Gigi Riva, “Rombo di Tuono”, record imbattuto di reti nella Nazionale con 35 in 42 partite, l’attaccante formidabile che nel 1970 ha regalato l’unico scudetto al Cagliari e alla Sardegna in un campionato di cui si ricorda ancora il siluro sinistro ai danni del Milan trasformato in gol a 130 chilometri orari. Ecco lui, con la sua posa plastica, potrebbe essere il primo italiano al quale verrà dedicata una statua da vivo.
L’iniziativa «Una statua per Gigi Riva» è nata nel 2018 da un’idea di Pietro Porcella, insegnante cagliaritano residente in Florida, presidente del Comitato di cui fanno parte anche Nicola, primogenito del bomber nato a Leggiuno, e Adriano Reginato, il portiere del Cagliari oggi 81enne con il quale «Rombo di Tuono» cominciò la carriera. La proposta prende forma attraverso l’azionariato popolare per finanziare l’opera e sul web ha dato il via a un crowdfunding sociale su GoFundMe (qui il link).
Una statua, alta tre metri e 60 cm, che raffigurerà Gigi Riva nel suo famoso tiro mancino, il suo marchio di fabbrica. Eretta a Cagliari, sul lungomare Sant’Elia, davanti al Lazzaretto. E in deroga alla legge 1188 del 1927, articolo 3 , la quale dice che “Nessun monumento, lapide o altro ricordo permanente può essere dedicato in luogo pubblico o aperto al pubblico, a persone che non siano decedute da almeno dieci anni”.
«Stiamo rifiutando qualsiasi forma di sponsorizzazione o affiliazione con enti pubblici o società», si legge sulla loro pagina GoFundMe. L’obiettivo è quello di raggiungere 100.000 euro per costruire la statua del campione. E c’è già chi ha messo sul piatto, da solo, 500 euro. «L’eventuale surplus di denaro a operazioni finite sarà destinato a un’opera di bene legata al calcio – dichiarano gli organizzatori – come ad esempio istituire delle giornate di festa alla scuola calcio, dove vengono fatti scendere in campo e assistiti dagli istruttori persone poco dotate tecnicamente o con disabilità, che provano a calciare o colpire di testa».
Se in giro per il mondo, pullulano statue dedicate a giocatori ancora in attività, l’ultimo per esempio è Ibrahimovic in Svezia, Gigi Riva potrebbe essere il primo italiano al quale verrà dedicata una statua da vivo.
Ho promesso al bambino che sognava di diventare calciatore, che avrei giocato fino a quando avessi provato meraviglia entrando in campo. Ma il cuore mi ha detto che stavo venendo meno alla promessa. Mi fermo, ma sento di dover dire grazie sogno, mi hai dato forza e felicità!
Ho promesso al bambino che sognava di diventare calciatore, che avrei giocato fino a quando avessi provato meraviglia entrando in campo. Ma il cuore mi ha detto che stavo venendo meno alla promessa. Mi fermo, ma sento di dover dire grazie sogno, mi hai dato forza e felicità! pic.twitter.com/W3U0MIXtal
Con queste parole il centrocampista Claudio Marchisio ha annunciato il suo ritiro dal calcio a 33 anni. Ben 23 di questi li ha passati alla Juventus, suo sogno e grande amore: un fiero scudiero della Signora, dalle giovanili alla prima squadra, passando anche per la Serie B, che però l’ha fatto entrare nei cuori dei tifosi e l’ha consacrato nel calcio italiano ed europeo. Una decisione difficile ma presa con consapevolezza e annunciata in una conferenza stampa all’Allianz Stadium, nella sala “Gianni e Umberto Agnelli”. Dopo l’ultimo infortunio al ginocchio, professionale ed etico fino alla fine, ha rescisso anticipatamente il contratto con lo Zenit, squadra di San Pietroburgo, “dolce esilio” quando non rientrava più nei piani della Juventus. Non ha accettato altre proposte in Serie A, ma non è quello il suo rimpianto:
Il rimpianto? Quello di non vincere la Champions con la Juve e l’Europeo con la Nazionale. Sono i miei due rimpianti più grandi. Il momento più bello è quello in cui mi sono reso conto che il sogno si stava realizzando ed è stato l’anno della Serie B. Vedevo le facce dei campioni che avevano scelto di restare in B. Per me non era indossare la maglia della Juve in Serie B, era indossare la maglia della Juve e basta” Il gol più bello? “Sono due: quello contro l’Inter e il primo segnato nel nuovo stadio, è stato l’inizio di un ciclio vicente irripetibile. La partita che vorrei rigiocare? Quella contro il Barcellona in finale di Champions a Berlino, anche solo una parte del secondo tempo
389 partite con la maglia della Juventus, una sola espulsione e sette scudetti – tra i tanti altri trofei alzati al cielo. Con la casacca azzurra della Nazionale, l’esordio nell’agosto del 2009 contro la Svizzera, poi 55 sfide, molte delusioni e l’Europeo del 2012 giocato da protagonista e leader. L’ultima partita nel 2017 in un 3-0 contro l’Uruguay in cui Claudio gioca appena 19 minuto ed esce per infortunio. Diversi i messaggi sui sociali, ma da un ex-Barça arriva un’autentica poesia, breve ma profonda: per Andrés Iniesta, da oggi il “calcio è un po’ meno calcio”.
Disfruté viéndote jugar pero más aún compitiendo contra ti. Hoy el fútbol es un poco menos fútbol. Grazie di cuore per tutto @ClaMarchisio8 👏🏼👏🏼 pic.twitter.com/gLxg7AxUqf
Civitanova torna sul trono nella maniera più difficile possibile. Conquista lo scudetto, il suo quinto a distanza di 13 anni dal primo, dopo essere andata sotto due set a zero e dopo avere visto la morte in faccia. Con la paura della sconfitta, dopo sette finali perse in maniera quasi consecutiva la squadra di De Giorgi (che con la Lube aveva vinto anche il primo scudetto), risorge, si rialza e va a vincere a Perugia che da 3 anni non perdeva in casa una gara di playoff. E sulle ali di questo entusiasmo adesso la Lube vola a Berlino dove sabato cercherà di strappare la Champions ai campioni di Kazan.
Il Palasport di Perugia è una bolgia di colori e passioni: ma quasi subito nel primo set è il bianco nero della Sir Safety che prende il sopravvento con una serie di battute di Wilfredo Leon che spaccano il set. Il pubblico di casa ci crede, Civitanova va in affanno. Cinque e anche sei punti di vantaggio. De Giorgi chiama time out cerca di ritrovare il ritmo della sua squadra, ma quando questo accade (con una serie di battute di Juantorena) è ormai troppo tardi. La Lube si avvicina, ma non abbastanza da impensierire la Sir.
Nel secondo set il copione è lo stesso. Perugia resta padrona, solo che ancora una volta il bottino di vantaggio della Sir (14-9) viene eroso da una Lube che deve sempre inseguire, ma che non molla mai. L’aggancio a quota 21 di Civitanova (muro su Podrascanin) però è solo un lampo poi la Sir riprende la sua marcia con Filippo Lanza che si traveste da Leon in battuta e che spacca definitivamente il set. Il palasport esplode in maniera definitiva, l’aria rarefatta dello scudetto è sempre più vicina ai padroni di casa. Anche se nel terzo Civitanova parte al galoppo (8-5) con Diamantini in campo stabilmente per Cester, la battuta di Leal fa molto male e la Lube vola (10-5).
Perugia è in affanno, sbaglia tanto in tutte le parti del campo, Bernardi pesca in panchina, ma il set è della Lube. Il quarto set inizia con la serie in battuta del bomber serbo Atanasijevic che ridà la carica alla tifoseria, ma la Lube combatte e difende tutti gli attacchi di Leon. E diventa una lotta corpo a corpo. Si combatte una finale scudetto da trincea. Un punto alla volta, un respiro alla volta. Un punto di vantaggio Civitanova e poi uno Perugia. Il primo che molla è perduto. E chi si ferma prima è la squadra di casa.
Tutta la serie si decide in un set ai 15. E Civitanova è più lucida e spietata. Perugia è sulle ginocchia va sotto e questa volta non riesce più a risorgere. E adesso sulla spinta di questo successo, Civitanova può andare a conquistare anche la vittoria di Champions che all’Italia manca da 8 anni.
Otto formazioni per otto scudetti. Con campionissimi irrinunciabili, ma anche preziosi gregari. Le otto Juventus scudettate dal 2012 a oggi sono il perfetto mix di talento e sacrificio nel segno della continuità. Come da Buffon a Szczesny, da Lichtsteiner a Cancelo, da Pirlo a Pjanic, da Tevez a Ronaldo. Da Conte ad Allegri. Il comun denominatore si chiama Andrea Agnelli, faro del progetto bianconero anche dopo l’addio di Marotta. Abbiamo provato a stilare la formazione tipo di questi otto scudetti. Non è stato facile, ogni ruolo aveva il suo sostituto perfetto e ciò dimostra l’abbondanza costante della rosa juventina. Il modulo scelto è il 4-3-3
La top 11
Buffon (Szczesny)
Il numero 1 dei numero 1 ha trovato il suo erede perfetto. Buffon, neo campione di Francia con il Psg, è stato il capitano e protagonista assoluto per 7 anni. Il portiere polacco ha avuto il grande merito di raccogliere in maniera degna il testimone.
Alex Sandro (Evra)
Il brasiliano arriva con grandi speranze dal Porto nel 2016. Parte subito forte, si afferma come uno dei migliori al mondo in quel ruolo. Poi, un lento declino fino a questa stagione. Evra, da par suo, nelle stagioni bianconere ha sempre garantito la sua esperienza sulla fascia.
Bonucci (Benatia)
Croce e delizia di questi anni scudettati. Leonardo Bonucci è stato il play basso da cui far partire l’azione, il libero fuori tempo con piede da regista. L’addio burrascoso lo scorso anno, poi il ritorno da figliol prodigo scalzando Benatia che l’aveva sostituito.
Chiellini (Barzagli)
Qui siamo di fronte a due monumenti del calcio italiano. Chiellini e lo stesso Bonucci non sarebbero diventati così grandi senza la guida del prof Barzagli, al suo passo d’addio.
Cancelo (Dani Alves, Lichtsteiner)
Dibattito aperto sulla fascia destra. Prendiamo Cancelo per il potenziale non ancora completamente espresso. Dani Alves nella sua unica annata a Torino ha parzialmente deluso, anche se per lui parla il cv. Lo Swiss Express è il ritratto della Juve operaia e vincente.
Pirlo (Pjanic)
C’è altro da aggiungere rispetto al Maestro rigenerato da Conte e punto di riferimento della prima Juve di Allegri? Il bosniaco studia nella stessa scuola, ma non è ancora la stessa cosa.
Pogba (Emre Can)
Il polpo è uno dei grandi rimpianti dei tifosi bianconeri che sperano ogni anno in un cavallo di ritorno. Per il momento hanno trovato il tedesco che lentamente si è preso la Juve 2018/2019 dopo un bel po’ di guai fisici.
Vidal (Matuidi)
Se Antonio Conte andasse in guerra, penserebbe al cileno come primo soldato da portarsi insieme. Ma anche il francese campione del Mondo non lo butterebbe via.
Cristiano Ronaldo (Higuain)
L’unica indiscutibile casella. L’extraterrestre portoghese non ha classifica, il Pipita gli ha lasciato spazio dopo due ottime annate allo Stadium.
Del Piero (Dybala)
Il capitano è sempre il capitano, anche se per una sola stagione. Il suo erede con la 10 è stata la Joya, che si è un po’ spenta dopo aver illuminato i suoi primi anni torinesi.
Tevez (Mandzukic)
Prendete il gol segnato al Parma, o l’anno della finale di Berlino. L’Apache era il volto brutto e cattivo di una Juve umile, ma spietata. Mario è il fedelissimo buone per tutte le guerre sportive da combattere.
Allegri (Conte)
Qui la scelta divide l’Italia e il mondo: meglio chi ha dato una stabile identità europea alla squadra o chi ha dato vita al progetto vincente? Dibattito aperto, noi preferiamo la halma sapiente di Max.
Una festa annunciata, un’attesa durata 35 anni. Il Paok Salonicco vince la Superleague greca ed è il terzo titolo che arriva dopo una cavalcata straordinaria durata tutta la stagione. Con un giornata d’anticipo, tenendo alla larga l’Olympiakos, distante cinque punti, ma soprattutto zero sconfitte e più vittorie in assoluto, ben 25.
Interrotto, così, il dominio delle squadre di Atene (Panathinaikos, Olympiacos ed Aek) che durava dal 1988, quando vinse l’Ael di Larissa. Grande entusiasmo a Salonicco, dopo che venerdì notte i sostenitori della squadra avevano già festeggiato il 93° anniversario della fondazione del club illuminando la città. Tutto perfetto, davvero, dalla splendida coreografia organizzata dai tifosi durante la partita contro il Levadiakos terminata 5-0 per i bianconeri e che certifica la vittoria del campionato. Ma lo spettacolo non è solo sugli spalti, quanto anche in campo. Perché Razvan Lucescu, figlio del più celebre Mircea, decide al 90′, in pieno recupero, di giocarsi l’ultimo cambio disponibile. Chi? Esce Pelkas, entra il portoghese Vierinha, capitano della squadra.
Un gesto che si carica di bellezza perché il giocatore proprio la scorsa settimana era uscito dal campo nella partita contro il Larisa per la rottura del legamento crociato, che lo terrà fuori per diversi mesi. Ma per il suo allenatore non importa: alla festa con tutta la squadra doveva partecipare anche lui. In campo. Il video del suo ingresso è commovente: Pelkas, vice capitano, gli cede la fascia; Vierinha entra camminando, tra gli applausi. Un momento che non potrà mai dimenticare.
C’è un po’ di italia nel successo del Paok: Lucescu junior ha giocato anche in Italia, al Crema, prima di diventare allenatore. Oggi ha vinto il suo primo campionato da tecnico, dopo che nella scorsa stagione, sempre al Paok, aveva alzato la Coppa di Grecia. Nel suo staff, tre italiani: gli assistenti Diego Longo e Cristiano Bacci, più il preparatore Matteo Spatafora. In rosa qualche vecchia conoscenza del nostro calcio: il centrale di difesa Alin Tosca, che nella seconda parte della scorsa stagione era al Benevento; il fantasista marocchino Omar El Kaddouri, un passato tra Sud Tirol, Brescia, Napoli, Torino ed Empoli; il difensore José Angel Crespo, visto in Italia con le maglie di Padova, Bologna e Verona. Il titolo è arrivato nonostante a gennaio il Paok abbia venduto la sua stella, il centravanti Prijovic (9 gol in 13 partite nella prima parte del campionato), all’Al-Ittihad.
Il popolo napoletano è legato alle tradizioni ed è anche un po’ scaramantico, soprattutto in ambito calcistico.
La parola scudetto riecheggia da diversi anni tra le strade della città partenopea, grazie a delle stagioni sorprendenti sul campo. La società, per questo motivo, ha fatto un altro passo importante per continaure a essere ai vertici della Serie A stipulando un nuovo contratto di sponsorizzazione. Contratto che fa fare un salto indietro di trent’anni, l’era dei successi conquistati con Diego Armando Maradona.
Il brand che sarà sulla maglia azzurra a partire dalla prossima stagione è Mars, storico sponsor all’epoca della Coppa Uefa 1988/89 e del secondo scudetto del 1989/90. Dolci ricordi per i tifosi napoletani che, ovviamente, non possono che sognare ancora di più con il ritorno di questa partnership.
I festeggiamenti del Napoli dopo la vittoria della Coppa Uefa
Era l’epoca di Careca, Alemao e Maradona, era l’epoca dell’attuale allenatore azzurro, Carlo Ancelotti, calciatore del Milan, era l’epoca in cui il calcio italiano era uno dei più belli del mondo.
Riproporre l’accoppiata Napoli – Mars è un gioco di ricordi che riaffiorano non solo nelle menti del tifoso napoletano, ma anche per l’amante del calcio. È più che palese quanto abbia inciso nel mondo del pallone il Napoli di Maradona e del san Paolo gremito per gustarsi le magie del Pibe de Oro. Nelle ultime stagioni quel pubblico è nuovamente presente tanto da essere tra le tifoserie più calde d’Europa.
Scontro di gioco tra Maradona e Ancelotti in un match di Serie A del 1990/91
L’accordo è stato firmato poco dopo l’eliminazione dalla Champions League tra il club napoletano e Mars – M&M’s che saranno “Official Chocolate Snack”.
Mars è stato lo sponsor di uno dei video più famosi dedicati a Maradona, la clip registrata nel prepartita della semifinale di ritorno di Coppa Uefa tra Bayern Monaco – Napoli in cui il numero 10 argentino si riscaldò al ritmo di Live is life, e fu delirio.
La società guidata da De Laurentis, negli ultimi anni, sta facendo il possibile per riportare a Napoli i successi che oramai mancano da troppo tempo. Successi che, per scaramanzia, non vengono nominati ma che si sa quali sono.
Stiamo parlando di Walter Mazzarri e del collega bianconero Massimiliano Allegri. Due ottimi allenatori che si rispettano, con una lunga storia calcistica alle spalle. Entrambi ex centrocampisti in squadre di Serie B e C, con qualche apparizione in A, hanno cominciato la carriera in panchina in luoghi completamente diversi.
Allegri è rimasto nella sua Toscana partendo dall’Aglianese nella stagione 2003/2004, Walter Mazzarri ha iniziato la sua carriera in Sicilia ad Acireale, prima di rientrare anche lui in Toscana a Pistoia e proprio Livorno.
Se si pensa ad Allegri viene in mente la sua simpatia, spesso autoironica tipica dei livornesi. Dopo le esperienze a Grosseto e a Lecco, arriva la chiamata del Sassuolo con cui ottiene una promozione in B. Proprio con i neroverdi ottiene quel salto di qualità che lo porta a Cagliari, prima del Milan di Berlusconi.
Con il suo approdo a Milano iniziano i confronti diretti con il collega Mazzarri, allora leader della panchina del Napoli. Gli azzurri iniziano a sentire odore di alti risultati ed è per questo che tra i due tecnici inizia anche qualche battibecco a “toni livornesi”. Piccole scaramucce più che passabili per due allenatori brav, che ora stanno guidando le due squadre di Torino e che cercheranno di strappare punti utili.
Avrebbe sperato che quel gol avesse avuto un’importanza maggiore nel match, purtroppo così non è stato, tuttavia resta una rete storica per la società e per se stesso.
Nella notte negativa di Berna ci sono comunque dei dati positivi per la Juventus: in primis la sconfitta subita contro gli svizzeri è stata indolore ai fini della classifica di Champions e perché il numero 10, Paulo Dybala, ha realizzato la rete numero cinquemila della storia del club bianconero.
Una tappa importante per la Juve ed è un segno importante che questo gol sia stato realizzato proprio dall’argentino, simbolo del cambiamento del club in questi anni.
Se l’arbitro avesse convalidato la seconda marcatura, la Joya avrebbe avuto l’onore anche di superare questa importante cifra. Con 5 gol, l’attaccante ex Palermo è il miglior marcatore bianconero della fase a gironi. Meglio sicuramente di Cristiano Ronaldo, fermo a uno.
Da sottolineare che Dybala è il primo straniero a entrare in questa particolare classifica:
Carlo Parola: quota 1000, anno 1948;
Gianni Rossi: quota 2000, anno 1962;
Massimo Briaschi: quota 3000, anno 1984;
Marco Di Vaio: quota 4000, anno 2003.
Le tappe delle 5000 reti bianconere
Mille reti sono state messe a segno negli ultimi 15 anni. Stagioni in cui ci sono stati tantissimi successi e gli anni bui post Calciopoli. Sicuramente hanno contribuito al raggiungimento di questo obiettivo, campioni come campioni del passato come Giampiero Boniperti, Omar Sivori, Roberto Bettega, Michel Platini, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero, David Trezeguet e, negli ultimi anni, Gonzalo Higuain e proprio Dybala.
Marco Di Vaio il 9 novembre 2003 realizzò contro l’Udinese una doppietta e fu proprio lui a rompere il muro delle 4000 reti della storia juventina, a quindici anni di distanza un altro attaccante raggiunge quota 5000.
Chi sarà il prossimo? Quanti anni si dovrà attendere?
Sono passati quasi 29 anni da quel 17 settembre 1989 in cui un giovanissimo Roberto Baggio salì in cattedra al san Paolo di Napoli per segnare un gol “alla Maradona”.
Un match sentitissimo quello tra i partenopei, guidati dal Pibe de Oro, e la Viola da un promettente Divin Codino che, da lì a poco, diventerà icona del calcio mondiale.
Un Napoli ricco di campioni, capace di vincere poi il secondo scudetto della storia, e una Fiorentina incognita che poi chiuderà a 28 punti, raggiungendo a fatica la salvezza.
Quella partita però è rimasta nella storia del calcio italiano, non tanto per il risultato, ma per come è stata interpretata soprattutto dal giovane Baggio. Complice l’assenza di Diego Armando Maradona, lasciato il primo tempo a a riposo in panchina, il numero 10 viola è riuscito a mettere in mostra tutto il suo talento.
In effetti, nei primi 45 minuti il funambolico fantasista viola realizza una doppietta, portando i toscani sul 2-0 all’intervallo, davanti a uno sorpreso Maradona, fremente in panchina.
Baggio segna una doppietta: la prima rete su rigore al 22esimo minuto dopo che lui stesso se lo procura. Il numero 10 entra in area dribblando Renica che da terra lo stende. Dal dischetto Roby non sbaglia.
Ma il meglio deve ancora venire. Nove minuti più tardi Baggio decide di prendere palla a centrocampo e partire puntando diritto verso la porta napoletana. Salta nuovamente il difensore Renica e anche un terzino, per poi trovarsi di fronte il portiere Giuliani. Diagonale? Scavetto? No! Il numero 10 decide di spostarsi la palla con la suola (tocco di pura classe), mettendo a sedere l’estremo difensore, per poi calciare a porta vuota. San Paolo annichilito e Roby Baggio scrive una bellissima pagina di calcio a casa di Maradona.
Il match poi sarà vinto dal Napoli grazie a una grandissima rimonta guidata da Maradona, ma in quel giorno a brillare è stata la stella di Baggio, stella che continuerà a brillare per tantissimi anni.
I numeri e i successi della sua carriera parlano per lui: Gigi Buffon non ha bisogno di presentazioni. Il capitano della Juventus, amato e ammirato da più parti, dopo aver esultato per la gloria di aver vinto il settimo scudetto, saluta la sua squadra dopo ben 17 lunghi anni.
È il momento dei ringraziamenti, per chi c’è stato in passato e per chi è rimasto sempre al suo fianco, a cominciare proprio da Andrea Agnelli, che in conferenza stampa elogia il portiere bianconero e gli esprime la sua grande ammirazione:
Trovare le parole è stato difficile, comincio dal numeri. 269 sono state sue partite, ha il record di imbattibilità ed è stato 89 volte capitano della Nazionale. Ha vinto di tutto e ha conquistato 26 trofei in 22 anni di carriera. Gigi è una persona altruista, carismatica, trasparente, ambiziosa, sincera e onesta. E’ un amico, oltre a essere il capitano. E’ stato in paradiso ed è sceso all’inferno e poi è ritornato in paradiso. Noi gli saremo sempre grati
In poche e sentite parole esprime un pensiero condiviso da tutti, che vuole essere anche un caro saluto affettuoso per un giocatore che ha dato tutto se stesso per la squadra, anche nei momenti più difficili.
L’evidente emozione di Buffon mentre spiega i motivi del suo abbandono dimostra quanto per lui sia stata una decisione sofferta ma necessaria:
Sabato sarà la mia ultima partita con la Juventus, credo sia il modo migliore per finire questa grandissima avventura, conclusa con altre due vittorie per me molto importanti. La mia paura era arrivare alla fine della mia storia con la Juve da ‘sopportato’, da giocatore che ha fuso il motore. Fortunatamente non è così e sono orgoglioso di aver espresso fino a 40 anni prestazioni all’altezza del mio nome e di quello della Juve. Non era scontato
E poi aggiunge:
Questa società nel 2001 ha preso un talento straordinario, ma se questo talento si è tramutato in un campione è per l’ulteriore step in convinzione e consacrazione che mi ha fatto fare la Juve. La sua mentalità e l’approccio al lavoro sono unici al mondo, è una filosofia che ho fatto mia e sono sicuro adopererò anche in futuro, anche perché è l’unico modo che conosco per arrivare a dei risultati con la felicità di aver sofferto. Questo è il più bell’insegnamento, al di là dei risultati e delle coppe
La sua carriera straordinaria, nella Juventus ma anche nella Nazionale azzurra, rimane un punto fermo nella sua vita e sarà la molla per prendere le sue decisioni future con più consapevolezza. Innegabili i momenti difficili che, in entrambi i casi, hanno fatto sentire il loro peso, come l’esclusione dai Mondiali di Russia 2018 o la delusione in Champions League, ma Buffon si è sempre rialzato in piedi e non ha mai mollato.
Che farà dopo aver appeso la maglia della Juve? È quello che si chiedono in tanti, ma lui rimane vago, ancora in dubbio sul suo futuro. Le proposte certo non gli mancano, sia nel campo che fuori, ma al momento il capitano è concentrato solo sul suo ultimo match e sull’affetto che gli stanno dimostrando davvero in tanti.
Anche Totti ha voluto dire la sua all’amico Gigi, con una lunga lettera postata sul sito della Gazzetta dello Sport, che riportiamo qui per intero:
Mi sono sempre trovato a mio agio a ruoli invertiti: io che ostinatamente non riuscivo a staccarmi dalla mia maglia, tu che hai sempre provato a trasmettermi la tua razionalità. Per me è stato difficile, a tratti straziante, chiudere il cerchio. E ora che hai annunciato il tuo addio alla Juventus, caro Gigi, mi sento scaraventato di nuovo nelle sensazioni di dodici mesi fa. Non posso dirti cosa proverai domani, nel tuo stadio. Neanche so cosa ti frullerà nella testa nelle ore successive, quando deciderai se andare avanti o fermarti. Ognuno elabora le cose a modo proprio.
Ma sono certo che in questi giorni ti capiterà di riavvolgere il nastro della tua carriera. Ed è bello pensare che nei nostri rispettivi film abbiamo avuto entrambi una parte. Ci siamo incrociati da piccoli, siamo diventati a poco a poco capitani e uomini. Abbiamo difeso la stessa maglia, quella azzurra. E lottato rispettivamente per l’altra pelle: quella giallorossa io, quella bianconera tu.
Faccio fatica a ripercorre tutto con ordine, ma il vortice che ne esce fuori è davvero travolgente: vedo le notti mondiali, la Coppa verso il cielo di Berlino, i nostri abbracci; li mescolo a un cucchiaio e a un paio di bordate che ti ho rifilato… e a qualche parata che ti potevi pure risparmiare! E ti dico grazie, per l’avversario e il compagno che sei stato.
P.s. – Se nei prossimi giorni avrai bisogno di un consiglio, fammi uno squillo. Per te ci sarò sempre.