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E’ uno tra i simboli più tatuati dagli statunitensi, scrive, nel saggio critico “No logo”, l’autrice Naomi Klein. Parliamo dello Swoosh, il logo universalmente riconosciuto della Nike, una delle società d’abbigliamento che più si è legata allo sport e alle gesta degli atleti. Con un fatturato che nel 2015 ha superato  i 30 miliardi di dollari, negli anni, Nike è diventato il primo produttore mondiale di accessori e abbigliamento sportivo, soprattutto per il calcio, il basket, il tennis e diverse discipline atletiche.

Nike Inc. nasce il 25 gennaio 1967, su idea di un allenatore, Bill Bowerman, e di uno studente di Economia, Phil Knight, per importare scarpe sportive dal Giappone. Fu scelto Il nome “Nike” perché nella mitologia greca l’omonima dea simboleggiava la vittoria. A guardar bene, infatti, lo Swoosh rappresenta la  dinamicità stilizzata della dea alata Nike di Samotracia.

Dalle scarpe alle magliette, dagli orologi ai polsini, il brand è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità, cavalcano lo slogan “Just do it” ed efficaci campagne pubblicitarie. Dallo spot girato dalla Nazionale di calcio brasiliana in aeroporto, a Michael Jordan, siamo rimasti incollati davanti allo schermo e ancora oggi ricordiamo con affetto queste pubblicità.
Qui di seguito, abbiamo raccolto gli spot che hanno aumentato la popolarità del marchio portandolo alla supremazia attuale:

1988 – La prima volta di “Just do it”

La prima volta che il mondo si accorge di queste tre semplici parole è in uno spot televisivo del 1988. Si vede Walt Stack, allora 80eene corridore, correre a petto nudo lungo il Golden Gate Bridge di San Francisco, mentre dice al pubblico che corre 17 miglia ogni mattina. “Just Do It” è stato un spartiacque per l’azienda: a metà degli anni ’80, infatti, aveva perso negli Stati Uniti il dominio sulla vendita delle scarpe sportive. Questo passo è stato decisivo per il definitivo rilancio;

1991 – Ci vuole il rock: Agassi e i Red hot

Esplode la carica degli anni ’90 e la Nike pensa di miscelare rock e sport, dimostrando di poter spaziare e accogliere le icone più trend del momento. Per la musica ecco i Red Hot Chili Peppers, mentre come atleta sportivo si sceglie il ribelle, alternativo e un po’ punk nell’anima: la folta chioma (che poi perderà) del tennista Andre Agassi;

1995 – La sfida infinita: Agassi contro Sampras

E’ ancora il tennis a proiettare la Nike in una nuova dimensione. Questa volta scende in strada, tra i comuni passanti. La forza espressiva del marchio è talmente forte da piazzare nello spot una delle rivalità sportive più acri e suggestive: Agassi contro Sampras. Lo spot “Guerrilla-tennis”, definito come uno dei migliori 25 sportivi da Espn, è un incontro improvvisato tra le vie di New York con gli spettatori sorpresi e poi entusiasti;

1996 – Il calcio va all’inferno

Com’è facilmente intuibile, il calcio (soccer) in America è partito un paio di gradini al di sotto rispetto basket, baseball o anche tennis. Nel corso degli anni è diventato sempre più popolare anche se la Nike, attenta anche al mercato europeo, ha sempre avuto un occhio di riguardo al calcio nostrano.
Nel 1996 fa centro con uno spot mitologico che vede Maldini, Ronaldo, Brolin, Rui Costa, Kluivert, Campos chiamati a salvare il calcio da orrendi e maligni diavoli. Il tocco finale è un must ancora oggi: Cantona che si alza il colletto e prima di perforare il portiere esclama: “Au revoir”.
La Nike, in seguito, realizzerà tante altre campagne sul calcio (ricordiamoci Ronaldo e il Brasile in aeroporto o tutto il capitolo sulla “gabbia” o il “joga bonito”), ma questo spot di metà anni ’90 è una tappa miliare e unica;

1996 – “I’m Tiger Woods”

Nello stesso anno, Nike decide di puntare e investire su un ragazzo, un golfista, da poco passato ai professionisti. Crede nelle potenzialità del ragazzo e gli dedica una campagna ad hoc semplice ed efficace, tanto da rimanere in testa per giorni e giorni. Bambini e ragazzini, in successione, pronunciano «I’m Tiger Woods»: è la presentazione al mondo di quello che per molti sarà considerato il più grande golfista di sempre e tra i migliori sportivi.
La carriera di Woods non ha bisogno di ulteriori parole: già nel 1997 vince il Masters a 21 anni e 3 mesi risultando il più giovane vincitore nella storia del torneo;

2001 – Dopo il rock, ora tocca all’hip hop

E’ probabile che quella generazione di ragazzini si sia appassionata all’hip hop e al basket vedendo questo spot. Una scarica di adrenalina, la voglia di prendere in mano la palla e fare acrobazie e freestyle. Sfondo nero, luci soffuse, un beat creato dal suono dei rimbalzi della palla e dalle scarpe che scivolano sul parquet e si sforna un autentico capolavoro. Divenuto icona del nuovo secolo, lo spot è stato riadattato anche in versione “calcistica”;

2003 – Ciao Michael Jordan

Michael Jordan è la leggenda del basket. Michael Jordan per quasi due decadi è stato uno dei volti più di successo della Nike che già verso la fine degli anni ’80 aveva scommesso su di lui. Basta pensare che esiste una linea, “Air Jordan”, costruita esclusivamente sull’icona dei Chicago Bulls.
Nel 2003, all’annuncio del suo reale e definitivo ritiro come giocatore dall’Nba, la Nike, in preda alla nostalgia, gira uno spot sulla falsariga di quelli passati. C’è il regista Spike Lee nelle vesti di Mars Blackmom (nome di fantasia di questo personaggio molto amico di Mj) che persuade e prova a convincere il numero 23 a ritornare a giocare.
Una serie di infinite telefonate e poi alla fine del video, si sente dall’altra parte della cornetta Jordan che saluta. Poi “tu-tu-tu”. E’ la conclusione di un pezzo inarrivabile di storia. Divertente e un po’ triste allo stesso tempo;

2005 – Con le traverse di Ronaldinho esplode internet

Nike introduce il concetto di “viralità”, fenomeno di ipercondivisione ed emulazione che si diffonde attraverso la rete. Bastano solo alcune parole: Ronaldinho, Barcellona, quattro traverse (più una quinta che si sente in chiusura dello spot). Il capolavoro è servito;

2013 – 25 anni di “Just do it”

La Nike, come visto con Spike Lee, ha ciclicamente chiesto la partecipazione di attori, registi e addetti allo spettacolo. Per celebrare i 25 anni dalla nascita dello slogan, si serve della voce di Bradley Cooper per narrare le gesta dello spot dal nome “Possibilities”.
E’ un invito a non mollare mai, a credere in quello che si fa: fatica, sudore e sconfitte forgiano gli atleti vincenti di domani. Così, si arriva a giocare assieme a Piqué (difensore del Barcellona) o a sfidare Serena Williams o LeBron James.
Inutile dirlo, la campagna è diventata subito virale, ottenendo più di quattro milioni di visualizzazioni nella prima settimana di lancio;

Ora la palla passa a voi: quali spot vi sono rimasti più impressi?

Voleva davvero calciare verso la rete o no? La domanda impazzirà per tutta l’eternità e non importa quante volte ascolteremo i protagonisti, guarderemo le fotografie o rivedremo le riprese da ogni angolazione: è impossibile avere una certezza.
Ci viene in mente un caso simile: il golazo di Shevchenko, con la maglia del Milan, che perforò Buffon dopo un’azione da solista con un tiro radiocomandato talmente pazzo da non sembrar voluto.

Ecco, il 21 giugno 2002, i 47mila spettatori nello Shizuoka Stadium, in Giappone, e i miliardi di tifosi incollati davanti alla tv si domandarono: quello di Ronaldinho è un tiro intenzionale o un cross troppo largo? David Seaman, portiere icona dell’Inghilterra, avrebbe potuto fare di più? E se la palla fosse andata di un ciuffo più in alto o di qualche centimetro a sinistra, ricorderemmo ancora questa partita? Le domande non finiscono mai.

Quello che però solca gli annali è una pennellata di classe di una giovane stella nascente che grazie al suo magico talento e istinto ha deciso una partita classica del calcio internazione.  Ai Mondiali del 2002 in Corea del Sud e Giappone, i due colossi si ritrovano faccia a faccia nei quarti di finale.
Da un lato la Seleção che andrà a vincere la Coppa contro la Germania laureandosi pentacampeao, dall’altra l’Inghilterra che passa come seconda nel suo girone, estromettendo però l’Argentina (altra storica rivale) e che agli ottavi gonfia il petto con un netto 3-0 contro la Danimarca. Firme di Rio Ferdinand, Owen ed Heskey.
Dall’altro lato ci sono Rivaldo, c’è Ronaldo il fenomeno che trascina la squadra verso il titolo e che vincerà il Pallone d’Oro nello stesso anno, c’è Roberto Carlos e c’è Ronaldo de Assis Moreira, meglio noto come Ronaldinho per non far torto al “vero” Ronaldo (ai Mondiali Under-17 in Egitto nel 1997, infatti, portava ancora il nome Ronaldo sulla maglia).

Gaúcho è un funambolico talento che sta assaggiando il calcio europeo nel Psg. Un antipasto, a dire il vero, perché i suoi numeri e le sue giocate gli valgono ben presto inchiostro e grafite sui taccuini dei tanti osservatori che scrivono il suo nome per proporlo ai rispettivi club. In terra francese ci rimane fino al 2003 quando il Barcellona, stizzito per l’arrivo di Beckham (suo obiettivo) al Real Madrid, vira sul brasiliano.

L’altro enfant prodige, Michael Owen, intanto decide di sbloccare il match al 23’: Heskey lancia in profondità, Lucio si accartoccia su se stesso ciabattando malamente il pallone che viene scippato dal furetto del Liverpool e infila Marcos. I Tre Leoni passano in vantaggio anche se hanno costruito poco. Ci pensa però il duo Ronaldinho-Rivaldo in pieno recupero di primo tempo a ridare senso al match. Il futuro del Barcellona con il presente blaugrana, quasi un’investitura: il giocatore del Paris Saint Germain prende palla da centrocampo, avanza con la sua progressione fatta di finte, doppi passi e movimenti, vede Rivaldo completamente smarcato sulla destra e lo serve. Tiro di prima ed è 1-1.

Al 5’ della ripresa arriva il sorpasso brasiliano, in questo match poco verde e poco giallo, ma tanto blu. E’ il gol che osanna Ronaldinho, è la rete che da lì in poi segna la carriera del ragazzo. E’ questa qui:

 

E’ la rete del sorpasso, la seconda rete del fantasista in questo Mondiale (la prima su rigore contro la Cina) e sarà anche l’ultimo gol segnato con il Brasile all’interno di un campionato del Mondo: in Germania 2006, infatti, rimane a secco. Il match contro l’Inghilterra lo vede in campo ancora per qualche minuto: sette minuti dopo il gol arcobaleno, l’arbitro messicano Felipe Ramos Rizo lo espelle con un rosso diretto per fallo su Mills.

A noi tutti, però, pa partita di Ronaldinho è cristallizzata in quella parabola magica e spietata. Noi ci facciamo delle domande, lui, Ronaldinho quasi quasi non ne può più:

«Mi è stata posta questa domanda così tante volte che ho perso il conto. La mia risposta è sempre la stessa: è stato un tiro. Cafu e io avevamo parlato di come il loro portiere fosse spesso fuori dalla sua linea di porta, quindi ho calciato verso lo specchio. Certo, non posso dire che intendevo che la palla andasse esattamente in quel punto, ma stavo cercando di metterla in rete anche da quella distanza»