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Certo non poteva immaginarselo migliore l’esordio nel campionato di Football NFL più importante del pianeta. Ingresso in campo da titolare e 14 punti in saccoccia per l’italiano, Giorgio Tavecchio, kicker dei Oakland Raiders.

Sei anni d’attesa per il giocatore milanese che è in America già da qualche anno ma che non era mai riuscito a prendere parte a un match del campionato americano di NFL. In poche ore, il sogno si è concretizzato, complice l’infortunio del 39enne, Sebastian Janikowski.

Giorgio Tavecchio, 27 anni lo scorso luglio, ha esordito per Oakland alla prima giornata di stagione, nel successo dei Raiders 26-16 a Nashville contro i Titans Tennessee. Per lui oltre al fatto che nessun italiano prima di lui era riuscito nell’impresa di giocare una partita di football in Usa, è stato il primo anche a mettere a segno dei punti. Sono stati 14 per l’esattezza. Tra questi un 4/4 nel calci piazzati (due da 52 yards) e un ottimo 2/2, nei punti addizionali.

Il kicker numero 2 ha giocato con personalità e consapevolezza dei propri mezzi, lasciando da parte l’emozione personale per un traguardo raggiunto. In effetti quello di esordire in NFL non deve essere un traguardo per l’italiano, ma un nuovo inizio per una carriera che può essere fiorente.

Il coach di Oakland, Jack Del Rio, lo ha voluto omaggiare del pallone come miglior in campo. Tavecchio ha ringraziato tutto il team nello spogliatoio.

Giorgio Tavecchio è nato a Milano da padre italiano e mamma americana.  Cresciuto tra Italia e America, per via del lavoro della madre come impiegata del governo americano, Giorgio si sente per metà statunitense e per metà italiano. Da piccolo si è prima avvicinato al calcio (il soccer americano), sognando di essere come Pirlo o Totti. Giocava da centrocampista centrale e pare che abbia avuto anche un’ottima visione di gioco e un bel lancio. Forse proprio per questo motivo ha saputo poi confermarsi come kicker nel football. L’approccio con la palla ovale è aumentato negli atenei americani dove ha spiccato per bravura, tanto da segnare ben 256 punti nella California Berkeley University, una delle più prestigiose di tutta America.
Quello di giocare in NFL è stato un sogno che lui ha sempre voluto realizzare. Non è facile ritagliarsi un posto nel campionato americano di Football. Ci sono stati periodi in cui bisogna cercarsi un lavoro alternativo quando sei fuori dalla rosa dei 53. Oltre agli allenamenti il giovane Tavecchio ha fatto il tutor universitario, l’allenatore e l’impiegato per un’azienda di sport marketing.

Tuttavia dopo tanta pazienza, il giorno dell’esordio è arrivato e se l’è goduto appieno. Ora non resta che cresce e attendere, intanto la sua squadra quest’anno punta al Super Bowl.

Ad Oakland l’hanno già rinominato come l’Italian Stallion.

#Goat #ItalianStallion #Tavecchio #Raiders

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Dario Sette

 

E’ ipnotica, invitante e soprattutto divertente. L’effetto ottico, poi, in uno stadio gremito, leva il respiro per il suo andamento ritmico e sinuoso che coinvolge chi ti sta accanto. Una  marea umana che si incunea nelle tribune, passa per le curve e rientra prima di svanire. Diffusa, oggigiorno, nelle manifestazioni sportive internazionali (dalle amichevoli di calcio alle Olimpiadi, passando per i Mondiali), la “Ola” è  una coreografia entrata a far parte di una tradizione ormai acquisita del culto sportivo. Però, c’è da chiedersi: chi l’ha inventata?

In molti, nel corso degli anni, si sono scervellati alla ricerca di una fonte attendibile dell’atto primordiale della genesi. Mitologie, racconti, testimonianze, ovviamente si mescolano rendendo il tutto estremamente torbido. Eppure, qualche anno fa, il quotidiano inglese The Guardian aveva chiesto ai suoi lettori di approfondire la materia, proponendo alcune date e accogliendo nuovi riferimenti.
Alcune risposte sono state esilaranti: un lettore ha sostenuto di esser stato il primo a farla, da solo, nel suo soggiorno nel 1954, mentre un altro ha giurato di averlo visto fare nel 1945, da quattro persone in una partita di softball giovanile in Canada. Poi c’è stato lo storico che ha detto: «Sono stati i nativi americani nelle grandi pianure durante la caccia che, in fila, alzavano le braccia ondulandole per disorientare il bisonte e portarlo in una certa direzione, in una trappola o su una scogliera». Dicono di averla vista anche in una corrida in Spagna nel 1930.

Com’è intuibile i casi di “avvistamento” sono più numerosi di quelli sugli Ufo. E il nome, di certo, non aiuta: “Ola”, infatti, è la versione spagnola di “onda”; nei paesi anglofoni è chiamata “Mexican wave” perché è diventata popolarissima, diramata in tutto il globo, grazie alle riprese televisive del Mondiale del 1986 in Messico vinti dall’Argentina di Maradona.
Ma l’onda ha un origine ancor più anteriore. Di cinque anni. La Ola, infatti, è nata come “The Wave” a Oakland, in California, negli Stati Uniti, il 15 ottobre 1981. Durante il match di baseball tra Oakland A’s e New York Yankees, circa 48.000 spettatori ondeggiarono simultaneamente, capitanati da Krazy George Henderson, un cheerleader professionista che può, dunque, considerarsi il genitore della coreografia.

Krazy George, padre della “Ola”

Ovviamente, come tutte le cose belle, anche l’Ola è nata fortuitamente: Henderson, infatti, afferma che  è nata per un ritardo di sincronia durante una partita di hockey al Northlands Coliseum di Edmonton, in Canada. La sua idea originale era quella di far alzare e far applaudire gli spettatore di un lato dell’arena con successiva risposta di quelli seduti sul lato sopporto.
Ma quella sera una sezione adiacente, sempre sullo stesso lato, ritardava di qualche secondo a saltare in piedi, così, incantati dal movimento, anche gli altri hanno iniziato a rispondere in ritardo. La partita di baseball del 1981, giocata all’Oakland Alameda Coliseum, fu l’occasione perfetta, visto la grande affluenza di pubblico, per sperimentare ufficialmente l’Ola. Ci furono alcune false partenze, tre o quattro, ma alla fine la folla capì l’idea di Krazy Henderson.

Tra le varie curiosità esiste un sito internet, StoptheWave.net, che organizza campagne contro questa coreografia perché, secondo alcuni fan, distrae il pubblico che perde l’adrenalina per l’incontro o anche perché spesso è fatto al momento sbagliato.
In occasione delle Olimpiadi di Pechino del 2009, la Ola divenne oggetto di studio: circa 300 persone furono incaricate di studiare nei dettagli la tecnica per replicarlo durante la manifestazione e trasformare, così, lo sport in una grande festa.