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Sembra ieri il suo scatto a Les Deux Alpes, sembra ieri la maglia gialla al Tour de France e ancor prima quella rosa al Giro d’Italia.

Sembra ieri la bandana in testa, quando i caschi non erano ancora obbligatori, sembra ieri il suo sguardo concentrato, la stanchezza che si sentiva ma si doveva domare.

Marco Pantani, ovunque sia passato con la sua bicicletta, ha lasciato il segno. Un ciclista che, con la sua professionalità, schiettezza e correttezza, ha saputo conquistare proprio tutti, appassionati e no del ciclismo.

L’estate del 1998 è stata la sua estate, ma anche la nostra estate. Una doppietta storica nei due dei più grandi giri del mondo: Giro d’Italia e Tour de France. Bis che era riuscito a fare soltanto un altro grande eroe dello sport italiano: Fausto Coppi nel 1949 e nel 1952. Una vittoria italiana alla Grande Boucle 33 anni dopo Felice Gimondi (1965).

In quella stagione milioni di italiani sono stati incollati alla tv per guardare le gesta di quell’umile ciclista romagnolo che però sapeva il fatto suo. Al Giro attaccò ripetutamente il suo diretto avversario Tonkov il quale non riuscì a tenere il passo del Pirata. Al termine della 19esima tappa, la Cavalese > Plan di Montecampione, Pantani conquistò tappa e mise le mani sulla maglia rosa che portò fino alla passerella finale a Milano. In quell’edizione Pantani fece sua anche la classifica scalatori battendo José Jaime González.

Braccia aperte per Pantani al traguardo di Plan di Montecampione

Le emozioni però si ripeterono qualche settimana più tardi, tra le strade francesi della Grande Boucle. Dopo le prime tappe in sordina, il Pirata mostra gli artigli all’undicesima tappa con arrivo a Plateau de Beille. Il ciclista romagnolo però, in classifica generale è dietro al tedesco Jan Ullrich che aveva dominato le cronometro.
Ma l’impronta del Pirata su quel Tour de France avvenne qualche giorno più tardi: il 27 luglio durante la 15esima tappa con arrivo a Les Deux Alpes.

Il Pirata all’inseguimento di Ullrich prima dell’attacco decisivo sulle Alpi

Pantani andò all’attacco sul colle del Galibier a quasi 50 chilometri dal traguardo e, nonostante la forte pioggia, riuscì a staccare il tedesco Ullrich arrivando al traguardo in solitaria, con quasi nove minuti di vantaggio. Quel giorno tutta l’Italia era con Pantani, tutta l’Italia pedalò insieme a quel grande atleta. E in quel giorno non solo vinse la tappa, ma si prese anche la maglia gialla, che avrebbe mantenuto fino a Parigi, conquistando l’edizione numero 85 della Grande Boucle.

Le imprese di quella caldissima estete del ’98 in cui Marco Pantani è entrato in maniera indelebile nei cuori degli italiani.

L’abbiamo abbandonato in una stanza d’albergo di Rimini, l’abbiamo negato ai nostri sentimenti, quasi dimenticato salvo poi riconvertici dopo la sua morte, il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2004. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguenza di un’overdose di cocaina.
La mamma Tonina grida ancora giustizia, molte cose non quadrano, lei se lo sente, ha inviato più volte a riaprire il caso, poi richiuso: «E’ stato un omicidio e non un suicidio».
Intercettazioni parlano dell’intromissione della camorra, riferendosi all’episodio di Madonna di Campiglio, che alterando il sangue di Pantani lo portò all’esclusione dal Giro d’Italia 1999.

La morte del “Pirata” ha lasciato sgomenti tutti gli appassionati non solo del ciclismo: a testa bassa, abbiamo rimpianto la perdita di un grande corridore, uno degli sportivi italiani più popolari, influenti e belli da vedere dal dopoguerra. Protagonista di tante imprese, anche e soprattutto umane.
Il suo mito, fatto di semplicità e di sacrificio, si è addentrato nella cultura popolare italiana, abbracciando ogni momento della quotidianità. Dal look della sua bandana alle corse tra amici fatte gridando il suo nome passando per il suo impegno sulle due ruote: ha vinto il Giro d’Italia nel 1998, per la prima volta, e nello stesso anno anche Tour de France, 33 anni dopo Felice Gimondi. E chi si dimentica l’incredibile successo nella tappa Les Deux Alpes?
L’accoppiata Giro-Tour è un’impresa riuscita a pochi, pochissimi. Si è ritirato, è ritornato nel 2000 ma non era più lo stesso: durante il Tour de France abbozza una sfida con Lance Armstrong, qualche schermaglia, qualche sussulto finale, prima di lasciare il dominio statunitense.

Anche la musica lo ha celebrato, osannato e ha puntato il dito sulla cecità di chi l’ha abbandonato. Già nel 1999, I Litfiba hanno dedicato a Marco Pantani la canzone Prendi in mano i tuoi anni, pubblicata nel 1999 nell’album Infinito. A differenza di tutte le altre, questa è l’unica canzone scritta quando il ciclista era ancora in vita:

Il tempo corre sul filo segnano il nostro cammino
so già che vuole averla sempre vinta lui
duello duro col tempo con il passato e il presente
e pure oggi mi dovrò affilare le unghie
la luce rossa dice “c’è corrente”
perché qualcosa stimola la mente
il mio futuro è nel passato e nel presente
ehi, dove sei? cosa aspetti ancora?
gioca la tua partita non sarà mai finita
la corsa nel tempo in salita forse è la mia preferita

Poi c’è stato Riccardo Maffoni con Uomo in fuga; Francesco Baccini e la sua In fuga; Alexia ha scritto Senza un vincitore. Tanti artisti differenti come Gli Stadio che hanno scritto appositamente per lui E mi alzo sui pedali, nel quale hanno integrato il testo della canzone con alcuni pensieri scritti dallo stesso ciclista e ritrovati su fogliettini sparsi nella stanza d’albergo:

E mi rialzo sui pedali con il sole sulla faccia
e mi tiro su gli occhiali al traguardo della tappa
ma quando scendo dal sellino sento la malinconia
un elefante magrolino che scriveva poesie
solo per te… solo per te…
io sono un campione questo lo so
un po’ come tutti aspetto il domani
in questo posto dove io sto
chiedete di Marco, Marco Pantani

Nel febbraio 2006, invece, nell’album Con me o contro di me, i Nomadi gli hanno dedicato la canzone L’ultima salita:

Cerchi questo giorno d’inverno
il sole che non tramonta mai
lo cerchi in questa stanza d’albergo
solo e sempre con i tuoi guai.
dammi la mano fammi sognare
dimmi se ancora avrai
al traguardo ad aspettarti
qualcuno oppure no

 

Una canzone dura, ma che ben racconta la critica di una società miope che ha puntato il dito contro quelli che erano i suoi miti per poi scaricarli, secondo logiche morali e ipocrite, è quella scritta da Antonello Venditti nel 2007. Con Tradimento e perdono, il cantautore romano si sofferma non solo su Marco Pantani, ma anche su Agostino Di Bartolomei e Luigi Tengo, uomini che hanno in comune un solo difetto, non esser stati compresi:

Mi ricordi di Marco e di un albergo
nudo e lasciato lì
era San Valentino l’ultimo arrivo
e l’hai tagliato tu
questo mondo coglione piange il campione
quando non serve più
ci vorrebbe attenzione verso l’errore oggi saresti qui
se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui

 

Perché vai forte in salita? Per abbreviare la mia agonia

Marco Pantani era soprattutto questo. Un uomo solo, in fuga da se stesso. In fuga dal gruppo per arrivare primo in salita. Quando muore prematuramente un artista, anche della bicicletta, la retorica celebrativa trasforma la persona in mito. L’uomo in eroe. Pantani ha, invece, compiuto il percorso inverso. Per la prima volta è andato forte in discesa: ha riportato il campione a essere solo un uomo. E un uomo solo.

Marco, in piedi sui pedali da Cesenatico

Il Pirata è stato uno dei miei primi idoli d’infanzia. Amato e odiato. Catalizzatore dei miei pomeriggi di maggio, quando libri e quaderni potevano aspettare. C’era il Giro, c’era Adriano De Zan, c’era un attesa da consumare strenuamente. In attesa di un segnale, di uno scatto. Oggi tappone di montagna, tutti aspettavano lui. In casa con papà o gli appassionati sulle strade. Dice Riccardo Magrini, di Eurosport:

Un po’ come quando gioca l’Italia ai Mondiali di calcio

Il berrettino volato via, lui che si alza sui pedali. «Scatta Pantani», la voce strozzata di De Zan annunciava il momento. E’ partito. E non ce n’era per nessuno. Dall’Aprica del 1994 all’Alpe d’Huez al Galibier in un pomeriggio epico. E poi Oropa, 1999.

Scrive Gianni Mura:

Perché, come i vecchi ciclisti, in corsa faceva di testa sua, non usava il cardiofrequenzimetro e quando s’allenava dalle sue parti beveva alle fontane e mangiava pane e pecorino

Ma lui era un uomo perché il suo viso tradiva i segni del suo calvario, della sua agonia, della sua via crucis. Della sua vita sempre in salita. Dalle cadute a Madonna di Campiglio. Quel giorno la Gazzetta titolò: «Sconquasso Pantani». Io ero appena tornato da un sabato di scuola media, non sapevo manco cosa volesse dire «sconquasso» ma sapevo che il Giro non sarebbe stato lo stesso. Che il ciclismo non sarebbe stato lo stesso.

Da lì è stata una lunga vorticosa discesa. Non era un santo, forse non era il fenomeno che tutti immaginavamo in bicicletta. Non mi interessa oggi saperlo. Marco Pantani è tornato in sella ed è sceso dai pedali. Ha regalato emozioni. E’ morto in preda alla solitudine la sera di San Valentino. E quella è una ferita che non si rimargina. Perché, come Gianni Mura:

avrei preferito vederlo invecchiare, e bere un bicchiere di Sangiovese con lui, da qualche parte sulle sue colline

 

C’è la bicicletta con cui partecipò al Tour 2000. Poi quella usata per le Olimpiadi di Sidney 2000. E anche maglie autografate, coppe, foto. Il mondo di Marco Pantani nella Fondazione “Luciano Pezzi”, in onore del patron del team Mercatone Uno, la squadra del pirata. Quei cimeli ora finiranno all’asta a causa del crack che ha interessato lo storico colosso della distribuzione non alimentare. Un cavillo giuridico non riconosce la paternità della donazione che la Fondazione Pezzi aveva fatto a Romano Cenni, proprietario di Mercatone Uno.

Il mondo di Marco

Spiega Fausto Pezzi, figlio di Luciano, a “Repubblica”:

Era una tradizione per mio padre ricevere ogni anno a fine stagione degli oggetti dai suoi corridori. Cenni nel 2002 mi chiese di poterne esporre qualcuno, ci accordammo con una scrittura privata che i commissari straordinari, ora, non hanno riconosciuto come valida. Mi hanno chiesto di iscrivermi al passivo, ho seguito per intero il procedimento, udienze su udienze. Abbiamo pensato di avvalerci di testimonianze di gregari di Marco Pantani, Roberto Conti ci ha dato una grande mano. Niente da fare. Chiediamo solo buonsenso. Quei cimeli hanno un valore sportivo e storico, avremmo voluto donarli alla famiglia.

La Mercatone Uno, che dominava le corse negli anni ’90, era stata un’intuizione di Luciano Pezzi, già gregario di Coppi e poi direttore sportivo di Felice Gimondi. Il patrimonio custodito dalla Fondazione Pezzi era stato prestato in comodato d’uso gratuito a Mercatone Uno nel 2002. Ma l’antenato di Ikea è in amministrazione controllata dal 2015 e i commissari non hanno riconosciuto la proprietà di quelle reliquie per l’assenza di un documento scritto.

Lo spazio Pantani

E così mentre Cesenatico gli intitola una piazza. Mentre si susseguono iniziative per il 15mo anniversario della morte e il ventennale dalla tragica mattina di Madonna di Campiglio, Marco Pantani rischia di finire all’asta. La sua storia, i suoi oggetti di culto, i suoi memorabilia dispersi e mercanteggiati al primo affarista di turno. Ma il Pirata è patrimonio nazionale, le sue bici sono i pedali dei nostri anni. Di tutti, indistintamente. E i cimeli intrisi di storia vanno conservati in un museo, non nelle private stanze di chi è riuscito a quantificarne un prezzo. Lo spazio Pantani, accanto alla stazione di Cesenatico, è il posto giusto per accogliere i pezzi di vita di Marco.

Prenderà il via il 6 luglio prossimo la 106esima edizione del Tour de France.

Ventidue giorni di passione ciclistica per la corsa più importante dell’anno e la più affascinante per i corridori.

Oltre 3450 chilometri da girare in tutta la Francia, tra distese mozzafiato e catene montuose come Pirenei e Alpi.


Da annotare che quella del 2019 sarà l’edizione del centenario dalla prima storica maglia gialla. Nel lontano 1919 fu indossata formalmente dal francese Eugène Christophe.

La partenza sarà eccezionalmente dal Belgio a Bruxelles. Gli organizzatori hanno voluto optare per la capitale belga per rendere omaggio al grande corridore Eddy Merckx. Il belga proprio nel 1969 vinse il primo dei suoi cinque Tour de France.

È la seconda volta, la prima nel 1958, che la corsa francese parte dal Belgio. Le 3 tappe d’apertura verranno svolte tutte nel Paese belga tra Bruxelles e Binche, per poi passare in Francia a Epernay, Rems e Nancy tra l’8 e il 9 luglio. In Belgio anche la prima delle due cronometro in programma.

Presenti all’evento non solo il “Cannibale” Merckx, ma anche altri due storici fenomeni (anch’essi vincitori di 5 Grande Boucle): Bernard Hinault e Miguel Indurain; Chris Froome, Mark Cavendish  e l’ultimo trionfatore Geraint Thomas.

La chiusura sarà, come sempre, a Parigi sui Campi Elisi con premiazione sotto l’Arco di Trionfo.

Un Tour de France abbastanza duro dato anche al fatto che ci saranno ben tre traguardi sopra i 2000 metri d’altitudine: Colle del Tourmalet, nel cuore dei Pirenei, a Tignes e in Val Thorens, nelle zone alpine.

Tra i favoriti sicuramente ancora una volta il britannico Froome, il quale anche lui vuole centrare il quinto successo dopo le edizioni del 2013, 2015, 2016 e 2017, e  i transalpini Romain Bardet e Thibaut Pinot. Incognita per gli italiani: c’è da capire se Vincenzo Nibali e Fabio Aru prenderanno parte oppure opteranno solo per il Giro d’Italia, così come Gianni Moscon ed Elia Viviani (due grandi sorprese di questa stagione).

Sono passati 19 anni, diciannove lunghi anni ma, quello che nel 1999 ha fatto Mario Cipollini è rimasto nella storia del ciclismo internazionale.

Il Re Leone riesce a portare a casa 4 vittorie di tappa consecutive al Tour de France. Evento spettacolare quanto altrettanto difficile da ripetere.

Tutto inizia il 7 luglio, tappa numero quattro della 86esima edizione della Grande Boucle. Centonovantuno chilometri da Laval a Blois (sino ad allora la tappa più lunga della storia del Tour). Cipollini torna protagonista dopo un periodo di crisi che lo affliggeva da qualche mese.

Una giornata perfetta per il velocista azzurro che, insieme al folto gruppo, sono giunti al traguardo con 25 minuti d’anticipo rispetto alle previsioni, polverizzando il precedente primato, con una velocità media di 50,356 km/h.
A guidare il gruppo il campione italiano che, sulla linea del traguardo ha bruciato Zabel, O’Grady e Steels. Una vittoria importantissima per SuperMario del team Saeco, il quale finalmente riesce ad alzare le braccia al cielo, dato che nelle precedenti tappe, per un problema o per un altro, non era riuscito a esprimersi al meglio.

Il giorno dopo la grande vittoria a Blois, il nostro Cipo si ripete e stavolta lo fa da Bonneval ad Amiens. Seconda tappa pianeggiante con i corridori tutti attaccati al gruppone di partenza. Tutto si decide nuovamente all’arrivo e, Mario Cipollini bissa il successo del giorno prima. Decima vittoria della sua carriera alla Grande Boucle.

“Dalla Terra alla Luna, dalla polvere alle Stelle”

Cosi la Gazzetta dello Sport citava la vittoria del velocista toscano, nella città che fu di Jules Verne. Più tranquillo dopo l’impresa della tappa precedente, ha potuto levare le braccia al cielo e guardarsi indietro tagliando il traguardo. Ottimo lavoro di squadra della Saeco.

Il 9 luglio, non c’è due senza tre! Ancora Cipollini. Da Amiens a Maubeuge, SuperMario vince ancora ed eguaglia il record di Gino Bartali del 1948. Prima di Ginetaccio nessun altro italiano era riuscito a tagliare tre volte consecutive il traguardo nella corsa francese.
Stavolta la vittoria è arrivata grazie alla squalifica del belga Steels il quale ha prima spinto Svorada e poi tagliato la strada proprio all’italiano.

Il capolavoro però, il SuperMario nazionale lo fa nella settima tappa. Quarta vittoria seguente al Tour e record personale della storia della corsa francese. Infatti prima di Cipollini mai nessuno era riuscito a vincere 4 tappe consecutive dal 1930, anno della prima edizione della Grande Boucle. Dopo quell’impresa il nostro SuperMario si è trasformato in SuperPoker.

Quello fatto da Cipollini, infatti, è rimasto negli annali del ciclismo italiano per quello che è stato uno dei più forti velocisti degli ultimi 30 anni.

Ci siamo quasi, il Tour de France numero 105 inizierà il 7 luglio e le sorprese non sono certo mancate.

Il campione britannico, Chris Froome ci sarà. Il tribunale antidoping dell’Unione ciclistica internazionale ha annullato la squalifica per il plurivincitore della Grande Boucle (le ultime tre edizioni) e della fresca maglia rosa al Giro d’Italia.

Froome era finito sotto inchiesta per l’uso di salbutamolo, un medicinale per l’asma, utilizzato durante la Vuelta del 2017.

Tuttavia il Tour de France è da sempre la corsa ciclistica più amata da tutti. Dai Pirenei alle Alpi, tantissimi sono stati i campioni che si sono susseguiti nel corso delle 104 edizioni passate.

I duelli tra Coppi e Bartali, le scalate di Marco Pantani, le vittorie di Armstrong (poi annullate), sono solo alcuni dei bei momenti e delle emozioni vissute in Francia.

Anche i manifesti hanno preso parte e hanno scritto la storia del Tour. Colori sgargianti, scritte d’altri tempi e percorsi che andrebbero anche ripresi.

Uno dei primi grandi manifesti è del 1925 quando l’italiano Ottavio Bottecchia bissò la vittoria del ’24. È stata la sua ultima vittoria della maglia gialla, dato che pochi anni dopo, nel giugno del 1927, sarà trovato senza vita sul ciglio della strada in Friuli, in circostanze mai realmente capite.

Nel 1927 c’è stata una piccola “rivoluzione”. Il direttore di quell’epoca, il francese Henri Desgrange, propose l’idea di introdurre un gruppo individuale, perché dal suo punto di vista non era soddisfatto delle squadre tattiche utilizzate nelle lunghe fasi piatte.
Contrariamente da quanto pensato da Desgrange, tale regola fu rimossa nel giro di pochissimo tempo perché non rese la gara più interessante, anzi la rese ancora più noiosa. Per questo motivo fu rimossa dopo il Tour de France del 1929.

Il 1933, invece, segna un altro cambiamento. Tra le maggiori novità c’è l’inserimento di un’altra classifica: quella degli scalatori, con la maglia a pois. Un riconoscimento per i ciclisti scalatori nei gran premi della montagna. Un altro fatto interessante è che il Tour è stato eseguito in senso antiorario dal 1913 e nel 1933 è tornato a girare in senso orario.

I manifesti e il Tour de France nel giro di pochi anni riscuotono sempre più successi. Con l’idea del governo d’introdurre le vacanze estive per i francesi nel 1936, aumentarono di botto le presenze dei tifosi sulle strade transalpine. Lo storico direttore Henri Desgrange, ha guidato la federazione dal primo Tour de France nel 1903, fu sostituito da Jacques Goddet dopo la seconda tappa, a causa di problemi di salute.

Il Tour del ’48 torna a essere in mano a un italiano. A trionfare in maniera del tutta inaspettata è Gino Bartali che con la sua vittoria “aiuterà” anche a colmare gli animi accesi in Italia dopo l’attentato al leader del partito comunista italiano, Palmiro Togliatti. Fu lo stesso presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, a telefonare personalmente a Bartali, invitandolo a decidere di non abbandonare la gara.

Da Bartali a Coppi. L’edizione del 1952 fu stravinta dal campione italiano. Un vero e proprio record (mezz’ora sul secondo) che regge tuttora. Coppi, inoltre, era così dominante nella gara che gli organizzatori decisero di raddoppiare il montepremi per il 2 ° posto, per mantenere la gara interessante.

Per concludere, la locandina del 2013, quella del centenario. Poster che rende omaggio alla prima arte del ciclismo.

Si conclude con il grande trionfo di Chris Froome l’edizione numero 101 del Giro d’Italia. Una vittoria annunciata che si scorgeva già dalla penultima tappa e che a Roma ha solo trovato conferma ufficiale.

Il vincitore, uno dei favoriti sin dall’inizio, ha soddisfatto le aspettative e ha potuto innalzare il suo primo trofeo della competizione in rosa, da aggiungere a quelli già vinti nella Vuelta, nel Grande giro e nel Tour de France.

Un triplo riconoscimento (Giro, Vuelta e Tour) che finora è stato conquistato solo da 7 ciclisti nella storia di questo sport: Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi, Bernard Hinault, Eddy Merckx e Vincenzo Nibali.

E la sua vittoria è ancora più clamorosa se si pensa che il ciclista è riuscito a ribaltare il Giro con una fuga a 82 chilometri e tre salite dall’arrivo nella diciannovesima tappa. Insomma, il britannico si conferma un fuoriclasse che festeggia non solo con la conquista della maglia rosa, ma anche di quella azzurra, che premia il miglior scalatore.

L’ultima tappa, che ha visto come protagonista all’arrivo il ciclista Sam Bennet, ha scatenato però non poche polemiche per le condizioni dell’asfalto di Roma. La capitale, infatti, è risultata talmente piene di buche da rendere pericoloso il percorso per gli stessi partecipanti alla gara, tanto che alcuni di loro si sono rivolti direttamente alla direzione per salvaguardare la propria incolumità da eventuali cadute.

Una magra figura per la città di Roma che ha organizzato al meglio ogni dettaglio della manifestazione, dimenticando però di rendere anche il tracciato degno dell’importanza dell’evento. Ci ha pensato troppo tardi e i tempestivi interventi dell’ultimo minuto sono serviti a ben poco, se non ad accrescere l’ironia sull’intera vicenda.

A seguito delle preoccupazioni dei ciclisti e del reale disagio, è stato deciso quindi di neutralizzare gli ultimi giri della gara, che non sono stati considerati validi ai fini della classifica finale.

La questione “buche” diventa l’unica ombra di un Giro d’Italia che ha emozionato e acceso la competizione fra grandi del ciclismo, in un testa a testa soprattutto fra Froome e Dumoulin, vincitore del 2017, che comunque conquista la seconda posizione nell’edizione appena conclusa.

Ma un riconoscimento importante va anche al nostro Elia Viviani, che si è conquistato il premio come vincitore della classifica a punti, simboleggiato dalla maglia ciclamino. Al ciclista colombiano Miguel Angel Lopez, invece, è stata assegnata la maglia bianca, come Miglior giovane.

Ecco la classifica generale del Giro d’Italia 2018:

  1. Chris Froome (Gb) 89h 02′ 39”
  2. Dumoulin (Ola) a 46”
  3. Lopez Moreno (Col) a 4′ 57”
  4. Carapaz (Col) a 5′ 44”
  5. Pozzovivo (Ita) a 8′ 03”
  6. Bilbao (Spa) a 11′ 50”
  7. Konrad (Aus) a 13′ 01”
  8. Bennett (Aus) a 13′ 17”
  9. Oomen (Ola) a 14′ 18”
  10. Formolo (Ita) a 15′ 16”

Grande talento nelle due ruote e grande cuore; ecco chi era Gino Bartali, vissuto in Italia in un periodo buio dominato dalla legge nazista, che è riuscito a fare la differenza coi mezzi che aveva.

Una bicicletta e tanto coraggio gli sono bastati per aiutare circa 800 ebrei salvandogli la vita da un destino ingiusto. Questo merito oggi è finalmente riconosciuto a livello ufficiale e sarà premiato con un’onorificenza pubblica conferitagli simbolicamente proprio a Gerusalemme.

Due giorni prima dell’inizio del Giro d’Italia, che è previsto in data 4 maggio a Gerusalemme, si celebrerà una cerimonia con lo scopo di dare la cittadinanza onoraria a Gino Bartali, eletto “giusto tra le nazioni nel 2013”.

Per Israele è un anno importante: il 2018 segna i 70 anni della nascita dello stato ebraico ed è l’anno che vede Gerusalemme come la città dove avrà inizio la corsa ciclistica. In occasione di queste due grandi ricorrenze lo Yad Vashem, l’ente nazionale per la memoria della Shoah di Israele, ha deciso di conferire un attestato tanto speciale quanto raro proprio al ciclista italiano, per il suo impegno verso la salvezza degli ebrei.

Il portavoce del museo Simmy Allen ha detto in proposito:

La legge sui Giusti delle nazioni consente a Yad Vashem la prerogativa di conferire anche, in casi particolari, una cittadinanza onoraria di Israele a chi fosse ancora in vita, oppure postuma ai suoi congiunti

È il secondo caso quello che è stato attuato nei confronti del ciclista, per merito della costanza del figlio che non ha mai smesso di divulgare l’impegno del padre.

L’ultima volta che questa onorificenza è stata concessa risale al 2007 ed è quindi un grande onore per la famiglia di Bartali presiedere a questa cerimonia in onore di un grande uomo che, rischiando la sua stessa vita, usava la bicicletta non solo per allenarsi, ma anche per portare speranza agli ebrei.

 Il suo dovere morale lo spingeva a nascondere clandestinamente dei documenti falsi all’interno del telaio della bici per poi portarli al vescovo di Firenze che poteva così regalare un nuovo inizio a queste persone che altrimenti sarebbero morte.

Una luce durante l’occupazione nazista in Italia che ha ridato la vita a circa 800 persone. Per Israele rendergli onore è d’obbligo e il 2 maggio diventerà ufficialmente cittadino onorario.

Alla cerimonia prenderanno parte anche i ciclisti in gara per il 101esimo Giro d’Italia che si esibiranno in onore di Gino Bartali, loro predecessore, che rappresenta un importante punto di riferimento non solo a livello umano. Bartali, infatti, nella sua carriera ha anche vinto tre edizioni del Giro d’Italia e due del Tour de France.

Nei suoi anni di gloria era chiamato Ginettaccio, oggi ci piace ricordarlo con l’epiteto di eroe silenzioso, che agendo nell’ombra, ha mostrato che “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.

Il confine tra sport e sentimenti non è poi così marcato come si potrebbe pensare. Nel corso della storia abbiamo assistito a scene commoventi e dichiarazioni d’amore proprio all’interno di contesti sportivi di grande rilievo, assumendo un contorno ancora più speciale.

Come non rievocare alcuni di questi momenti proprio nel giorno di San Valentino?

La proposta di matrimonio più eclatante e romantica tra due atleti è avvenuta alle Olimpiadi di Rio 2016, quando a sorpresa, poco dopo la premiazione, il campione olimpico di Pechino Qin Kai si è avvicinato alla sua fidanzata, la tuffatrice He Zi e le ha chiesto di sposarlo.

Entrambi tuffatori di spicco della Cina, hanno fatto sapere al mondo in diretta Tv che oltre a condividere la passione per lo sport erano anche compagni nella vita. E la dichiarazione arriva proprio in un momento speciale per la campionessa cinese che aveva appena ricevuto la medaglia d’argento nella finale del trampolino 3 metri, dopo la connazionale Shi Tingmao e davanti alla nostra azzurra Tania Cagnotto.

Una giornata che resterà per sempre nei suoi ricordi più belli e che anche gli appassionati di sport di certo non potranno dimenticare, perché rappresenta una di quelle storie fatta di sentimenti sinceri. Solitamente i cinesi mantengono un certo rigore, soprattutto durante eventi sportivi di un certo spessore, come un contesto olimpico, ma le lacrime versate dalla giovane campionessa che riceve l’anello dal suo fidanzato in ginocchio sono vere e non lasciano dubbi: a Rio 2016 ha vinto anche l’amore.

Oggi i due atleti sono sposati e di recente He Zi ha annunciato di voler abbandonare il trampolino per dedicarsi alla sua famiglia, in attesa del loro primo bambino.

Ma la loro storia non è l’unica che è stata condivisa con il mondo: nel ciclismo ricordiamo la singolare proposta di matrimonio di Cyril Gautier durante il Tour de France.

Nel marzo 2017 è proprio durante la ventunesima tappa della corsa che in modo del tutto inaspettato il ciclista esce dalla tasca un foglietto con su scritto:

Carolina, vuoi sposarmi? Ti amo

E tra il sostegno dei compagni e l’emozione del momento, Gautier ha voluto dichiararsi davanti alle telecamere per dare al suo gesto un tocco di romanticismo in più. E la fidanzata Carolina come ha preso la notizia? Ecco la risposta in un tweet di qualche giorno dopo:

Nel 2017 i sentimenti sono stati protagonisti anche nel campo di basket, con Andrea Pecile, che al termine della partita tra Alma Trieste e Virtus Bologna, è corso in tribuna dalla fidanzata con un anello per farle la proposta di matrimonio.

Un match ricco di emozioni, culminato con la vittoria della sua squadra per 71-65, e il colpo di scena finale hanno reso la serata indimenticabile per il giocatore Pecile e la sua fidanzata, che ha detto sì davanti un pubblico in delirio.

Le dichiarazioni di Pecile, subito dopo la partita, non lasciano dubbi sulla sincerità del suo gesto e delle sue intenzioni:

Ho coronato una giornata perfetta. Era proprio così il sogno della mia vita

Lo sport è fatto anche di questo: passione e grandi sentimenti che emozionano dentro ma anche fuori dal  campo da gioco.