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Se il calcio femminile in Europa è diventato professionistico da diversi anni con squadre affermatissime nei principali campionati, compresi in quello italiano, in Sudamerica è tutto un po’ ancora fermo.

Il primo passo verso una vera e propria svolta l’ha fatta il San Lorenzo. Lo storico club di Buenos Aires ha aperto le porte al calcio femminile professionistico, facendo firmare ben 15 contratti pro alle proprie calciatrici.

Un cambio di rotta importante per l’America Latina che finora non aveva abbracciato mai quest’idea nonostante negli ultimi anni ci siano stati dei grossi passi in avanti nel resto del mondo.

Il San Lorenzo, appunto, è la prima società a voltare pagina e chissà che a ruota non sarà seguita da molti altri club argentini oltre che brasiliani ecc…

Gioia immensa per le calciatrici alla firma del contratto per quella che è una battaglia socioculturale vinta. Emozionatissima l’attaccante Macarena Sanchez, una delle più attive in questa dura lotta fatta di pregiudizi. Sanchez, a inizio anno quando giocava ancora nell’UAI Urquiza (squadra argentina di Primera division), aveva protestato contro il salario di soli 11 euro e aveva ricevuto addirittura minacce di morte oltre a esser stata messa fuori rosa dal club.

Dopo aver pensato di gettare la spugna e smettere con il calcio, il post liberatorio:

 

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El 5 de enero me echaron. Ese mismo día había decidido dejar de jugar. 20 años dedicados al fútbol se desmoronaron en un abrir y cerrar de ojos. El esfuerzo, el amor y la dedicación de tanto tiempo no habían servido. Durante 3 meses mastique bronca y comí mucha mierda. Pero el amor recibido fue muchísimo mayor y más fuerte. Hoy, 12 de abril, me encuentro firmando mi primer contrato profesional. – Gracias a mis hermanas @emisanchezj @solsanchezj @cotisanchezj, a mi mamá y a mi papá por pelearla conmigo, gracias @micacannataro @chinagrayani y @lakolombina por aguantarme. Gracias @abofemargentina por acompañarme. Y gracias @sanlorenzo por confiar en mi. – El esfuerzo, el amor y la dedicación si sirven. Y los sueños se cumplen. La lucha va a seguir mientras haya UNA SOLA JUGADORA que siga teniendo que soportar el desprecio del sistema. – #futbolfemeninoprofesional #orgulloazulgrana #macaesdeboedo 💙❤️ #vamoslassantitas

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L’accordo firmato prevede una parte dell’esborso a carico del club rossoblu e la restante dalla Federazione calcistica argentina.

L’Afa, inoltre, ha dato l’ok alla creazione di una lega di calcio femminile su scala nazionale, supportando economicamente quei club che mettano sotto contratto professionistico almeno 8 calciatrici.

In un campionato Sudamericano Under 20 ricco di talenti sta brillando la stella del neo arrivato in casa Parma, il 20enne uruguaiano Nicolás Schiappacasse.

Il numero 10 della Celeste sta ben figurando nel torneo Sub20 che si sta disputando in Cile. Dopo le prime tre giornate, l’Uruguay è al primo posto in classifica con 7 punti, con la punta centrale autore già di tre reti.

 

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Gracias Uruguay por dejarme vivir estos momentos! Seguimos por más 🙏🏻🇺🇾

Un post condiviso da Nicolas Schiappacasse (@nico.schiappacasse) in data:

I ducali lo hanno ottenuto in prestito dall’Atletico Madrid nell’ultimo giorno di mercato.
Come già detto, Schiappacasse può giocare da centrale ma, come è più volte capitato nelle giovani della selezione uruguaiana, può agire anche come esterno a sinistra in un 4-3-3 o in un 4-2-3-1.

Per questo motivo, all’arrivo in Italia, l’allenatore gialloblu D’Aversa potrà dargli diverse chance da titolare o comunque a partita in corso, per dare fiato al tridente Gervinho-Inglese-Bibiany. Per lui ci sarà sicuramente un periodo di ambientamento con il calcio italiano, ma potrebbe essere una piacevole sorpresa anche e soprattutto in ottica fantacalcio.

Nonostante in Liga non abbia mai debuttato e l’esperienza in prestito al Majadahonda in Segunda División non sia stata delle migliori, il Parma ha voluto puntare su di lui e l’ambiente emiliano potrebbe essere un trampolino di lancio per questo attaccante di prospettiva.

Il meglio Nicolás Schiappacasse, sinora, l’ha dimostrato proprio con la selezione Under 20 uruguagia. Tre gol e vittoria del Sudamericano Sub-20 nel 2017, un gol e semifinale ai Mondiali Under 20 sempre nel 2017 e altre tre reti nell’attuale torneo.

Per i fantallenatori, il giovane sudamericano potrebbe essere una valida alternativa soprattutto se in squadra si ha un tra Gervinho, Inglese e Biabiany. Comunque sia sarebbe una bella scommessa.
C’è, inoltre, da sottolineare che lo stesso Schiappacasse potrebbe essere una pedina fondamentale anche per l’asta fantacalcistica della prossima stagione, dato che resterà nella società crociata fino al giugno 2020.

Chi ci farà un pensierino?

Il 25 gennaio 2010 è stata una data che ha completamente stravolto la vita di Salvador Cabanas, ex calciatore paraguaiano sopravvissuto alla morte.

A quasi otto anni da quella bruttissima giornata Cabanas piano piano si è ripreso la sua vita ed è nuovamente entrato nel mondo del calcio anche se non più sul rettangolo verde.

Il paraguaiano era un attaccante promettente e, a 29 anni, aveva il sogno di giocare in Europa. In Sudamerica stava cercando di tutto per mettersi in mostra a suon di gol e di belle prestazioni con i messicani dell’América. Con i gialloblù riesce ad avere una gran bella media gol: 66 reti in campionato in 115 presenze.

In una notte di gennaio, però, qualcosa gli cambia la vita. Un delinquente messicano provoca l’attaccante Cabanas dopo la sconfitta subita contro il Morelia. Il bomber paraguaiano reagisce, ma di colpo cade a terra in una pozza di sangue: il delinquente messicano gli spara un colpo di pistola a distanza ravvicinata. Intervento d’urgenza, ma i medici non gli asportano il proiettile, incastratosi in una zona troppo delicata.

Salvador Cabanas attraversa una lunga riabilitazione in cui viene assistito dal suo club, sogna di tornare in campo un giorno, per sdebitarsi, ma infine deve arrendersi all’evidenza: i danni causati da quel maledetto proiettile sono stati troppo estesi.

Miracolosamente è riuscito a salvarsi e ha anche provato a ritornare in campo, ma vanamente.

Il grande sogno di giocare in Europa è stato infranto, ma ora è più vivo che mai.

Un attaccante giramondo che a 42 anni non ha intenzione di fermarsi e ha firmato l’ennesimo contratto da professionista.

Se lo chiamano El Loco un motivo ci sarà, o forse due: in primis perché spesso ha avuto atteggiamenti sopra le righe in campo ma anche per il suo continuo cambiar squadra.

È l’uruguaiano Sebastián Abreu, il quale ha detto sì alla 28esima squadra di calcio. Sì ben 28 club differenti in oltre 24 anni di carriera che gli hanno permesso di entrare addirittura nel libro dei Guinnes World Record già dal 2016, come calciatore ad aver indossato il maggior numero di maglie nella carriera professionistica.

La sua nuova avventura sarà nel Rio Branco, squadra che milita in quarta divisione brasiliana. Proprio in Brasile è già stato protagonista in passato con Gremio (nel 1998), Botafogo e Figueirense (tra il 2010 e il 2012) prima del passaggio al Bangu nel 2017.

La sua lunga carriera è stata ricca di gol e di apparizioni soprattutto in Sudamerica: in Argentina ha giocato con il River Plate, il Rosario Central e il San Lorenzo, oltre alle tante avventure in Uruguay, Paraguay, Messico, Cile, El Salvador ed Ecuador.
Nel gennaio del 1998 si trasferisce in Europa, agli spagnoli del Deportivo La Coruña. L’esperienza non è entusiasmante ed è per questo che poi è iniziato il suo girovagare, affascinato dall’idea di immedesimarsi in nuovi campionati e in diversi Paesi.

Nel 2008 ritorna in Europa, trasferendosi in Israele a Gerusalemme nel Beitar, prima di altre due esperienze nel vecchio continente: ancora in Liga nella Real Sociedad e ai greci dell’Aris Salonicco.

La sua bacheca è ricca di titoli: 5 campionati uruguaiani, 2 argentini, 1 campionato salvadoregno e 1 campionato carioca, oltre a tantissime classifiche di capocannoniere.

Con la Celeste ha giocato ben 70 partite, realizzando 26 reti, tra cui due nella vittoriosa Coppa America del 2011.

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El Loco Abreu durante la trinofante Coppa America 2011

Una sfilza lunghissima di club che forse lo stesso Abreu ha dimenticato. Una cosa è certa: non ha intenzione di fermarsi e il suo obiettivo è quello di dare il massimo per la sua nuova squadra e puntare alla promozione. Chissà poi cosa gli riserverà il futuro.

Xabier Azkargorta, allenatore basco della Bolivia ai Mondiali di USA ’94, racconta il suo arrivo nel paese andino, in uno spezzone de libroI Mondiali dei vinti: Storie e miti delle peggiori nazionali di calcio di Matteo Bruschetta

 

«“Bienvenidos a Bolivia”, c’era scritto all’aeroporto di La Paz, quando arrivai nell’ottobre 1992. Guido Loazya, presidente della FBF, la Federación Boliviana de Fútbol, mi aveva invitato nella sua terra per propormi il ruolo di Ct della Nazionale. Il mio nome glielo aveva suggerito Mario Mercado, presidente del Bolivar, che l’estate prima era andato in Spagna per negoziare il trasferimento all’Albacete del suo attaccante Marco Antonio Etcheverry, detto “El Diablo”. Il mio amico Manuel Esteban aveva fatto conoscenza con alcuni dirigenti boliviani e, quando venne a sapere che cercavano un Ct, disse loro che l’unico pazzo che poteva accettare ero io. Qualche tempo dopo, Loazya mi telefonò, mi disse che aveva un progetto ed io ero la sua prima scelta.

Non avevo mai lavorato al di fuori della Spagna, né allenato una Nazionale, ma l’idea di vivere in Sudamerica e conoscerne la cultura, mi affascinava. Quando lo comunicai a mia madre, mi chiese, con tono serio, se andavo in Bolivia come missionario. In effetti, era una scelta controcorrente ma nella vita a volte bisogna rischiare. Loazya mi ospitò nella sua dimora e mi espose tutte le sue idee, parlando senza sosta fino alle quattro del mattino. La federazione non aveva un centesimo in cassa e Loazya si offrì di pagare di tasca propria lo stipendio mio e del mio vice Antonio López. Quando mi chiese quanto volevo d’ingaggio, gli risposi che avere il privilegio di allenare una Nazionale era più importante dei soldi. Lo pensavo veramente. Accettare di rimettermi in gioco in Bolivia fu la miglior scelta della mia vita, anche se all’inizio non sembrava così.

L’accoglienza fu ostile, aggressiva, feroce. Nel 1992 ricorreva il quinto centenario della scoperta dell’America e i boliviani videro in me un altro conquistador che andava in Sudamerica a ingannarli e rubargli i soldi. Nessuno sapeva nulla sul mio conto, ma era sufficiente che fossi uno spagnolo per etichettarmi in modo negativo. Non mi conoscevano i giocatori, né i tifosi, né i giornalisti, che scrissero: “Xabier Azkargorta, un ilustre desconocido”. Un illustre sconosciuto, questo mi consideravano. Eppure in Spagna avevo una buona reputazione come allenatore e uomo di sport. Certo, non ero famoso come Johan Cruijff o Javier Clemente, ma negli anni Ottanta avevo guidato con buoni risultati molte squadre di Primera División.
Come potrete immaginare dal mio cognome, sono originario dei Paesi Baschi e, come ogni basco che ama il calcio, da bambino avevo due possibilità: Real Sociedad o Athletic Bilbao. A livello giovanile, ho giocato prima con una, poi con l’altra. La mia carriera di attaccante è però finita presto, a ventiquattro anni, a causa di un grave infortunio al ginocchio destro. La fiammella di passione per il calcio non si è mai spenta e nel 1978 ho preso il patentino di allenatore. Ho guidato due piccole società basche, il Lagun Onak e l’Arrerà Vitoria, due anni ciascuna, e nel 1982 sono andato al Gimnàstic de Tarragona, in Segunda División B. Feci bene in Catalogna e l’anno dopo mi chiamarono all’Espanyol, dove sono divntato l’allenatore più giovane nella storia della Primera División. Avevo appena ventinove anni. All’Espanyol sono rimasto tre stagioni, portando la squadra a tranquille posizioni di metà classifica, come nei due successivi campionati al Real Valladolid e al Siviglia. La mia ultima esperienza in panchina fu dal 1989 al 1991 alle Canarie, dove ho salvato per due anni consecutivi il neopromosso Tenerife.

La mia vita però non era fatta di soli allenamenti e tattiche. Come giornalista sportivo, ho scritto molti articoli per “El Periódico” di Catalogna ai Mondiali di Messico 1986 e sono stato pure commentatore tecnico di partite in tv. Prima di accettare l’offerta della Bolivia, il mio ultimo incarico fu quello di capo ufficio stampa ai Giochi Olimpici di Barcellona, per le partite di calcio al Camp Nou. Pochi sanno che fu mia l’idea di inventare la zona mista, dove i giornalisti possono intervistare gli atleti prima di rientrare negli spogliatoi.

Dopo le Olimpiadi, avevo un grande dubbio riguardo al mio futuro: continuare ad allenare o dedicarmi all’attività di medico. Dimenticavo di dirvi, infatti, che sono laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Barcellona, specializzato nel ramo della medicina sportiva. Tra i tanti pazienti venuti a curarsi nella mia clinica di Barcellona, ci fu Diego Armando Maradona, dopo il terribile infortunio del 1983. Come augurio di buona guarigione, gli regalai il libro “La mala hora” di Gabriel García Márquez, Premio Nobel 1982. Siamo buoni amici, Diego ed io.

Più che un illustre sconosciuto dunque, erano i giornalisti boliviani a essere degli illustri ignoranti».

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I Mondiali di Russia 2018 rappresentano un obiettivo troppo importante per restarne fuori e secondo alcune voci, pare che alcune squadre avrebbero tentato ogni sorta di stratagemma per passare le qualificazioni.

Le polemiche che si stanno diffondendo in questi giorni riguardano il girone del Sudamerica che tra misteriosi biscotti, tentativi di corruzione e anche usando l’arma della seduzione si siano giocati tutte le carte per volare direttamente in Russia.

Ma partiamo da alcune immagini e video che impazzano sul web e immortalano Falcao intento a parlare misteriosamente con gli avversari. In tanti si chiedono quale poteva essere il motivo di questi scambi di parola durante un incontro decisivo! Ecco che comincia ad aleggiare il sospetto di biscotto fra le due squadre in questione: Perù-Colombia.

La partita si conclude 1-1 ed è inevitabile chiedersi se i sospetti siano fondati o meno. Con questo risultato le due squadre hanno ottenuto un obiettivo comune, l’uscita del Cile dal mondiale, e prese singolarmente, il Perù arriva ai play-off mentre per la Colombia è accesso diretto in Russia.

Le motivazioni alla base del biscotto e il poco impegno dei giocatori, soprattutto negli ultimi minuti della partita, sembrano confermare che più di una calunnia di parla di un sospetto fondato.

E non è l’unico stratagemma in atto tra le squadre sudamericane: si parla addirittura di valigette piene di soldi che sono state viste girare intorno al team dell’Ecuador, che si apprestava a confrontarsi con l’Argentina. Sembra che qualcuno volesse far fuori dai Mondiali la squadra di Messi e avrebbe incitato con il denaro i giocatori avversari per spingerli a dare il massimo.

Qualunque sia la verità queste valigette non avrebbero potuto fare molto contro una squadra che già dai primi minuti era in vantaggio e che aveva già prenotato il volo per la Russia.

Ovviamente l’Ecuador smentisce ogni complotto contro la squadra avversaria, anche se ogni eventuale coinvolgimento, alla luce dei fatti, sarebbe ormai una questione inutile da affrontare.

Tra valigette e biscotti si arriva anche a calunniare il Paraguay di tentata prostituzione ai danni del Venezuela. Le due squadre si dovevano affrontare per l’ultima partita decisiva il giorno seguente, ma nella notte, in hotel pare si aggirassero delle belle donne intente a farsi notare per intrattenere i giocatori venezuelani.

Un obiettivo non riuscito, a detta del tecnico della squadra, perché i suoi giocatori sono persone serie, impassibili al fascino delle donne per rimanere concentrati in vista del match.

Calunnie o imbrogli? Accuse e scandali ruotano attorno a questo ultimo giorno di qualificazioni ma non servono a cambiare la formazione dei paesi che nel 2018 si giocheranno il titolo di campioni del mondo.

Il Cile è fuori, l’Argentina, il Brasile, la Colombia e l’Uruguay sono ai Mondiali e per il Perù si attendono i play-off.

Qualsiasi stratagemma, ormai, non serve più a nulla e ci auguriamo che in Russia, nel 2018, ci sia più gioco e meno polemiche, da parte di tutte le squadre.