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Dai, Beatles, andiamo a fare un po’ di soldi!

Scanzonato e un po’ spavaldo. Sicuro e determinato, ma anche con la leggerezza di un appena 24enne con tutto il mondo da scoprire. E con i grandi successi che sono lì ad attenderlo per consacrarlo nella storia dello sport. Cassius Clay, prima ancora di essere Muhammad Alì, questo non lo sapeva. Aveva al collo “solo” una medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi romane del 1960, simbolo che le tappe si stavano bruciando in fretta.
Ma quel 18 febbraio 1964 sapeva solamente che, una settimana dopo, avrebbe sfidato Sonny Liston, in un incontro di boxe valido per il titolo di pesi massimi. Alla vigilia Clay era dato perdente 7-1.

In quei giorni negli Stati Uniti erano sbarcati i Beatles per registrare delle apparizioni all’Ed Sullivan Show, una popolare trasmissione americana. Popolare come loro, ormai in rampa di lancio nell’universo della musica, conosciutissimi dai giovani e dalle fan sfegatate. Tutti, più o meno, sapevano dei quattro ragazzacci di Liverpool, tutti tranne Robert Lipsyte.
Robert è un giovane giornalista del New York Times inviato a Miami per raccontare i giorni predenti alla grande sfida tra i due pugili. «Non ero una ragazzina, io davvero non sapevo chi erano i Beatles o quello che sarebbero diventati – dice oggi scherzando Lipsyte –. Erano ragazzi magrolini e con un sacco di capelli e con addosso giacche bianche di spugna».

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Quel 18 febbraio 1964 erano tutti lì. Il giornalista se li è trovati nella palestra d’allenamento di Cassius Clay senza sapere chi fossero. Erano tutti lì in attesa dell’arrivo del ragazzone del Kentucky; le rockstar erano anche abbastanza spazientite: certo, i Beatles erano felici di incontrare un campione di boxe e ottenere visibilità sui giornali, ma il gruppo in realtà voleva incontrare Liston e non, come diceva John Lennon, «il fanfarone che sta per perdere».
Ma Liston non aveva alcun interesse a perdere tempo, così i Fab Four virarono su Clay.

«Ma d’un tratto la porta si spalancò ed eccolo lì. E’ la creatura più bella che abbia mai visto», dice Robert. Quasi come un’apparizione mitologica, avvolto dal bagliore della porta che si apre, mentre lui, scherzando e ridendo disse appunto: «Dai, Beatles, andiamo a fare un po’ di soldi».
E così, immortalati dal fotografo Harry Benson, i cinque mascalzoni vengono immortalati in foto che entreranno nella storia: in una c’è Clay che fa finta di colpire George Harrison mentre gli altri fingono di cadere come tasselli del domino; un’altra in cui il pugile solleva Ringo Starr tra le sue braccia, e finge di mettere tutta la band ko.
Tutte con estrema naturalezza agli occhi di Lipsyte, come se fossero costruire e provate giorni e giorni prima. Poi, tra una risata e l’altra, i Beatles si allontano dalla palestra in limousine, mentre Clay inizia il suo allenamento.

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Al termine dell’allenamento il pugile torna nel suo spogliatoio; Lipsyte lo segue nella speranza di fargli qualche domanda, ma è Clay ad anticiparlo, chiedendo:

Chi erano quelle piccole femminucce?

Un incontro di boxe atteso da quasi un anno, un match valido per il titolo mondiale dei pesi massimi Wba-Ibf; la rivincita di Evander Holyfield contro Riddick Bowe. Lo stesso Holyfield che diventerà famoso nel giugno 1997 per il morso subito all’orecchio da Mike Tyson.
Qui siamo qualche anno indietro, al 6 novembre 1993, praticamente un anno dopo il primo incontro tra Holyfield e Bowe was, disputato a Las Vegas, in Nevada, con la vittoria di “Big Daddy”. Lo scenario è ancora Las Vegas, questa volta il ring all’aperto del prestigioso Caesars Palace. “Repeat or Revenge” è lo slogan che accompagna l’evento sportivo, ma se questo incontro è passato alla storia tra gli eventi del ‘900, non è per quello che è successo nel ring, ma….sul ring.

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Durante il settimo round, nell’inconsapevolezza dei due pugili e dell’arbitro di gara, gli spettatori vengono distratti da qualcosa, o meglio, da qualcuno che è piombato dall’alto, prima di schiantarsi goffamente in prossimità del quadrato. James Miller, paracadutista e pilota, con il suo paramotore, dopo aver sorvolato il Caesars Palace per una decina di minuti, decide di scendere in picchiata, invadendo proprio il match di pugilato.
Gli animi si accendono subito: i fili che sorreggono l’ala rimangono aggrovigliati all’impianto di illuminazione, così Miller, rimane appeso e inerme. Invano, l’improvvisato stuntman ha provato ad aggrapparsi con un piede e con un mano alle corde attorno al ring per provare a scendere: da lì a poco si scatena il caos.
I tifosi lo trascinano a bordo ring, lo circondano e iniziano a colpirlo e ad attaccarlo. La security, intervenuta poco dopo, riferirà che Miller è stato colpito una ventina di volte. Dopo aver perso i sensi, il pilota è stato ricoverato in un ospedale vicino, mentre, nel frattempo, gli spettatori meno feroci tagliavano pezzi di ala come ricordo e souvenir di questo bizzarro momento storico.

Evander Holyfield

Il match, sospeso per 21 minuti, ha visto alla fine la vittoria ai punti di Holyfield su Bowe in quella che sarà l’unica sconfitta nella sua carriera in 45 incontri ufficiali. Dopo il suo rilascio dall’ospedale, Miller è stato portato al centro di detenzione di Clark County, dove è stato accusato di volo pericoloso e rilasciato su una cauzione di 200 dollari.
I media lo hanno soprannominato “Fan man” in riferimento al paramotore attaccato alla sua imbracatura. In un’intervista esclusiva con i giornalisti britannici dopo l’incontro, Miller ha ammesso che l’indicente è stato accidentale e non intenzionale, causato da problemi meccanici. Scherzando, ha poi detto:

E’ stata una lotta pesante e io sono stato l’unico a esser messo KO