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La superstizione colpisce solo in Italia, mentre nel mondo anglosassone il giorno sfortunato è venerdì 13. In quello spagnolo e latinoamericano, invece, è martedì 13. Su venerdì 17, nella nostra penisola, si scherza ben poco: contro il malocchio e sfighe varie, gli italiani sanno essere davvero fantasiosi.
Tutto, si dice, ha origine dagli antichi greci: nota è, infatti, “l’eptacaidecafobia” ovvero “paura del numero 17” nata tra i seguaci del credo pitagorico in quanto il 17 è il numero compreso tra il 16 e il 18 considerati perfetti. Nell’antico testamento, poi, il diluvio universale iniziò proprio il 17, mentre altrettanto nota è l’origine romana di tale superstizione: sulle tombe dei defunti si poteva trovare la scritta VIXI che in latino significa “ho vissuto”, cioè “sono morto”. Provate a fare l’anagramma e uscirà XVII, ovvero 17 in numero romani.

Insomma, in Italia i riti scaramantici si sprecano e se allarghiamo lo sguardo, anche nel calcio, esistono fissazioni o convinzioni di alcuni giocatori che ripetono ciclicamente lo stesso gesto affinché porti fortuna. Ecco allora, una raccolta di gesti scaramantici “mondiali”:

1 – Il bacio di Blanc sulla pelata di Barthez

Assieme alla doppietta di Thuram e alla doppia capocciata di Zidane in finale contro il Brasile, questa è una delle immagini più iconiche della Francia campione del mondo a domicilio nel 1998. Dopo gli inni nazionali, dopo le strette di mano di turno tra arbitri e capitani, prima del fischio d’inizio, Laurent Blanc si avvicinava a Fabian Barthez, l’ex portiere del Manchester United abbassava la nuca, e il difensore transalpino gli dava un bacio. E a Barthez è andata anche bene: Cruijff, invece, dava uno schiaffo sullo stomaco del proprio portiere!
Ma non solo in campo: i Bleus avevano anche una colonna che ascoltavano sempre prima di entrare sul rettangolo di gioco: “I Will Survive” di Gloria Gaynor. Ha portato bene, no?

2 – COSA CI METTO NEI PARASTINCHI?

Foglie, bucce di frutta non sono solo ricostruzioni cinematografiche: nel calcio giocato i parastinchi rappresentano un ottimo contenitore di amuleti. John Terry, tra i più superstizioni nel calcio, ha indossato per oltre 10 anni lo stesso paio di parastinchi fortunati, prima di perderli in una trasferta a Barcellona. Marco Tardelli, nella finale del 1982 contro la Germania, scese in campo con un santino nel parastinco. Chissà, il gol e il famigerato urlo nascono proprio da lì. Poi c’è Eusebio che andava oltre: lui nascondeva una moneta nella scarpa!

 

3 – IL BAGNO PORTAFORTUNA

Qui la fila sarebbe davvero lunga. E non parliamo delle persone in coda per utilizzare il bagno, ma dei calciatori che hanno creato attorno al gabinetto un totem portafortuna. David James, abbastanza fissato, restava nel bagno dello spogliatoio finché non fossero usciti tutti. A quel punto, sputava sul muro e usciva.
E chi si dimentica di Inzaghi e Gattuso? Pippo, andava in bagno tre volte nel giro di dieci minuti e mangiava una confezione di biscotti plasmon (lasciandone sempre due alla fine).
Durante i Mondiali del 2006, invece, divenne celebre il rito di Gattuso che prima di ogni partita si sedeva sul water e sfogliava un paio di pagine di Dostoevskij. Sì, come intitolava la Gazzetta dello Sport il giorno dopo la finale vinta contro la Francia…“è tutto vero”.

4 – L’INNO…SI CANTA O NO?

Poteva l’inno essere immune dalla scaramanzia? Certo che no. Il ceco Tomáš Rosický smise di cantare l’inno nazionale ad alta voce dopo essersi accorto che, se lo faceva, poi perdeva. Opposta credenza per Mario Gomez: lui lo cantava a squarciagola perché quando rimaneva zitto, non segnava mai.

5 – Bobby Moore e Pelé…scaramanzia “classica”

Un grande tuffo nel passato. Perché anche due autentici fuoriclasse come Bobby Moore e Pelé credevano tantissimo nei gesti “magici”. Il capitano dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966 restava in mutande fino all’ultimo momento: aspettava, infatti, che i suoi compagni fossero pronti e poi poteva indossare i pantaloncini. E se qualcuno si attardava, lui si vestiva e si rivestiva.

Con il campione brasiliano Pelé si rasenta la mitologia: dopo aver regalato una maglia a un tifoso, “O Rei”, si dice, iniziò a sentirsi debole e non in forma. Chiese, anzi, obbligò un suo amico per ritrovare il ragazzo e riprendersi la maglia. Effettivamente l’amico riportò la maglia e l’attaccante tornò a essere il Pelé devastante che la leggenda porta con sè. Peccato che la maglia non fosse quella che stava cercando, ma quella che aveva indossato solamente sette giorni prima…