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E’ l’uomo che sfida se stesso, portando il corpo oltre l’estremo, nell’imponderato. Sfida anche la natura, quella matrigna, a volte benevola a volte mortale. L’ha guardata imbacuccato dietro una spessa visiera, non abbastanza per tenersi al sicuro dai -52 gradi. No, non è un refuso, ma è l’impresa di Paolo Venturini che ha portato l’essere umano oltre un confine mai raggiunto da altri uomini: domenica 20 gennaio ha vinto la sua sfida, quella di percorrere i 39,120 chilometri che separano Tomtor e Oymyakon, nella Jacuzia, in Russia, riconosciuto come il luogo abitato più freddo al mondo.

L’impresa

Il sovrintendente della Polizia di Stato e atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro ha corso l’intera distanza a una temperatura di -52 gradi (con picchi anche di -52,6°), impiegando meno di quattro ore (3h 54′ e 10″), in un contesto nel quale anche respirare, la cosa più naturale e involontaria, è un’impresa: vista l’umidità oltre l’85 percento, infatti, l’aria diventa come cristalli di ghiaccio e si rischia il congelamento delle vie respiratorie. Per tener botta a quelle temperature, Venturini ha abbinato più capi d’abbigliamento da running visto che nessun tessuto in commercio è in grado di garantire da solo la giusta protezione. Così Paolo è ricorso a tutta la preparazione e alla sua energia estrema, seguito da due medici del dipartimento di Medicina dello Sport dell’Università di Padova, un traduttore e un accompagnatore, oltre al coinvolgimento di esperti in medicina del freddo dell’Università di Yakuts.

Nel 2017 la sfida nel luogo più caldo sulla terra

Nato a Padova il 13 marzo 1968, Paolo Venturini non è nuovo a queste folle imprese: nel 2017 aveva stabilito un nuovo primato mondiale, attraversando il luogo più caldo del pianeta terra, il deserto del Dasht-e Lut, in Iran, dove la pelle percepisce 76 gradi, nel mese più caldo dell’anno, metà luglio. Già nel 1992, però, le sue prime avventure: dopo alcuni precedenti viaggi in Africa, effettua la sua prima impresa in mountain bike, il giro del lago Vittoria attraverso Kenya, Tanzania ed Uganda, 2.400 Km di savana africana. Poi, quattro anni dopo, taglia il continente nero all’altezza del Tropico del Capricorno per 3.300 Km attraverso Mozambico, Sud Africa, Botswana e Namibia, attraversando i deserti del Kalahari e del Namib. All’alba del 2000 va in Nuova Zelanda e attraversa l’isola in pieno inverno australe e nel 2002, in Australia, compie l’impresa in mountain bike fino a oggi più lunga della sua carriera: 5.100 Km da Darwin a Perth, sempre in solitaria ed autonomia in 34 giorni.

Dopo 4 mesi dall’operazione, di nuovo in corsa

Il 2003 è l’anno dei record per Paolo. Sono 108,750 Km i chilometri coperti sopra a un tapis roulant in 12 ore per svolgere un test di allenamento estremo ed allo stesso tempo per dare la possibilità ad un team di medici specializzati, di monitorizzare il suo corpo. A venti giorni dalla migliore prestazione mondiale sul tappeto, Paolo si reca in Cile e partendo dall’Oceano Pacifico, corre e cammina per otto giorni, percorrendo 470 chilometri e raggiungendo i 5.150 metri d’altitudine del monte Guane Guane. L’impresa viene svolta senza fare uso di medicinali, d’ossigeno e senza avere effettuato alcun adattamento alla quota.

Nel 2008, dopo solo quattro mesi di stop dopo essersi operato a entrambi i talloni, Paolo Venturini corre la Maratona di Fussen in 3 ore e 18 minuti e nel dicembre 2014, in Ecuador, sfida ancora una volta la natura con la “Maximum Quota”: partito dal livello del mare dalla città di Guayaquil, in quattro giorni di corsa estrema, coprendo 231 chilometri in condizioni climatiche limite, Paolo raggiunge i 5.500 metri di quota del vulcano Chimborazo, il punto più distante dal centro del pianeta.

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Arriva un punto della vita in cui i genitori si mettono l’anima in pace lasciando ai propri figli la libertà di tappezzare i muri della stanzetta con poster, immagini, scritte e quant’altro. Nella cameretta di ogni adolescente c’era, c’è e ci sarà il volto di un personaggio di un fumetto, di un cartone animato, del proprio idolo sportivo. E di certo, le riviste con gli inserti speciali e i calciatori a grandezza naturale non aiutavano.

Kylian Mbappé lo scorso 20 dicembre 2018 ha compiuto 20 anni, è ancora un ragazzino anche se per lui l’anno appena concluso l’ha consacrato come il talento più cristallino non solo in prospettiva, ma letale e decisivo anche declinando il tempo al presente. Veloce, tecnico, rapido nello stretto, funambolico e letale sottoporta, l’ex ragazzotto cresciuto nel Monaco, si è affermato al Paris Saint-Germain e con la Nazionale francese vincendo da protagonista il Mondiale in Russia.

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Negli ultimi due-tre anni la vita dell’esterno/punta nato a Bondy è letteralmente andata di corsa, spedita  come quando sul campo accelera e lascia le fiamme dietro di sé: era solo un bambino, un adolescente con i propri idoli appiccicati sulla parete della cameretta. Anzi l’idolo era solo uno: Cristiano Ronaldo. Nel 2013 il giornale France Football ha scattato una foto di Mbappé, quando aveva soltanto 14 anni, nella sua stanza, con felpa e sguardo sognante e alle spalle decine di immagini del portoghese, idolo della sua infanzia.

Ora, però, sul suo profilo Instagram, per augurare a se stesso e a tutti un 2019 quanto meno positivo come l’anno appena compiuto, ha pubblicato una foto nel quale ha “cancellato” dal muro le foto di CR7 piazzando gli istanti più iconici del suo anno incredibile che, oltre ad averlo visto sollevare la Coppa del Mondo, si è arricchito di una Ligue1, Coppa di Lega, Coppa di Francia, Supercoppa, riconoscimento come miglior giovane del Mondiale, nell’All Star team di Russia 2018 e vincitore del Trofeo Kopa come miglior under-21 al mondo. E una copertina del Time.

 

 

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• 2018 🏆🎉✅ • 2019…..❓❓❓ 🥳HAPPY NEW YEAR🥳

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Un fotomontaggio, ovviamente nulla contro Cristiano Ronaldo, solo un messaggio chiaro: è cresciuto, ha realizzato in un batter ciglio i suoi sogni, raggiungendo traguardi che altri calciatori non raggiungerebbero nemmeno in una carriera intera. Ora il mito del giovane Kylian è Mbappé stesso.

Ma CR7 rimane l’idolo del giovane francese e il calcio, nell’ultimo anno, ci ha nuovamente sorpreso con il passaggio del portoghese alla Juventus. Mbappé sogna in grande, sogna da ragazzo di 20 anni e chissà cosa gli regalerà questo 2019…

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Lo scorso 17 agosto è l’ultimo giorno di calciomercato. Claudio Marchisio è (ancora) un giocatore della Juventus. Una vita in bianconero, sin dalle giovanili, con la sola parentesi di una stagione a Empoli. Sette scudetti, quattro Coppe Italia, tre Supercoppe italiane. Uno degli ultimi senatori juventini con Chiellini e Barzagli. Buffon è andato a Parigi, Bonucci è appena tornato e deve riconquistarsi l’affetto perduto. Ma quella mattina, una nota della società mette la parola fine alla lunga storia d’amore col Principino.

A 32 anni Marchisio deve ricominciare daccapo. Si prende due settimane di tempo per capire bene cosa ne sarà del suo futuro. Le offerte non mancano, si parla anche di un interessamento del Milan. Ma Claudio ha i colori bianconeri tatuati addosso, non potrebbe sposarne altri. Il 3 settembre comunica il suo approdo in Russia, nello Zenit San Pietroburgo. Un cambiamento professionale e umano. Prende la numero 10, l’obiettivo del club è riprendersi il titolo nazionale che manca dal 2015. Ha voglie di rivincite. Forse alla Juve lo consideravano già bollito, forse Allegri l’ha precocemente accantonato. Gli ultimi infortuni, specie quello grave contro il Palermo nel 2016, hanno condizionato questa sua fase di carriera. Eppure a Torino avrebbe fatto comodo. Con gli infortuni d Khedira ed Emre Can, Max da Livorno si ritrova con i soli Pjanic, Matuidi e Bentancur in mezzo al campo.

In Russia Marchisio esordisce il 16 settembre ad Orenburg, entrando al 71’ al posto dell’ex romanista Paredes. Per il primo gol bisogna aspettare due settimane. Il 30 settembre segna nel match perso contro l’Anzhi. Il secondo centro arriva agli inizi di novembre. Rigore decisivo per l’1-0 contro l’Akhmat Grozny. Dopo 15 partite lo Zenit è saldamente in testa al campionato con 34 punti, a +5 sul Krasnodar. CSKA e Lokomotiv Mosca sono distanti otto e nove punti. In Europa League la squadra di Semak conduce il girone C con 8 punti, davanti a Slavia Praga (7) e Copenaghen (5). Proprio questa sera è in programma la sfida decisiva interna contro i danesi per il passaggio del turno. Marchisio sarà in mezzo al campo, il cuore batte ancora per la Juve ma il presente è altrove.

 

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Jumping on the Wave crest 🌊 #zenit #davai #MC10

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Invertendo l’ordine degli addendi, la somma non cambia. Nelle qualifiche del sabato del GP di Russia, Valtteri Bottas ha beffato il compagno di team Hamilton, centrando la pole. Rimane il dominio di una Mercedes che indirizza ancor di più verso casa l’esito positivo di questo Mondiale. Il finlandese ha chiuso con un super 1’31”387, un decimo e mezzo più veloce del leader della classifica, mentre per le Ferrari è stato un sabato pomeriggio, per così dire, complicato: Vettel e Raikkonen partono dalla seconda fila dopo aver accusato distacchi pesanti e domenica in gara saranno costretti all’impresa anche per tener vivo il mondiale

Le Mercedes hanno confermato lo straordinario feeling con il tracciato di Sochi dominando le qualifiche e monopolizzando una prima fila che costituisce, di fatto, un altro piccolo mattone verso la conquista del titolo iridato. Per la Ferrari un’altra qualifica complicata, dopo quella di Singapore: entrambe le SF71H sono infatti sembrate alle prese con problemi di stabilità al posteriore e mentre le Frecce d’Argento volavano con le hypersoft, Seb e Kimi faticavano specialmente nel terzo settore, accusando alla fine ritardi pesanti: + 0”556 il tedesco, + 0”850 il finlandese.

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Seb è praticamente chiamato a vincere per tener ancora viva la fiammella della speranza. Sarà necessaria una super partenza e una strategia impeccabile:

Si decide tutto domenica: la partenza sarà decisiva, vi ricordate cos’è successo l’anno scorso, quando Bottas vinse partendo terzo? La qualifica non è andata come volevo, ma la macchina va bene. Nel Q3 mi sarei potuto avvicinare ancora un po’ e ridurre il gap dalle Mercedes. Sapevo di avere un piccolo margine di miglioramento, ma allo stesso tempo non volevo fare errori come altre volte. Ci ho provato. Non è andata come volevo, ma sono abbastanza felice

Una vittoria per la svolta. È questo l’obiettivo che si è posto Sebastian Vettel in vista del prossimo Gran Premio di Russia il prossimo weekend.

Il tedesco, dopo le ultime delusioni, vuole puntare al massimo a Sochi cercando di ridurre i 40 punti di distacco dal leader del Mondiale, Lewis Hamilton.

Un vittoria infatti darebbe sicuramente fiducia e morale alla Ferrari e al pilota, viste le ultime apparizioni non proprio all’altezza della scuderia di Maranello e del tedesco.

Hamilton dice di sentirsi al top come mai successo prima d’ora e ha tutte le carte in regola per aggiudicarsi anche questo titolo iridato, che sarebbe il suo quinto personale (Vettel è fermo a 4 tutti in Red Bull).

Per Sebastian c’è fiducia e c’è ancora voglia di stupire perché fino a quando la matematica non si opporrà ai sogni del tedesco, lui ci proverà con caparbietà. Ridurre il gap non sarà facile proprio perché Hamilton negli ultimi Gp ha trovato un grande feeling con la sua monoposto soprattutto dal punto di vista dell’affidabilità.

Ma il tedesco non intende arrendersi:

Abbiamo ancora una chiara opportunità di ribaltare le sorti di questo Mondiale, ma io guardo a un obiettivo per volta: cominciamo a vincere qui e poi pensiamo alla gara successiva. La macchina c’è, ed è competitiva.

Ci vorrà un grande lavoro di squadra sia nei box che in pista. Fare una buona qualifica aiuterebbe a capire quali possono essere gli obiettivi in gara domenica.

A supportare la prima guida della Rossa ci sarà Kimi Raikkonen. Il finlandese, in ombra a Singapore, deve cercare di aiutare il tedesco. Sicuramente un grande risultato sarebbe piazzarsi primo e secondo così da recuperare punti in classifica costruttori e allontanare Hamilton dalla prima piazza.

Lo stress non fa paura a Vettel il quale ribadisce di non sentire il bisogno di ricevere assistenza da un mental coach:

Ti serve equilibrio, ho sviluppato certe cose che funzionano su di me e ho sufficiente autodisciplina

Si torna a ben sperare nel tennis azzurro. Dopo la delusione dell’uscita prematura degli italiani all’Atp 250 di San Pietroburgo nel singolare, Fabio Fognini e Matteo Berrettini trionfano nel doppio maschile.

Una vittoria meritata per i due italiani che in finale hanno battuto, grazie a due tie-break, la coppia composta dal ceco Jebavy e dall’olandese Middelkoop 7-6 (6); 7-6 (4).

Una vittoria un po’ a sorpresa per gli azzurri dato che il torneo di San Pietroburgo è stato il primo in coppia. Feeling che però è cresciuto subito ed è migliorato nel corso dei match, sino alla finale vinta.

 

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Spasiba St. Petersburg 🇷🇺 @formula_tx

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Sotto di un break in entrambi i parziali (1-3 nel primo, 1-4 e 3-5 nel secondo), Fognini e Berrettini sono riusciti a portare a casa il risultato grazie a un mix di soluzioni vincenti e di recuperi al limite, con i servizi di del romano a dare sicurezza e la difesa del ligure a scoraggiare gli avversari.

Con questa vittoria Fognini vola a giocare il torneo Atp 250 di Chengdu in Cina come testa di serie numero 1. Il tennista sanremese, attualmente 13esimo nella classifica Atp, giocherà il settimo torneo come primo del seeding. L’obiettivo in questo Open sarà quello di arrivare più in fondo possibile per provare ad avvicinarsi in classifica al giapponese Nishikori, distante 400 punti.

In Cina ci sarà anche Berrettini che, nei sedicesimi di finale, sfiderà l’indiano Gunneswaran. Magari il romano in coppia con Fognini proverà a ripetere quanto di buono fatto in Russia.

Grazie alla vittoria, infatti, Matteo è balzato alla posizione numero 126 nel ranking del doppio (suo miglior personale), mentre per Fabio un salto di 16 posizioni, ora è 63esimo.

Oltre al torneo di Chengdu, si sta disputando un altro Open sempre in Cina, a Shenzhen. Tra gli italiani c’è Andreas Seppi che affronta lo spagnolo Albert Ramos-Viñolas.

Il tennis maschile si trasferisce in Russia per quello che sarà il bel torneo Atp 250 a San Pietroburgo.

Fabio Fognini, numero due del tabellone, sarà il leader del gruppo azzurro, composto da altri tre tennisti: Marco Cecchinato, Matteo Berrettini e Luca Vanni.

Fognini cerca sicuramente una gioia dopo il successo a Los Cabos contro Del Potro vuole provare a fare bene anche in Russia, dove l’anno scorso è uscito sconfitto solamente in finale dal bosniaco Damir Džumhur.

Domani il sanremese sfiderà lo slovacco Martin Klizan per gli ottavi di finale. L’urna non è stata clementissima per Fognini ma lo slovacco è un atleta ancora molto incostante. In effetti Klizan riesce ad alternare vittorie sorprendenti come Kitzbuhel quest’anno, Amburgo e Rotterdam nel 2016, ma brutte figure contro tennisti modestissimi. I trascorsi tra Italia – Klizan è un secco 4-2, ma tra le due vittorie dello slovacco ce n’è pure una proprio sul campo di San Pietroburgo, datata però 2012.

Trai favoriti c’è anche Marco Cecchinato, numero 3 del seeding. Il siciliano è volato direttamente ai quarti e attende il vincente tra Baghdatis e Lacko, al fine di trovare la sua prima gioia post-terra, ossia dalla finale di Umag, vinta lo scorso 22 luglio.

Berrettini non si pone limiti e cerca di continuare una stagione più che positiva. A San Pietroburgo, campo veloce, il romano potrà mettere in mostra i suoi migliori colpi: servizio e diritto. Sfiderà il veterano spagnolo Guillermo García López.
Inoltre Berrettini e Fognini scenderanno insieme anche nel doppio contro la coppia russo-canadese Rublev – Shapovalov.

L’ultimo azzurro a scendere in campo sarà Luca Vanni. Dopo le vittorie alle qualificazioni contro il tedesco Brands e il russo Safiullin, il 33enne toscano se la vedrà contro il numero 5 del seeding: Roberto Bautista Agu.

Pare proprio che la Russia, dal punto di vista calcistico, non porti benissimo all’Italia del pallone. Infatti, dopo la mancata qualificazione alla Coppa del Mondo organizzata dal Paese degli Zar, gli azzurri, guidati da Francesco Totti, hanno perso proprio contro la Russia la finale della Legends Super Cup di Mosca, la prima edizione del torneo tra giocatori non più in attività.

I padroni di casa si sono aggiudicati la vittoria finale vincendo 7-6 e segnando la rete decisiva negli ultimi minuti di gioco con Golovskoi. Totti, autore di una doppietta, ha vinto il premio di miglior giocatore del torneo.

La Russia, alla presenza del presidente della FIFA, Gianni Infantino, viene così incoronata campione interazionale della competizione, svoltasi nell’arco di tre giorni, tra vecchie glorie del calcio.

La partita, disputata da squadre di sei giocatori in campo ridotto, si apre con la marcatura di Totti, che dopo tre minuti con un magnifico sinistro dalla distanza insacca la porta difesa da Filimonov; ma i russi reagiscono prontamente e, nonostante le parate di Sebastien Frey, superano la difesa italiana per tre volte con Kovtun, Golovskoi e Pavlyuchenko.

Zaccardo e ancora Totti riportano il risultato in parità, sul 3-3 , ma la Russia segna altri tre gol, prima del nuovo pareggio azzurro grazie alle reti di Di Michele, Del Vecchio e Zauri. La gara, molto emozionante, viene decisa da una rete di Golovskoi, a pochi secondi dal termine, con un perfetto rasoterra dalla distanza che si insacca nell’angolino basso, fissando il punteggio sul 7-6 per i padroni di casa.

È tristemente noto che la Russia è molto severa con chi viola le regole legate all’omosessualità. Nessuna propaganda gay è considerata lecita e, di conseguenza, tutti i riferimenti alla cultura LGBT sono banditi dal paese.

Pena l’arresto, per chi decide di sfidare il governo in tal senso.

E anche durante la manifestazione mondiale, che da un mese circa ha attirato per le sue vie persone provenienti da tutto il mondo, niente è cambiato in termini di tolleranza.

Ma c’è chi decide di svincolarsi da questa legislazione discriminativa e camminare apertamente mostrando i colori dell’LGBT. Geniali quanto originali, un gruppo di attivisti ha sfoggiato una bandiera arcobaleno del tutto in tema con il clima calcistico del momento e pertanto non passibile di alcuna accusa.

Ecco come si presenta la cosiddetta “The Hidden Flag”, o bandiera nascosta, con i sei colori dell’arcobaleno LGBT realizzati attraverso le maglie di alcune squadre partecipanti alla rassegna iridata: Spagna, Olanda, Brasile, Messico, Argentina e Colombia.

Un effetto ottico che rimanda immediatamente alla comunità attivista per i diritti sui gay, ma che può circolare per il paese senza subire alcuna condanna.

L’idea è di un’agenzia pubblicitaria spagnola, con l’intento di dare una scossa alla burocrazia russa e indirizzare il paese verso una maggiore tolleranza della diversità.

Ecco come giustificano questa trovata:

Quando Gilbert Baker disegnò la bandiera arcobaleno nel 1978, lo fece per creare un simbolo e un’icona per la comunità Lgbt. Un simbolo, riconoscibile in tutto il mondo, che le persone potessero usare per esprimere il loro orgoglio. Purtroppo, 40 anni dopo, ci sono ancora Paesi in cui l’omosessualità è perseguitata, a volte anche con il carcere, e in cui la bandiera arcobaleno è vietata. La Russia è uno di questi Paesi. Per questo motivo, abbiamo approfittato del fatto che il Paese ospita la Coppa del mondo contemporaneamente al Pride Month, per denunciare questo comportamento e portare la bandiera arcobaleno nelle strade della Russia. Sì, alla luce del sole, di fronte alle autorità russe, alla società russa e al mondo intero, sventoliamo la bandiera con orgoglio

I sei coraggiosi attivisti sono ormai delle celebrità, soprattutto tra le fila dei sostenitori del movimento LGBT. I loro nomi sono Marta Márquez (spagnola), Eric Houter (olandese), Eloi Pierozan Junior (brasiliano), Guillermo León (messicano), Vanesa Paola Ferrario (argentina) e Mateo Fernández Gómez (colombiano).

Che siano tifosi o meno delle nazionali di cui indossano la maglia non è importante. Ciò che conta è che il loro escamotage è di sicuro un ottimo modo per sostenere la propria causa e al contempo promuovere iniziative volte al confronto e all’unione anche tra nazionalità diverse.

I Mondiali di Russia 2018 sono ormai all’atto conclusivo e domenica 15 luglio conosceremo il nome dei nuovi Campioni del Mondo, ma fino ad allora la bandiera LGBT ha il “permesso” di continuare ad aggirarsi per le strade della Russia e diffondere i suoi colori, nella speranza di ottenere da parte del governo un’apertura che al momento è solo un’utopia.

Sono rimaste solo due in piedi. Le altre si sono inginocchiate, in lacrime per essere per l’ultima volta  a stretto contatto con il manto erboso di uno stadio mondiale. L’ultima a piegarsi è l’Inghilterra; ad accartocciarsi, semmai per sua stessa colpa e responsabilità. Ma la Croazia è davvero bella bella, non si smonta, si trova sotto di fatto in apertura e nonostante i tre supplementari sulle gambe è proprio oltre il 90’ che completa la rimonta e, domenica 15, affronta la Francia nella suo prima storica finale.

Storica sì perché 4 milioni di abitanti di uno stato che calcisticamente esiste solo dal 1993 si troveranno laddove non sono mai arrivati: esattamente 20 anni fa, alla prima partecipazione ai Mondiali arrivarono in semifinale, contro proprio i transalpini. Un rematch e questa volta Thuram non ci sarà.

E così il football non torna a casa, eppure ora che l’Inghilterra aveva trovato un portiere degno, Pickford, non riesce a completare un’avventura fantastica quanto imprevedibile. La sfrontatezza, l’incoscienza fino ad oggi avevano premiato i ragazzi di Southgate che sono crollati sul più bello.

L’Inghilterra viene rimontata 2-1 e va a San Pietroburgo per la finalina contro il Belgio eppure al 5’ la pennellata magistrale di Trippier su punizione lasciava presagire un altro finale. Anzi l’happy ending.  Era dal 2006, contro l’Ecuador, che l’Inghilterra non segnava su piazzato di prima. E quel tiro partì dal destro di Beckham.
Poi però Kane ha sbagliato il 2-0, il colpo del ko e i fantasmi sono tornati minacciosi: perché il centravanti del Tottenham ha dimostrato di essere freddo per tre volte dal dischetto e di essere fortunato anche con i rimpalli, ma oggi ha tradito. E poi su 12 gol realizzati in questo torneo, gli inglesi hanno piazzato 9 reti da calcio da fermo. Funzionano gli schemi e sanno essere letali e lucidi, certo, ma con questa sconfitta la chiave di lettura viene ribaltata.

Non avevano fatto i conti con gli italiani (ed entrambi ex Wolfsburg) Ivan Perisic e Mario Mandzukic. Nella Croazia che ha riunito sotto l’occhio vigile del ct Dalic calciatori che vengono da 11 campionati, a brillare sono quelli della Serie A, nel periodo dove i riflettori sul campionato italiano sono già accesi e focosi per Cristiano Ronaldo. L’interista pareggia al 68’, si trasforma e potrebbe piazzare la doppietta ma si stampa sul palo, poi lo juventino sentenzia nel secondo supplementare, su assist di testa di Ivan, al 109’. In mezzo c’è l’inglese (del Liverpool) Lovren che, in spaccata, nell’area piccola, spazza un pallone che avrebbe forse messo fine alla sfida.

L’Inghilterra che aveva sfatato i tabù dei rigori si prende gli applausi per un percorso inimmaginabile. Rimarrà la forte delusione per il film di questa partita che i leoncini avrebbero potuto gestire diversamente. Ma Southgate l’aveva detto alla vigilia, è un rodaggio per essere pronti ai Mondiali del 2022. Fata spazio alla Croazia che ha dato al calcio in questi anni talenti cristallini e che ha l’occasione di premiare il più grande: Modric.

C’è un conto aperto dal 1998. Alla Luzhniki Arena, domenica 15 luglio, ore 17.

Ps. Non vorremmo essere nei panni di Kalinic.