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Le “Notti magiche” alla fine non le abbiamo davvero esattamente contate. Furono sette, quelle che l’Italia nel suo Mondiale casalingo disputò. Sette era il numero massimo, dall’esordio all’ultimo giorno del torneo, solo che a noi ci toccò la “finalina” che fu altrettanto magica perché si giocò allo stadio San Nicola di Bari festante;perché gli azzurri vinsero 2-1 contro l’Inghilterra, perché segnò Schillaci – l’uomo della provvidenza di Azeglio Vicini – e Roberto Baggio. Felici anche i baresi perché videro per la prima volta segnare Platt e di certo non fu l’ultima su quel terreno di gioco.

Azeglio Vicini e Roberto Baggio durante il ritiro nel Mondiale italiano

Eppure contandole, forse, le notti magiche si fermano a sei, perché la semifinale quella contro l’Argentina di Maradona crea ancora dispiacere. E tanto ne creò al nostro ct, Azeglio Vicini, vedendo un’uscita a vuoto proprio sul più bello e due rigori sbagliati.
Estromessi dai detentori del trofeo acciuffato quattro anni prima, nel Mondiale messicano, aggrappandosi al genio di Maradona. Nel 1986, l’Italia concluse la sua avventura agli ottavi di finale buttata fuori con un secco 2-0 contro la Francia di Platini che purgò gli azzurri in quella circostanza.

Un’avventura senza infamia e senza lode, ma che portò alla fine di un’era: l’addio da commissario tecnico di Enzo Bearzot. Con lui, per 11 anni sulla panchina dell’Italia, un Mondiale, quello del 1982, una mancata qualificazione agli Europei del 1984 e soprattutto l’aver lanciato in Nazionale Beppe Bergomi, nell’aprile del 1982, a 18 anni e tre mesi, contro la Germania Est. Ben 45 presenze, ma del resto l’uomo venuto da Aiello del Friuli stravedeva per il ragazzo col baffo buttato tra i grandi nella spedizione spagnola con quel filo di paura che gli passava appena si girava e vedeva Dino Zoff. Stravedeva per Bergomi, sì, ma piccolo problema: come terzino destro qualche gol se lo sarebbe aspettato.

Il capitano tedesco Rumenigge in contrasto con Beppe Bergomi nella finale del Mondiale ’82

Bearzot lasciò la panchina senza vedere lo “zio” segnare. Vicini, che la ereditò dopo la gavetta nell’Under proprio come il suo predecessore, fece il suo esordio l’8 ottobre 1986 in un’amichevole contro la Grecia. Partita vinta dall’Italia 2-0. Marcatori: Bergomi, Bergomi. E che gol:

 

Ecco il ricordo dello stesso Beppe Bergomi:

E pensare che all’esordio di Vicini come ct ho fatto pure una doppietta, io che con Bearzot non avevo mai segnato, facendolo arrabbiare…. Questa cosa divertiva molto Vicini. Ricordo spesso un aneddoto divertente con ex compagni come Mauro o Vialli: Vicini volle giocare con la Scozia a Catanzaro per sfruttare il caldo, al quale gli avversari non erano abituati. Ma piovve per una settimana e perdemmo. Era un tecnico della vecchia scuola, con quella saggezza e quella semplicità della piccole cose del calcio che sembrano scontate ma non lo sono: i tacchetti giusti, l’attenzione al metro di giudizio dell’arbitro, le riunioni a gruppi distinti per difesa e attacco. Era un allenatore che sdrammatizzava, ed è vero che aveva un atteggiamento paterno: non veniva a controllare nelle camere, ma sapeva che ci trovavamo a parlare, a giocare a carte o a mangiare un panino in più perché avevamo fame. Ma lasciava fare e ci lasciava responsabilità

Dopo quasi 28 anni, l’amarezza per quel Mondiale resta. Resta forse perché nel nostro inconscio vorremmo consegnarlo a quella persona garbata, a modo, qual era Azeglio Vicini. Un senso di correttezza per riequilibrare il senso delle cose. L’ha alzata al cielo Bearzot che pure, dopo la doppietta di Bergomi contro la Grecia gli disse: «Allora con me lo facevi apposta!»

Azzurri a lezione di tattica dal ct Vicini

Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo

In una sala del ristorante milanese L’Orologio, la sera del 9 marzo 1908, riecheggiano queste parole. Con moto d’orgoglio e fierezza, a pronunciarle è Giorgio Muggiani, socio fondatore di un nuovo club meneghino: il Football Club Internazionale Milano. Fratelli del mondo, sì perché a creare questa squadra sono 44 dirigenti dissidenti del Milan, ribellati al divieto imposto dei rossoneri di tesserare altri calciatori stranieri oltre a quelli già presenti nella rosa.

E’ questo impulso, quest’ideologia da preservare che porta alla nascita dell’Internazionale ed è lo stesso Muggiani, con l’estetica da pittore qual è, a scegliere i colori: nero e azzurro, simbolicamente in opposizione al rosso, dicotomia classica come si vede ancora oggi in qualche biliardino di periferia.

14 nerazzurri italiani hanno vinto un Mondiale

Dopo 110 anni di storia, una cosa è certa: sfogliando i libri cartacei (pochi) e virtuali (molti) di statistica, l’Inter non ha perso il suo allure internazionale. Se il club neroazzurro è, di fatto, il secondo ad aver “fornito” i propri tesserati alla Nazionale italiana (109 calciatori – sopra c’è solo la Juventus), ben 14 di questi hanno anche vinto un Mondiale. Giuseppe Meazza, a dire il vero, ha alzato la coppa Rimet due volte al cielo, nel 1934 e nel 1938.

Nel 1934, i quattro convocati azzurri sono Luigi Allemandi, Armando Castellazzi, Attilio Demaría e il già citato Meazza; quattro anni dopo, nel 1938, sono addirittura cinque con Giovanni Ferrari, Pietro Ferraris (conosciuto anche come Ferraris II per distinguerlo da Mario), Ugo Locatelli, il “solito” Meazza e Renato Olmi.

Il vuoto plurigenerazionale di assenze di successi viene colmato nel 1982, in Spagna, e anche qui l’Inter consegna a Enzo Bearzot cinque tasselli fondamentali come Alessandro Altobelli, Beppe Bergomi, Ivano Bordon, Gianpiero Marini e Gabriele Oriali. Il quattordicesimo è anche l’ultimo italiano a segnare in un finale mondiale durante i tempi regolamentari: siamo nel 2006, siamo a Berlino e parliamo di Marco Materazzi.

Ci sono anche 5 stranieri sul gradino più alto del mondo

Ma che Internazionale sarebbe senza prendere in considerazione i giocatori stranieri? Ecco, infatti, che l’Inter è al terzo posto nella particolare classifica dei club che vantano giocatori campioni del mondo con la propria Nazionale. Oltre ai 14 italiani già citati, ci sono cinque stranieri: Andreas Brehme, Jürgen Klinsmann e Lothar Matthäus, campioni nel 1990 con la Germania; Youri Djorkaeff campione nel 1998 con la Francia e, infine, Ronaldo campione nel 2002 con il Brasile. Sono 19 in tutto, solo Juventus (con 24) e Bayern Monaco (23) hanno fatto meglio.

L’Inter è sempre in finale dal 1982 a oggi

Quattro o cinque giocatori in meno che hanno alzato il trofeo iridato, d’accordo, ma nel complesso, stando all’ultima edizione del Mondiale, quella del 2014, in Brasile, l’Inter può gonfiare il petto per essere il club che ha dato il maggior numero di giocatori alle rispettive nazionali, durante i vari campionati del mondo, bene 114 e di saperci fare anche sotto porta: i calciatori nerazzurri, infatti, hanno anche realizzato il maggior numero di reti nella manifestazione, 68.

Di queste sessantotto, sette (ed è record anche questo) sono pesantissime perché segnate proprio in finale: Roberto Boninsegna in Brasile-Italia 4-1 del 1970 (gol del momentaneo 1-1); Alessandro Altobelli in Italia-Germania 3-1 del 1982 (gol del momentaneo 3-0); Karl-Heinz Rummenigge in Argentina-Germania 3-2 del 1986 (gol del momentaneo 2-1); Andreas Brehme in Germania-Argentina 1-0 del 1990 (gol del definitivo 1-0 su rigore); Ronaldo in Brasile-Germania 2-0 del 2002 (doppietta decisiva) e Marco Materazzi in Italia-Francia del 2006, vinta dagli azzurri 6-4 dopo i calci di rigore (gol del definitivo 1-1).

A proposito di finali, ultima statistica (promesso): dalla finale del 1982 ad oggi, i tifosi interisti hanno visto un loro giocatore giocare la finale di un Mondiale. Per nove edizioni consecutive, striscia da record e tutt’ora aperta: Altobelli, Bergomi e Oriali nel 1982, Rummenigge nel 1986, Brehme, Matthaus e Klinsmann nel 1990, Berti nel 1994, Ronaldo e Djorkaeff nel 1998, Ronaldo nel 2002, Materazzi nel 2006, Sneijder nel 2010 e Palacio nel 2014.

Insomma, non vorremmo mica tradire lo spirito di Giorgio Muggiani proprio ai Mondiai di Russia 2018?