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L’attesissima finale dei Mondiali di Ciclismo 2017 si conclude con una vittoria eccezionale che rimarrà nella storia. Ancora una volta è Peter Sagan ad aggiudicarsi il titolo di campione del mondo per la terza volta consecutiva nella prova su strada. Con risolutezza e concentrazione è arrivato al traguardo dopo una gara impeccabile che lo ha visto trionfare proprio come nel 2015 a Richmond e nel 2016 a Doha.

La sua nazione è orgogliosa dello slovacco Sagan, che commenta così la vittoria:

«Dedico la vittoria a Michele Scarponi, domani sarebbe stato il suo compleanno. E la dedico anche a mia moglie, che aspetta il nostro bambino: è il modo migliore per chiudere la stagione»

 Le sue dichiarazioni dimostrano umiltà e professionalità e non possono che fargli riscontrare ancora più consensi tra chi con passione ha seguito questi sorprendenti mondiali di ciclismo.

Bergen per l’occasione è stata clemente con tutti i corridori di questa gara che vedeva sfidarsi i professionisti della categoria elìte maschile. Nemmeno una goccia d’acqua è caduta per creare difficoltà ai ciclisti e durante la gara non si sono registrati particolari disagi.
Il percorso che prevedeva circa 267.5 km non presentava molte insidie per i partecipanti, che soprattutto nell’ultimo tratto hanno dato il meglio di sé e si sono contesi il titolo. Nessuno però è riuscito a raggiungere il vincitore Sagan, che conquista il podio seguito immediatamente da Alexander Kristoff e Michael Matthews.

Il norvegese Kristoff è stato davvero ad un filo dalla vittoria ed era pronto a regalare alla sua nazione questo grande trionfo. Ma giocare in casa non è servito a molto perché l’astuzia e l’energia di Sagan erano di gran lunga superiori alle sue. La prova comunque è stata ottima e non ha nulla da rimproverare a se stesso.

La terza posizione è stata fino all’ultimo combattuta tra due corridori: Matthews e Trentin se lo sono giocato fino alla fine, ma per pochissimo il traguardo è stato raggiunto prima dall’austriaco, che sale sul podio conquistando un meritato terzo posto.

Grande amarezza per l’Italia, quindi, che chiude questa gara con un ottimo 4 posto ma che sperava, invece, di giungere più in alto nella classifica e guadagnarsi un posto nella top 3.
Trentin ci ha provato, come il suo collega Gianni Moscon, che per tutto l’ultimo tratto è partito all’inseguimento dei ciclisti che aveva davanti, ma senza riuscire davvero a primeggiare fra gli altri. Per lui, oltre il danno anche la beffa! Accanto al suo nome nel tabellone finale si legge una parola che brucia moltissimo: squalificato a causa di un traino prolungato dall’ammiraglia.

Il ct Cassani però si ritiene soddisfatto di tutti i suoi ragazzi, perché si sono battuti con avversari più forti facendo del loro meglio e dimostrando il loro grande talento.

 

Parigi – Roubaix: ventinove settori di pavé, per un totale di 55 chilometri. I più lunghi, Quiévy to Saint-Python e Hornaing to Wandignies, di 3,7 chilometri, rispettivamente dopo 100 chilometri dal via e 174, quando ne mancheranno ancora 80 all’arrivo. Duecentocinquantasei chilometri di freddo, fango, vento, polvere… Arenberg, Carrefour de l’Arbre e Mons-en-Pévèle.

Là dove non arriva il clima ancora rigido di questo spicchio di Francia arrivano le pietre, sconnesse, appuntite, irsute e infide. Singoli monumenti che insieme compongono un mosaico più complesso e affascinante: la Parigi Roubaix. Monumento essa stessa alla essenza umana, in bilico tra fatica e fortuna. Non sarà facile, non è mai facile, per nessuno, che si chiami Peter Sagan o Greg Van Avermaet, Tom Boonen o l’ultimo dei gregari.

(AP Photo/Michel Spingler)

Domenica si corre la 115 edizione di una corsa che si ama o si odia. Per Hinault una follia, per il Ballero un paradiso, per i tanti spettatori che ogni anni la seguono in diretta televisiva uno spettacolo da non perdere, per quanti si affollano lungo il percorso un’esperienza indimenticabile.

Una corsa che ha visto un italiano vincitore 13 volte: da Garin, ancora italiano quando la vinse per due anni, agli albori, a Francesco Moser, autore di un fantastico tris. Eppoi i fratelli Coppi, Bevilacqua, Gimondi, i due successi di Ballerini, e Andrea Tafi, ultimo azzurro a conquistarla. Era il 1999, da allora, per noi, poco altro. Qualche podio con Alessandro Ballan, Dario Pieri e Pippo Pozzato, secondo nel 2009 alle spalle di Tom Boonen.

Diretta RAI dalle ore 10,30 su RAISport e dalle ore 15,05 su RAI3.

E’ uno dei prestigiosi e distintivi simboli del ciclismo e dello sport in generale: la maglia iridata, scettro da esibire per un anno intero, che viene indossata dal campione del mondo in carica di una delle otto discipline ufficialmente riconosciute dall’Unione ciclistica internazionale. E’ bianca con al centro una serie di bande colorate orizzontali: dall’alto verso il basso, i colori sono blu, rosso, nero, giallo e verde, ovvero gli stessi degli anelli olimpici, simbolo dei cinque continenti. Da Peter Sagan, ultimo a vincere il Mondiale su strada, al britannico Mark Cavendish, passando per il plurivincitore spagnolo Óscar Freire, fino ad arrivare agli italiani (per citare solo alcuni) Alessandro Ballan, Paolo Bettini e Alfredo Binda, il primo a trionfare nel 1927, in tanti hanno avuto l’onore di vestirsi con la celebre maglia.

Ma attorno alla casacca coi colori dell’iride, aleggia una maledizione, un intruglio di coincidenze, annate storte e morti tragiche, che colpisce colui che la indossa. Ecco alcune storie: Tom Simpson, britanno, ha vinto il titolo mondiale nel 1965; l’anno successivo fu disastroso perché si ruppe una gamba mentre stava sciando e vanificò sia in termini di visibilità che sportivi, il suo anno da iridato. Più tragico è il destino di Jean-Pierre Monseré, trionfatore nel 1970, che morì nel 1971, poco prima della Milano-Sanremo in una gara in Belgio investito da un’automobile sbucata dalla fila. Un altro belga, Freddy Maertens, primo al mondo nel 1981, l’anno dopo non vinse nessuna gara e nel complesso vinse solo altre due gare in carriera.
Rimanendo in Belgio, Rudy Dhaenens, maglia iridata nel 1990, si ritirò poco dopo per problemi cardiaci prima di perdere la vita, in un incidente stradale, sei anni più tardi. Negli anni recenti, oltre ad alcuni casi di doping, colpì la storia dell’italiano Bettini: il 24 settembre 2006 vinse la maglia iridata nel campionato mondiale su strada a Salisburgo, in Austria; otto giorni dopo, il 2 ottobre, il fratello maggiore Sauro morì mentre era alla guide della sua auto.

Nel 2015, sulla rivista scientifica “The British medical journal”, è stato pubblicato uno studio che tende a sfatare tale maledizione. Basandosi su diverse teorie (come la maggior esposizione mediatica e quindi la tendenza a far passare per notizia anche un normale calo sportivo che si combina anche con una fisiologica inflessione dopo avere raggiunto il punto più alto nella disciplina) e incrociando dati e stagioni dei ciclisti vincitori, l’indagine ridimensiona la negatività attorno alla maglia iridata, fino a smontare il caso.