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Oltre la banalità del calcio, Claudio Marchisio svetta per profondità e complessità delle sue riflessioni. Alle dichiarazioni preconfezionate da dare in pasto ai media, l’ex Juve preferisce un post social mai banale spesso sui temi di attualità. L’ultimo riguarda Silvia Romano, la volontaria italiana rapita in Kenya il 20 novembre scorso e precipitata nel silenzio di stampa e tv. «90 giorni saranno sempre troppo pochi per perdere la speranza e la forza di ricordare Silvia ogni giorno e chiedere che sia fatto tutto il possibile per portarla a casa». Venti giorni fa, il Principino si era invece occupato dei pastori sardi e della loro battaglia per il prezzo del latte: «La Sardegna è il cuore di uomini e donne straordinarie […] Amo la vostra terra e vi sono vicino». 110mila like dai suoi 4 milioni di follower su instragram.

“Sono un uomo libero”

Il centrocampista, classe 1986 con 55 presenze nella Nazionale, ha fatto le valigie dalla sua Torino nell’ultima estate. Ha capito di essere di troppo nella sua Juventus, la società non lo riteneva più all’altezza e si è guardato altrove.  Marchisio ha così scelto la Russia e lo Zenit San Pietroburgo per ricominciare. La stagione nella ex Leningrado va avanti tra alti e bassi, 15 presenze totali (spesso partendo dalla panchina) e due reti. Ma all’ex enfant prodige della cantera bianconera la vita calcistica interessa fino a un certo punto. Si sta smarcando dall’immagine ovattata del calciatore lusso e pailettes per imporsi come atleta impegnato. Prendendosi anche la sua buona dose di insulti dagli hater di professione.

Io penso di essere libero, come te, di poter pensare e commentare. Qui non si parla di denaro, ma di possibilità di vivere, di scappare da guerre, da persone violente

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E così, tra una foto dei momenti in famiglia e una con il suo Zenit, c’è spazio per altro. Per il ricordo dell’avvocato Agnelli a 16 anni dalla scomparsa. Per la signora Marisa, seconda vittima della folle notte di Torino durante la finale tra Juve e Real Madrid. Per i giovani Riccardo Neri e Alessio Ferramosca, giovani del vivaio Juve morti in circostanze assurde nel 2006. Per il crollo del ponte Morandi, il terremoto in Indonesia, la battaglia pro migranti, il ricordo di Scirea. C’è la sua Vecchia Signora, ma non solo. Perché Marchisio sa che la vita non è solo bianca e nera, ci sono tanti altri colori oltre quelli indossati da calciatore. Sono le sfumature della vita, immagini e affreschi che non si possono tatuare.

Parlare di italiani al primo posto, quando si parla di persone con ALTRE VERE difficoltà, non è da italiani, ma è da non UMANI

 

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Guerre e violenza costringono ogni giorno migliaia di famiglie ad abbandonare le proprie case e ad affrontare pericolosi viaggi alla ricerca di protezione, dignità e un futuro per i propri figli. Io credo sia il momento di chiedere ai leader mondiali delle soluzioni concrete e di stare dalla parte dei più deboli. E tu da che parte stai? Everyday thousands of families are forced by wars and violence to leave their homes and to undertake dangerous journeys. This because they are just seeking protection, dignity and a better future for their own children. I firmly believe it’s time to ask our political leaders to find concrete solutions, taking the side of the weakest. And you, whose side are you on? #WithRefugees #WorldRefugeeDay #stayhuman

Un post condiviso da Claudio Marchisio (@marchisiocla8) in data:

Il 20 giugno è riconosciuta la giornata Mondiale dei Rifugiati, e la Fare, l’organizzazione Football Against Racism, ha pubblicato l’undici di giocatori che sono al Mondiale e che sono stati costretti, loro e le proprie famiglie, ad abbandonare il proprio Paese per guerre, problemi sociali e politici.

PORTIERE E DIFENSORI

 In porta Steve Mandanda, costretto a trasferirsi in Belgio dall’ex Zaire ai tempi del regime di Mobutu. Terzino destro, Victor Moses. Il giocatore del Chelsea è nigeriano, di Kaduna, città a forte presenza musulmana resa celebre dalle nefandezze di Boko Haram. Durante la guerra scoppiata in città nel 2002 per questioni religiose i suoi genitori furono uccisi. Victor fu mandato a Londra dove fu adottato. Centrale, Dejan Lovren. Il difensore del Liverpool fu costretto ad abbandonare Kraljeva Sutjeska, la sua cittadina bosniaca, durante il conflitto nei Balcani. Accanto a lui Vedran Corluka, con una storia molto simile e fuga dalla Bosnia a Zagabria. Il terzino sinistro è Milos Degenek: “Quando ero piccolo ho visto cose che nessun bambino dovrebbe vedere” dice l’australiano. Dalla Croazia la famiglia scappò a Belgrado con lo status di rifugiati. E da lì l’emigrazione Down Under nel 2000.

IL CENTROCAMPO 

In mezzo Granit Xhaka, nato a Basilea da genitori albanesi kosovari costretti alla fuga. Il fratello gioca con l’Albania, lui ha scelto la nazionale d’adozione. Con Lui Luka Modric. La casa di Zara del centrocampista del Madrid fu bombardata e lui con la famiglia scappò andando a vivere negli ostelli preparati per gli sfollati durante la guerra dei Balcani. Per Ivan Rakitic una storia simile a quella di Xhaka: la famiglia del giocatore del Barcellona si è rifugiata in Svizzera, dove lui è nato e cresciuto, dalla violenza della guerra della ex Yugoslavia. Ha giocato con le giovanili rossocrociate, poi ha scelto la Croazia.

ATTACCANTI 

Scontata la presenza di Pione Sisto. La punta del Celta è nato in Uganda da genitori del Sudan del Sud che si erano rifugiati lì per scappare dalla guerra del Darfour. Due mesi dopo la nascita Sisto era in Danimarca, la sua nazionale. Il Sudan del Sud è stato da poco accettato dalla Fifa come nazione calcistica dopo una lunga battaglia. Sisto però non può tornare indietro a dare una mano. Con lui davanti Adnan Januzaj, albanese kosovaro come Xhaka, la sua famiglia è finita Bruxelles e lui gioca col Belgio. L’ultimo nome di questa nazionale, ma potrebbero farne parte tanti altri, è quello di Josip Drmic, anche lui croato diventato svizzero per colpa della guerra.