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In occasione del Giorno della Memoria vogliamo ricordare un uomo che ha reso grande il calcio negli anni 30 e che si è scontrato con le perseguitazioni naziste che hanno messo fine non solo alla sua carriera ma anche alla sua vita.

Si tratta di Arpad Weisz, giocatore e allenatore che il calcio ricorda come il tecnico più giovane della storia. La sua esistenza è stata attraversata da un momento d’oro, dove le sue brillanti qualità in campo hanno permesso alla squadra del Bologna di raggiungere grandi risultati, fino a momenti drammatici, dove le vicende storiche hanno preso in mano i suoi sogni e li hanno infranti insieme alla sua stessa vita e quella dei suoi familiari.

È grazie a Matteo Marani, ex direttore del Guerin Sportivo, che noi oggi possiamo conoscere la sua storia e rendergli omaggio per non dimenticare l’orrore dell’olocausto. Lo scrittore attraverso una minuziosa ricostruzione storica di tutte le fasi della vita di Arpad è riuscito a farlo rivivere in un libro, che proprio in questi giorni è stato presentato al pubblico. Si tratta del testo intitolato “Dallo scudetto ad Auschwitz: vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”

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Arpad Weisz era ungherese ma di origini ebraiche e questa sua “colpa” ha dato una piega drammatica a quella che doveva essere una vita fatta di grandi successi cominciati all’età di 34 anni. Con il suo talento in qualità di tecnico è riuscito a vincere uno scudetto con l’Ambrosiana e ben due con il Bologna, sia negli anni 1935/36 che 1936/37. Ma le soddisfazioni non terminarono qui e nel 1937 la sua squadra vinse anche il Torneo dell’Esposizione Universale di Parigi, piegando l’avversaria, il Chelsea.

Ma esattamente un anno dopo, nel 1938, tutto cambiò e la sua vita venne completamente stravolta dall’emanazione delle leggi razziali, che lo costrinsero a scappare e lasciare il suo amato Bologna e l’Italia.

Si trasferì in Olanda con la sua famiglia ma non abbandonò la sua passione, il calcio, dedicandosi ad allenare la squadra locale, il Dordrect. Anche in questo caso i suoi insegnamenti come tecnico diedero i loro frutti e la squadra ottenne degli ottimi risultati.

Arpad Weisz pensava di avere ricominciato una nuova vita lontano dalla crudeltà nazista, ma si sbagliava. Fu trovato, privato della sua famiglia che venne uccisa in una camera a gas ad Auschwitz e condotto forzatamente in un campo di lavoro. Il 31 gennaio 1944 morì poi all’età di 47 anni per mano dei nazisti in una camera a gas come i suoi familiari.

Un destino comune a tante persone che come lui sono state vittime del razzismo nazista, che la storia oggi vuole con fermezza ricordare.

E per non dimenticare, anche Bologna ha voluto dare un tributo ad un uomo che ha avuto un ruolo importante nella sua storia calcistica. Il 25 gennaio 2018 è stata inaugurata la curva dello stadio Dall’Ara che giace alle pendici di San Luca in onore del tecnico Weizs e da questo momento prenderà il nome di “Curva Madonna di San Luca – Arpad Weisz”.

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La cerimonia, presieduta dal sindaco Virginio Merola, dall’assessore allo Sport Matteo Lepore, dall’a.d. del Bologna fc Claudio Fenucci, dal Club Manager Marco Di Vaio, dal rabbino capo Alberto Sermoneta e dal presidente della Comunità Ebraica di Bologna Daniele De Paz, ha reso onore all’uomo vittima dell’olocausto, per combattere indifferenza e violenza.

Ecco le parole del primo cittadino bolognese:

Ad 80 anni di distanza dobbiamo riconoscere che noi bolognesi non abbiamo fatto una bella figura e chiediamo scusa ai concittadini ebrei perché allora ci fu troppa indifferenza, complicità e perfino zelo nell’affiancare i nazisti nell’accompagnare gli ebrei nei campi. L’idea della razza, inventata dal regime non esiste perché apparteniamo tutti alla stessa specie.

E con le parole di Fenucci vogliamo anche noi ricordare il tecnico ungherese vittima della Shoah, come monito per le future generazioni:

Weisz è stato un Sacchi o un Mourinho degli anni ‘30, un grande innovatore in anni nei quali la grandezza tecnica non era condizionata dalle risorse economiche. Noi oggi siamo contenti di celebrare lo sport e la lotta alla discriminazione

Il Chelsea dichiara guerra al razzismo. Il club di Roman Abramovich allontanerà i tifosi responsabili di comportamenti xenofobi a Stamford Bridge oppure li inviterà a corsi di recupero come, ad esempio, una visita ai campi di concentramento di Auschwitz. Punizione e rieducazione. I blues dicono quindi basta a quei cori a sfondo antisemita che spesso si levano dalle tribune dell’impianto londinese. La notizia è stata riportata nelle ultime ore dal tabloid britannico “Sun”.

Non si rischierà solo una sorta di daspo inglese dallo stadio. Il Chelsea inviterà i propri supporter a recarsi in uno dei simboli dell’eccidio nazifascista durante la II Guerra mondiale. I campi di concentramento nella cittadina polacca di Auschwitz in cui, secondo le ricostruzioni storiche, morirono circa un milione di persone deportate. Le ragioni del provvedimento sono state spiegate dal presidente della squadra, Bruce Buck:

Allontanare le persone dallo stadio non è sufficiente, non cambierà il loro comportamento. Questa politica dà invece ai tifosi la possibilità di capire quello che hanno fatto e di doversi comportare meglio. In passato li avremmo individuati prima di allontanarli dallo stadio fino a tre anni. Il nostro augurio è che anche altre società possano prendere sul serio la questione

Il campo di concentramento di Auschwitz

Nonostante il calcio inglese sia spesso proposto come modello di civiltà e organizzazione sugli spalti, resistono ancora frange di tifo intollerante e antisemita. Lo scorso anno, durante il derby tra Chelsea e Tottenham (la squadra del quartiere ebraico di Londra), i sostenitori di Hazard e compagni intonarono cori razzisti nei confronti degli ebrei. Scenario simile che si ripresentò al King Power Stadium di Leicester dopo un gol di Alvaro Morata. Lo stesso attaccante spagnolo prese le distanze da questo tipo di tifo, chiedendo il rispetto per tutti. Magari una visita ad Auschwitz potrà aprire la mente i più stupidi e ignoranti che si definiscono tifosi.