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Il fantasma di Maradona ha imprigionato il talento di Messi, lasciandone le briciole, e forse neanche quelle, tra i prati di Russia. E’ una frustrazione, quella della Pulce, che inizia già dall’inno nazionale: mentre a Nižnij Novgorod risuonano le note dell’Himno Nacional Argentino la telecamera indugia su Leo, che si copre il volto con una mano, rifuggendo dalle attenzioni mediatiche.

Non lo preoccupa troppo la Croazia, forse ha già i cattivi presagi di quello che sarà, forse intravede l’ombra del Pibe de Oro, forse non sta bene come sospettano i giornali argentini, forse semplicemente non ha più la forza di caricarsi la Selección sulle sue spalle. L’ha già fatto in passato, durante le tribolate qualificazioni mondiali, con la tripletta decisiva nella sfida di Quito contro l’Ecuador. L’ha fatto in tredici anni, dal 2005 a oggi, diventando il miglior marcatore nella storia dell’Albiceleste, 64 gol in 125 partite, +30 su Maradona che si era fermato a 34 in 91 gare.

Ma non basta, perché Leo è Messi ma non ancora il Messia fino a quando non porterà la Coppa del Mondo a casa, come fatto da Diego nel 1986. Il 10 del Barcellona è stato troppe volte il manifesto perdente di una squadra tanto talentuosa quanto fragile nei momenti decisivi: tre sconfitte consecutive in finale negli ultimi anni tra Coppa America (Cile) e Mondiale (Germania), unico sigillo l’oro olimpico del 2008. Troppo poco per sé e il suo popolo.

Un fardello che aveva portato el diez a ritirarsi dalla sua Nazionale nel 2016, prima di tornare sulla sua decisione.

Triste, solitario y final, la Pulce ha le mani davanti agli occhi quando si parla di Nazionale. Non guarda le telecamere, non ha quella garra che Maradona esibì al mondo intero durante l’inno argentino nella finale di Italia ’90, l’8 luglio allo stadio Olimpico di Roma. Ancora scottato dai rigori nefasti della semifinale di Napoli, il pubblico capitolino fischiò l’inno biancoceleste, provocando le ire di Diego che esclamò “Hijos de p…” in mondovisione.

La rabbia prima delle lacrime per la sconfitta al 90’. Ancora la Germania, con un rigore generoso trasformato da Brehme e concesso tra le polemiche dall’arbitro messicano Codesal. Ma il fuoriclasse del Napoli aveva già esorcizzato l’Alemania quattro anni prima in Messico, nel torneo che lo consacrò al mondo tra la mano de Dios e il gol del Siglo contro l’Inghilterra.

Maradona aveva salutato la Nazionale con gli occhi spiritati del gol contro la Grecia a Usa ’94 e con l’infermiera che lo prelevava in campo dopo essere risultato positivo ai test antidoping al termine del match contro la Nigeria.

Gli africani sono il prossimo e forse ultimo appuntamento con la storia della Selección per Lionel: vincere potrebbe non bastare, l’infermiera di Messi avrà le sembianze del fantasma di Maradona.