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Uno ha quattro Mondiali alle spalle, nel 1998, al suo debutto ha alzato la coppa nel cielo parigino, nel 2006 è arrivato tanto tanto al bis, soffiato via per un rigore sbagliato. L’altro ha solo cinque presenze (una bestemmia a ripensarci ora), tutte proprio nel Mondiale tedesco perché non è stato convocato né in quello del 2002 né tanto meno in quello del 2010. Oggi, al centrocampo dell’Argentina servirebbe, eccome, servirebbe.

Uno è Thierry Henry, l’altro è Esteban Cambiasso. In Russia ci sono, nonostante il ritiro, ma a vederli, anzi, sembra proprio che da quel rettangolo verde, da quell’adrenalina che si respira, non riescano proprio a staccarsi provando ogni escamotage possibile pur di non allontanarsi troppo come i bambini quando vengono richiamati dalle mamme mentre si inzuppano al parchetto.
E la loro non è solo una comparsata teatrale, perché bastava osservarli nei momenti difficili per capire che di stoffa ne hanno parecchia. E non lo scopriamo nel 2018, in Russia. Sono sì dietro le quinte di questo Mondiale atipico e frizzante, Titì è il vice allenatore di Roberto Martinez, ct del Belgio; “El Cuchu” ha ricoperto lo stesso ruolo, ma nella Colombia.

Il loro peso morale, mentale e carismatico lo si percepisce oltre il 90’: Giappone – Belgio, ottavi di finale rocamboleschi con i giapponesi avanti 2-0 e che al 95’ fanno harakiri e subiscono la rimonta fatale. 3-2 finale e disperazione per i nipponici. Tra loro l’afflitto Maya Yoshida, difensore del Southampton, che viene raggiunto dall’ex stella dell’Arsenal che lo conforta e invita i suoi ragazzi a fare lo stesso.
I suoi ragazzi, certo, perché Henry è nel gruppo dal 2016, si fa pagare un assegno di 8mila euro al mese che devolve in befenicenza, e la sua impronta è marchiata su Lukaku e Batshuayi, ragazzi svezzati e ora uomini: «Credo di non aver mai ascoltato cosi attentamente neppure i miei genitori», dice la punta del Chelsea rientrato dopo l’avventura al Borussia Dortmund. E il Belgio dei grandi talenti che vanno inquadrati e catechizzati è lì a contendersi la gloria come mai successo prima.

 

Colombia – Inghilterra, ancora 90’. Yerry Mina è staccato per la terza volta in questa Coppa del Mondo più in alto di tutti, nell’area non sua di competenza essendo difensore, per segnare di testa e mandare il match ai supplementari. Le telecamere inquadrano lui raggiunto, pochi istanti prima dell’inizio de 30 minuti aggiuntivi, da Esteban Cambiasso. Parlano la stessa lingua, l’ex Inter gli batte il palmo della mano sul petto, lo carica ma mantiene alta la concentrazione.
José Pekerman, ct dei Cafeteros, conosceva Cambiasso dai tempi della nazionale giovanile argentina under 20 e lo aveva guidato durante il Mondiale 2006. Avercelo come vice è senz’altro servito per aumentare il carico di esperienza, ma i Cafeteros ai Mondiali non ci sono più perché dagli 11 metri, Bacca si è fatto neutralizzare da Pickford. Nel calcio il gruppo è l’essenza, ma dal dischetto è un affare psicologico personale.

All’Argentina tutta nervi e muscoli sgonfi, Esteban, dicevamo sarebbe, servito. Sia nella metà del campo, sia nell’ombra a raddrizzare un Sanpaoli alla deriva. Ma i consigli, giusti, c’erano davvero: Jorge Burruchaga, oramai brizzolato, ha ricoperto le vesti di general manager; è l’ultimo ad aver vinto il Mondiale con l’Albiceleste, e in pieno ammutinamento prima dell’ultima partita decisiva del Girone D contro l’Argentina, poteva sedersi lui al posto di commissario tecnico, preferito di gran lunga al tatuato Sanpaoli. Superato il gruppo, l’agonia argentina si è interrotta (fortunatamente) agli ottavi contro la Francia.

Chi è fermato al girone è l’Australia di Bert Van Marwijk che si è portato, come vice, il marito della figlia Andra. Un affare di famiglia mica da poco se pensate che il genero è Mark Van Bommel, ex dell’Olanda ma anche di Milan, Bayern e Barcellona. Ma non è tutto perché mentre il cammino dell’Australia si è chiuso presto e mentre si giocano le partite più focose del Mondiale, Van Bommel ha già disfatto le valigie pronto per una nuova avventura come allenatore del Psv Eindhoven. Con un piacevole scambio di ruoli tra genero e suocero: Van Marwijk entra nello staff, ma stavolta sarà lui dietro le quinte.