Diciannove novembre 1969. Per molti fedeli brasiliani è il giorno della sublimazione da corpo a sostanza aeriforme, da calciatore a divinità di, Edson Arantes do Nascimento, Pelé. La sua squadra, il Santos, affronta al Maracanà di Rio de Janeiro il Vasco da Gama per la Taça de Prata, un torneo antico che si disputava prima ancora della nascita del campionato nazionale datata 1971. Quando Pelé gioca questa partita, dati statistici alla mano, ha realizzato 999 gol. Solo uno al millesimo. Un traguardo inimmaginabile, fuori da ogni schema logico per un giocatore che ha già vinto tutto col Santos (Libertadores e Intercontinentali), e con il Brasile (due coppe Rimet).
Facile intuire la tensione con la quale Pelé scende sul terreno di gioco: tifosi, pubblico, giornalisti e fotografi aspettano un suo lampo di genio. Paradossalmente quel tocco divino non arriva: nessuna giocata spettacolare, nessuna prodezza per O’ Rei, ma un “comune e mortale” calcio di rigore. E De Gregori può anche cantare che non è da un calcio di rigore sbagliato che si giudica un giocatore, ma per Pelé, per il Brasile intero, quel calcio di rigore, rappresenta l’intera essenza esistenziale.
Diciannove novembre 1969. O forse no? L’essere aeriforme sfugge e perde di concretezza. Non lo si può toccare, ma solo credere. E’ un dogma. Nel bianco e nero delle immagini, lo si dà per vero. La sfida tra il numero 10 del Santos ed il portiere Andrada, il gol, il millesimo gol, l’esultanza, il giocatore portato in trionfo, la partita sospesa e la notizia che piroetta in ogni angolo sportivo del globo.
Dubbi.Tanti. Cosa c’è dopo il gol? Dopo l’apoteosi? Della partita ci sono luci ed ombre e questo la dice lunga sulla risonanza mediatica che ebbe il calcio di rigore. C’è chi dice che il match finì quell’istante, altri affermano che finì regolarmente con la vittoria per 2-1 del Santos sul Vasco da Gama.
E se fosse stato il 1971 e non il 1969? Dubbi anche sull’anno, ma soprattutto…e se non fossero 1000 gol? In Brasile si faceva poca distinzione tra match ufficiali, amichevoli o semplice partitelle. A fine carriera gli saranno accreditate 1.281 reti. Manca l’ufficialità, ma spalleggiandoci tra una fede ed un’altra, questa volta sentiamoci meno San Tommaso.
Del resto, il giorno dopo il Mondiale del 1970, il Sunday Times intitolò: «How do you spell Pelè? G-O-D». Amen.
Nello snooker, lui è una leggenda conclamata. E se non bastano i cinque titoli mondiali conquistati in carriera, Ronnie O’ Sullivan, il 10 marzo 2019, ha tagliato un traguardo impensabile che si fa fatica solo a pensarci: è il primo e unico giocatore nella storia del biliardo internazionale a realizzare 1.000 “centoni”, ovvero il break continuo di cento o più punti all’interno della stessa gara. Nella classifica all-time, il secondo è Stephen Hendry, fermo a 775 centoni.
Soprannominato “The Rocket” (il razzo)per la sua straordinaria velocità nel gioco, il 43enne inglese è considerato da molti il giocatore più talentuoso della storia dello snooker. Gioca con la mano destra, ma è capace di usare la sinistra quasi con la stessa precisione, il che gli permette di evitare in molte circostanze l’uso dei ponticelli meccanici. E anche in finale del Players Championship a Preston, in Gran Bretagna, ha dimostrato il suo talento restituendo agli appassionato un record mondiale a suo modo storico. L’australiano Neil Robertson si è arreso 10-4 e ha applaudito l’ennesima gesta del campione che, tra i tanti record, detiene anche quello delle serie perfette, ben 15 in carriera.
Delighted to win the Players Championship tonight in Preston and buzzing to have made my 1,000th century in the final frame 🏆 Thanks to all my fans for the support. Hard luck to my fellow Aussie @nr147 a class act and an even better human 🇦🇺 pic.twitter.com/wzxNoJ1rqO
Cresciuto a Chigwell, nell’Essex, dove vive tuttora, i genitori di Ronnie gestivano dei sexy shops nel quartiere londinese di Soho. Divenuto giocatore professionista nel 1992, O’ Sullivan cinque anni dopo ha realizzato il break perfetto di 147 punti in soli 5 minuti e 8 secondi.