è stato vivere all’interno dei Cubs la loro vittoria del World Series 2016, dopo 108 anni di digiuno?

La vittoria delle World Series dei Cubs è stato qualcosa di veramente speciale che si aspettava e sparava da troppi anni. Viverla dall’interno dell’organizzazione ha dato ancor più motivazione a tutti noi delle leghe minori, per lavorare duro ogni giorno. Il nostro scopo è quello proprio di dare il massimo per arrivare un giorno a giocare per la Prima squadra e contribuire alle vittorie.

WS Champs!! #gocubsgo #wschamps

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Hai un numero di maglia a cui sei affezionato?

Adesso sto usando il numero 47 che è lo stesso numero di maglia che ho usato qui a Southbend. Mi ci sono affezionato dopo averlo usato la stagione passata, ma in realtà non c’è nessun motivo particolare per cui l’abbia scelto.

Cosa fai nel tempo libero?

Ahimè di tempo libero non ne ho molto. Di solito guardo dei film, gioco alla PlayStation con i miei coinquilini e mi rilasso per tenermi in forma per le partite.

A fine stagione scade il tuo contratto, che intenzioni hai?

Essendo libero, potrò decidere di firmare per qualche altra squadra. Il mio sogno è quello di restare in America per continuare quella crescita che ho iniziato dal 2010.
Sicuramente l’Italia mi manca, la famiglia e gli amici in primis. Mi manca anche la cucina italiana ma il fatto di essere tutti i giorni in campo e fare ciò che amo, mi aiuta a non pensarci.

Dario Sette