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Fu clamoroso due anni fa, quando scrivemmo questo pezzo sulla lezione che ci diede quella finale del Super Bowl,  il messaggio di “non mollare mai”. Lo è altrettanto oggi, a due anni di distanza e due anni di “vecchiaia in più”. In tutti gli sport del mondo, c’è almeno un dibattito su chi sia o sia stato il più forte interprete di tutti i tempi. In tutti gli sport tranne che in uno, il football americano, dove il giocatore più forte è Tom Brady, che viaggia sui 42 anni e che nella notte del 3-4 febbraio ad Atlanta ha vinto il suo nono Super Bowl, trofeo che lo consegna ancor più, se possibile, alla leggenda.

Il quaterback che da 18 anni è nei New England Patriots ha trascinato la squadra al sesto titolo nella storia, eguagliando Pittsburgh in cima, il massimo di ogni epoca, dove solo in due, appunto, sono arrivati. I Pats conquistano il 53° Super Bowl piegando i “novelli” Los Angeles Rams 13-3. Trionfa la squadra favorita, certo, ma con un punteggio inatteso, il più basso nella storia della finale.

Brady trascina, Julian Edelman vince l’Mvp – il migliore della serata – con una prova da 10 prese e 141 yds. Tom Brady supera Haley: è il giocatore più vincente di sempre con una palla ovale ed eguaglia Michael Jordan per numero di trofei personali vinti. MJ e TB diventano così gli sportivi americani più vincenti di tutti i tempi. Un percorso che ha suscitato l’ammirazione degli Stati Uniti, a cominciare da LeBron James, il miglior giocatore di questa generazione Nba, che ha twittato un semplice ma efficace «GOAT», cioè greatest of all time.

 

Per vincere, ai Patriots è bastato un touchdown: Brady non ha usato gli effetti speciali ma ha controllato il ritmo di un match tutt’altro che spettacolare. E se i Patriots sono la squadra che ha vinto segnando meno punti (13) i Rams hanno eguagliato il record negativo nella finale del football, che reggeva dal 1972 quando Miami si fermò a quota 3. E quei Dolphins furono gli ultimi a non segnare un touchdown nel Super Bowl, prima di questa Los Angeles. La cui gioventù è stata rimandata all’esame rappresentato dai mostri sacri: il 24enne quarterback Jared Goff e il 33enne coach Sean McVay avranno altre occasioni ma questa non era la loro notte, come è stato chiaro da subito.

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Poco spettacolo in campo e anche poco durante l’attesissimo l’Halftime Show dove ha pesato la scelta di snobbare l’evento da parecchie star di primo livello come Rihanna e Jay-Z non intenzionate ad affiancare una Lega considerata poco sensibile alle tensioni razziali. E in merito, la Nfl ha cercato di “riparare” toccando l’argomento in parecchi eventi a contorno, e invitando Bernice King, figlia di Martin Luther King, al centro del campo per il lancio della monetina di inizio di gara.

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Su centinaia di migliaia di televisioni in America e in tutto il mondo, durante il terzo quarto è apparsa questa scritta: «Nelle partite di playoff Nfl  93 volte è successo che alla fine del terzo quarto una squadra avesse un vantaggio di 19 o più punti. In tutte le volte, la squadra in vantaggio ha vinto».
Lapidario da lasciar poche speranze a chi tifa New England Patriots: nella finale di Super Bowl 2017, infatti, prima dell’inizio dell’ultimo quarto gli Atlanta Falcons dominano 28 a 9. Sono andati in vantaggio anche 21-0 e per un istante, hanno segnato anche il 28-3.
Per Tom Brady, quarterback dei Patriots, idolo e star del football americano, 39 anni, veterano con sei finali alle spalle e quattro vittorie, sembrava ormai finita. A un passo dalla leggenda, i continui placcaggi, spintonate, passaggi intercettati e movimenti sbagliati, avevano affossato anche lui.

Ma il bello dello sport, anche drammatico per certi aspetti, è che si possono spulciare tutte le statistiche possibili, ma in campo ci vanno uomini veri, con forze e anime che non possono essere prevedibili, messi su un taccuino. Tra i dati possibili, infatti, ce n’era uno ancora da riscrivere: mai una finalissima del campionato Nfl è terminata ai supplementari. Mai, prima di questa 51esima edizione giocata a Houston.

Come si può pensare di vincere ancora una partita schiantata con 21, 25 e poi 19 punti di svantaggio? Com’è possibile trovare la concentrazione, la calma e la determinazione per trovare una soluzione vincente, per non perdere lucidità? Nella partita più importante della stagione, tra uno show di Lady Gaga e un giro d’affari pauroso, con gli occhi del mondo puntati addosso, preghiere e anatemi.
Ma i Patriots e Tom Brady l’hanno fatto. Nell’ultimo atto inizia la scalata: prima la trasformazione di un piazzato, poi un touchdown, poi un altro ancora quando mancano 57 secondi, infine la conversione da due punti. E’ 28-28, rimonta completata.
Tom è lì, ha ripreso in mano la squadra, i suoi lanci sono fendenti ora precisissimi, ora un po’ meno, ora decisivi. E’ la monetina a decidere il possesso palla più importante e letale, nei supplementari. La spuntano i Patriots con il morale decisamente più aizzato rispetto agli avversari.

L’epilogo è dietro l’angolo, è la “Sudden Death”, la morte improvvisa come lo spietato “Golden goal” nel calcio. Questa volta nessun lancio millimetrico, ma un’azione studiata e fulminea.
E’ sempre Tom a fare l’ultimo passaggio, una semplice consegna a White che è partito a testa bassa, ha forzato le linee ed è andato fino in fondo. Fermato quasi sulla linea. E’ touchdown, è 34-28.
E’ il quinto trofeo per Tom Brady che si innalza nell’Olimpo degli eterni della Nfl e dello sport. Con il numero 12 cucito sulle spalle, a 39 anni, con la saggezza di chi la sa lunga anche sotto di 25 punti.

Ma, come detto, dietro a queste statue ci sono uomini. E così si commuove dedicando la vittoria a sua madre, la signora Galynn, che lotta da 18 mesi contro il cancro ed è riuscita a venire allo stadio

Lei è il mio tutto, la amo così tanto. È stata dura ultimamente per lei e mio padre, vicino in ogni passo del suo cammino. I miei genitori sono un grande esempio per me. Tutte le famiglie attraversano momenti difficili, ma mia madre può contare su tanto sostegno e tanto amore. E sono davvero felice di aver potuto festeggiare questa vittoria con lei

Ancora una volta lo sport ha insegnato questo: never give up. Non mollare mai.