A 13 anni esatti dalla sua scomparsa, ci piace ricordare un atleta che ha saputo farci esultare e piangere, un campione che ha diviso, sempre, come sanno fare solo quelli che lasciano un segno nello sport e, diciamocelo, nella vita delle persone. Ci piace ricordare Marco Pantani.
Sarebbe impossibile, per non dire pretenzioso, voler citare tutte le imprese di cui è stato capace il Pirata e quindi in questa sede vogliamo concentrarci su quella che probabilmente è stata la più eroica in assoluto e che, senz’altro, è rimasta più impressa nella mente degli italiani: la vittoria di Les Deux Alpes al Tour del 1998.
Il ’98 è l’anno della definitiva consacrazione di Pantani, quella in cui il Pirata raggiunge il sogno di tutti i corridori dei Grandi Giri: la doppietta Giro d’Italia – Tour de France nello stesso anno.
Un risultato quasi impensabile e proibitivo per chiunque – prova ne sia che anche il fenomeno Lance Armstrong non ci ha mai nemmeno provato – ma che riesce al fenomenale scalatore romagnolo.
A maggio, nella corsa rosa, sfianca la strenua resistenza del mai domo Pavel Tonkov con un numero pazzesco di scatti e controscatti nella tappa di Montecampione e porta a casa una sudata ma meritata vittoria.
Ma è al Tour che Marco mette in scena il suo vero capolavoro. La vittoria al Giro è un ottimo biglietto da visita ma la stanchezza accumulata e il classico percorso pianeggiante della prima settimana della Grande Boucle non sono nelle sue corde.
Pantani accumula un ritardo di oltre cinque minuti dalla maglia gialla del campione uscente Ullrich e sembra destinato ad essere un illustre comprimario nella corsa al podio di Parigi.
Ma il Tour de France, si sa, è lungo ed imprevedibile. Con il passare dei giorni Marco rinasce e recupera in modo inesorabile fino alla fatidica tappa, la quindicesima, con arrivo a Les Deux Alpes. Ed è qui che il Pirata scrive la storia.
La giornata è da tregenda. Il freddo e la pioggia torrenziale sconsiglierebbero anche il più pazzo dei corridori dal tentare l’impresa di giornata ma allo stesso tempo rappresentano la cornice ideale per chi, come Marco, a quella pazzia unisce una classe innata e una forza interiore infinita.
Sul Galibier (a 50 km dal traguardo!) il Pirata decide di rompere gli indugi: scatta, raggiunge Massi ed Escartin, li passa a doppia velocità e fa il vuoto giungendo al traguardo in solitaria e rifilando un distacco impressionante alla maglia gialla: quasi nove minuti.
Più forte del freddo e della pioggia, più forte della stanchezza, più forte degli avversari: un’impresa eroica che ha saputo unire i suoi tifosi e i suoi detrattori, gli italiani e i francesi e che sicuramente ha emozionato nel profondo anche chi non apprezzava non solo l’atleta, ma anche l’uomo.
Il resto è storia nota: Pantani vince l’edizione 85 del Giro di Francia dopo ben 33 anni dopo l’ultima vittoria italiana di Felice Gimondi nel 1965.
In questa data non si poteva non onorare un ricordo che è di tutti noi, sia di chi lo ha vissuto in diretta che di chi l’ha letto distrattamente sui quotidiani del giorno dopo. Non si poteva non celebrare un atleta, ma prima ancora un uomo, che è stato adorato e poi ripudiato, incitato e poi osteggiato, difeso e poi accusato senza appello ma che è stato in grado di entrare di diritto nella cultura popolare italiana.
Un campione triste, almeno all’apparenza, che viveva lo sport e la fatica in modo viscerale, quasi senza riuscire a godersi le vittorie, i meritati elogi, il successo.
Celebre ed emblematico in questo senso il botta e risposta con Gianni Mura «Marco, perché vai così forte in salita?» «Per abbreviare la mia agonia».
Un uomo che merita rispetto perché è stato capace di risalire in sella dopo cadute che avrebbero tagliato le gambe a chiunque, finché la fiammella della sua esistenza gloriosa non si è spenta, a soli 34 anni, in un’anonima stanza di un anonimo residence in un anonimo giorno di San Valentino di 13 anni fa.
Probabilmente ricordare il più scintillante dei suoi successi è il minimo che possiamo fare.
Michele De Martin