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Era nell’aria da un po’, ora è ufficiale: Xavi Hernandez ha mandato una lettera aperta ai media spagnoli annunciando che a fine stagione lascia il calcio per dedicarsi alla carriera di allenatore. Per i tifosi blaugrana, possiamo dire che Xavi si era ritirato dopo aver conquistato il secondo triplete del Barça, nel 2015, a Berlino nella finale di Champions contro la Juventus. In realtà era rimasto attivo andando a giocare in Qatar con l’Al Sadd. Per soldi, che servono sempre, e per iniziare a frequentare il corso da allenatore, legato all’accademia Aspire.

 

In questi quattro anni ha giocato, e anche vinto: il 4 aprile scorso ha conquistato la sua prima Liga del Qatar, la quattordicesima per il club, quarto titolo in Medio Oriente per il cervello del Barcellona di Guardiola. Che a 39 anni ha deciso di passare dal campo alla panchina. Ecco le sue parole:

Vincere la Liga delle Stelle del Qatar, l’unico titolo che mi mancava qui, rappresenta il finale perfetto alla mia carriera di calciatore. Come calciatore, non ti stanchi mai di vincere. Ora mi piacerebbe chiudere la stagione vincendo la Coppa dell’Emiro, però sono già curioso di vedere cosa mi prepara il mio futuro in panchina. La mia filosofia come allenatore riflette lo stile che abbiamo sviluppato per tanti anni alla Masia sotto l’influenza di Johann Cruijff, e che tiene la sua rappresentazione più alta nello stile di gioco del Barcellona. Adoro vedere le squadre prendere l’iniziativa sul terreno di gioco, il calcio d’attacco, recuperare l’essenza del calcio che tutti noi amiamo dai tempi della nostra infanzia: il gioco di possessione. Ciò che ho ottenuto negli ultimi decenni è stato un privilegio e penso che sia mio dovere provare a restituire qualcosa attraverso il calcio, se sarò in grado

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Il destino, dunque, è segnato: Xavi allenerà il Barcellona. Bisogna solo vedere quando e con quale presidente. Magari Gerard Piqué, o Pep Guardiola. In attesa che Ernesto Valverde si faccia da parte il catalano inizierà a fare esperienza altrove. Poi ci sarà il ritorno al Camp Nou. Dove il suo talento ha lasciato una traccia indelebile, così come in nazionale: ballando al suo ritmo la Spagna ha vinto Europeo, Mondiale ed Europeo tra il 2008 e il 2012. Un talento fuori dal comune, in campo. Vedremo come andrà in panchina: di certo, Xavi ha le idee chiare.

 

Il suo nome è tornato alla ribalta nel primo weekend di ottobre conciso con il referendum per l’indipendenza Catalogna, ma la Selecció Catalana, ovvero la Nazionale di calcio della Catalogna, pur non avendo carattere ufficiale, ha esordi molti antichi, precisamente 1904, e alle spalle circa 200 partite giocate.
La Selecció è patrocinata dalla Fcf (Federació Catalana de Futbol) la quale, come sappiamo, non è affiliata né alla Fifa né alla Uefa, ma nonostante questo, la squadra si ritrova annualmente per disputare incontri amichevoli con altre Nazionali (anche facenti parte della Fifa stessa).

Dal 1997, infatti, ogni anno nel periodo di fine dicembre, una rappresentativa catalana gioca contro squadre tipo Brasile, Argentina, Nigeria e così via. Dopo il Natale, prima dell’uva per Capodanno e dei Re Magi. Feste e tradizioni e come detto da ormai 20 anni, in mezzo, c’è l’amichevole della nazionale della Catalogna.
L’ultimo match si è disputato il 28 dicembre 2016 e ha visto la vittoria della Tunisia ai calci di rigore dopo che la partita si era conclusa sul 3-3. Storici, invece, le sfide contro l’Euskadi, la selezione calcistica dei Paesi Baschi, altra forza fortemente indipendentista e tradizionalista all’interno della Spagna.

Attenzione, dunque, nel pensare che sia una squadra “fantacalcistica”. Nel suo passato, hanno giocato calciatori come Tamudo, Xavi, Guardiola, Cristobal e più recentemente Puyol, Valdés, Capdevila e anche Gerard Piqué, quello che negli ultimi giorni si è esposto maggiormente e ha anche confessato di pensare a un ritiro anticipato dalla Nazionale spagnola, dopo i brutti fatti nei seggi elettorali. Barça ed Espanyol sono le fucine dove pescare maggiormente i giocatori, ma ci sono anche Granada e Celta a dare una mano.
Attualmente la squadra è allenata da Gerard, vecchia conoscenza tra Valencia, Monaco e, ovviamente Barcellona, ma prima di lui dal 2009 al 2013 in panchina si è seduto Johan Cruijff, il cui figlio, Jordi, è stato uno dei primi “non nati” in Catalogna a vestirne i colori in epoca moderna. Uno degli ultimi, invece, è stato il l’ex laziale Keita Baldé, nato nad Arbùcies, paese di 5mila abitanti della comunità autonoma della Catalogna.

Ma quale potrebbe essere l’attuale “undici” tipo? In porta, Kiko Casilla del Real Madrid; in difesa Hector Bellerin dell’Arsenal, assieme a Jordi Alba sulle fasce con Piqué e Marc Batra (attualmente al Borussia Dortmund) come centrali; centrocampo a tre con Sergio Busquets, Cesc Fabregas, giocatore del Chelsea, e Thiago Alcantara che gioca nel Bayern Monaco; attacco ugualmente a tre con Deulofeu, Mariano Díaz del Lione e, per l’appunto, Keita Baldé.
L’allenatore? Ovviamente Pep Guardiola, uno che in passato ha detto:

«Se la Catalogna fosse stata riconosciuta come nazione avrei giocato con quella maglia»

Quasi 19 anni nello stesso club, superando, per longevità e attaccamento alla maglia giocatori come Buffon alla Juventus, John Terry al Chelsea o Andrés Iniesta al Barcellona. Solo sei mesi passati da tutt’altra parte del mondo, ma che lo hanno fatto conoscere oltre i confini giapponesi, esattamente in Italia. Mitsuo Ogasawara è il Kashima Antlers o il Kashima Antlers è Mitsuo Ogasawara. Il centrocampista 37enne, con il club nipponico, sono stati la sorpresa dell’ultimo Mondiale per club, disputato proprio in Giappone.
Invitati alla manifestazione in quanto vincitori del campionato del paese ospitante, la squadra del cervo ha battuto in ordine, 2-1 l’Auckland City, 2-0 i sudafricani del Mamelodi Sundowns e 3-0 in semifinale i favoritissimi colombiani dell’Atlético Nacional. In finale hanno dato filo da torcere al Real Madrid, piegati dal solito Cristiano Ronaldo solo ai supplementari dopo che i 90’ sono terminati sul 2-2.

Capitano è stato Mitsuo Ogasawara, dal 1998 tra le file del Kashima Antlers. Giocatore stimato e rispettato in Giappone, idolo in una città che, seppur fugacemente, ha visto la classe cristallina del brasiliano Zico che, tra il 1993 e il 1994 chiuse la sua straordinaria carriera con 24 presenze e 15 gol, e di un giovanissimo e talentuoso Leonardo, dal 1994 al 1996, con 49 gettoni e 30 realizzazioni.
Per la quinta volta campione di Giappone con la maglia rossa di Kashima, titolo conquistato lo scorso 3 dicembre, ultimo trofeo risollevato dopo sei anni, quando nel 2009, venne nominato come giocatore dell’anno nel paese del Sol Levante. Tre coppe nazionali e anche una supercoppa nel suo palmarés.

Nell’era del ritorno di fiamma dei giapponesi in Italia – dopo i mitologici Kazuyoshi Miura, Hiroshi Nanami e Hidetoshi Nakata – durante i primi anni 2000, tra il talentuoso Shunsuke Nakamura che fa impazzire la Reggina, un oscuro Masashi Oguro al Torino e le qualità mai messe in mostra di Atsushi Yanagisawa tra Sampdoria e Messina, è proprio la città insulare a portare in Italia, seppur solo per sei mesi, lo stesso Ogasawara. Sei presenze in Serie A, mezzi spezzoni per lo più, e un gol nel 2-2 finale contro l’Empoli. Due apparizioni anche in Coppa Italia e nulla più: un fugace salto nel calcio europeo, nel vero calcio ammirato ed emulato a levante.

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Nell’occidente calcistico, la bandiera Ogasawara ha il suo idolo: l’ex centrocampista del Barcellona, Xavi. Affascinato e letteralmente folgorato dopo averlo affrontato da rivale tanto tanto tempo fa, in Nigeria nel 1999, durante la finale del Mondiale under-20. E’ la Rojita a sollevare il trofeo demolendo i nipponici per 4-0: nella Spagna dei giovani Iker Casillas, Pablo Orbaiz, Carlos Marchena e Gabri, a brillare è il centrocampista con il numero 8, Xavi.
Nonostante i suoi 19 anni, la qualità era già cristallina, tanto da ammaliare il suo omologo giapponese. A fine match, il bel gesto che anche il calciatore spagnolo ricorda positivamente: Ogasawara e il compagno di squadra Motoyama hanno atteso diverso minuti prima di lasciare lo stadio di Lagos, hanno atteso i festeggiamenti dei rivali solo per attendere Xavi Hernandez. Dinanzi a lui, un solo profondo e rispettoso inchino.