Tag

nfl

Browsing

Forse non tutto è andato perduto per Colin Kaepernick, giocatore di football americano escluso dalla National Football League da tre anni dopo aver iniziato a protestare inginocchiandosi durante l’inno nazionale contro le discriminazioni e le violenze nei confronti degli afroamericani. L’ex quarterback dei San Francisco 49ers, infatti, è stato invitato dalla lega a una sessione privata di allenamento in programma sabato ad Atlanta dove ci saranno gli osservatori di tutte le 32 squadre del campionato.

 

L’iniziativa potrebbe favorire il ritorno alle attività dell’atleta che il 3 novembre ha compiuto 32 anni anche se le probabilità di rivederlo sono tuttora basse. L’esecuzione dell’inno statunitense è un momento solenne per il football americano: viene ripetuto prima di ogni incontro e vissuto con grande partecipazione sia dal pubblico che dalle squadre. Il 14 agosto del 2016 Kaepernick restò in panchina a bordo campo durante l’inno prima di una partita della preseason estiva.

Si iniziò a parlare di lui circa una settimana dopo, quando venne notato seduto in panchina in una delle ultime partite estive. Qualche ora dopo, nelle interviste in spogliatoio, parlò per la prima volta alla stampa, alla quale disse:

Non starò in piedi per dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono cadaveri per le strade, e persone che la fanno franca

Con l’intervista negli spogliatoi si aprì ufficialmente uno dei casi più discussi nella storia dello sport nordamericano. La protesta di Kaepernick – che iniziò a inginocchiarsi regolarmente nelle partite di campionato – venne subito sostenuta da tanti professionisti afroamericani, ma osteggiata dalle basi popolari del tifo e dalle proprietà delle squadre. Jeremy Lane dei Seattle Seahawks fu il primo avversario di Kaepernick a restare seduto durante l’inno nel primo fine settimana di campionato. Dopo di lui furono Megan Rapinoe, centravanti della nazionale femminile di calcio, e Marshawn Lynch, vincitore del Super Bowl con i Seahawks, a dichiarare il loro sostegno all’iniziativa.

Risultati immagini per nfl knee

Fu clamoroso due anni fa, quando scrivemmo questo pezzo sulla lezione che ci diede quella finale del Super Bowl,  il messaggio di “non mollare mai”. Lo è altrettanto oggi, a due anni di distanza e due anni di “vecchiaia in più”. In tutti gli sport del mondo, c’è almeno un dibattito su chi sia o sia stato il più forte interprete di tutti i tempi. In tutti gli sport tranne che in uno, il football americano, dove il giocatore più forte è Tom Brady, che viaggia sui 42 anni e che nella notte del 3-4 febbraio ad Atlanta ha vinto il suo nono Super Bowl, trofeo che lo consegna ancor più, se possibile, alla leggenda.

Il quaterback che da 18 anni è nei New England Patriots ha trascinato la squadra al sesto titolo nella storia, eguagliando Pittsburgh in cima, il massimo di ogni epoca, dove solo in due, appunto, sono arrivati. I Pats conquistano il 53° Super Bowl piegando i “novelli” Los Angeles Rams 13-3. Trionfa la squadra favorita, certo, ma con un punteggio inatteso, il più basso nella storia della finale.

Brady trascina, Julian Edelman vince l’Mvp – il migliore della serata – con una prova da 10 prese e 141 yds. Tom Brady supera Haley: è il giocatore più vincente di sempre con una palla ovale ed eguaglia Michael Jordan per numero di trofei personali vinti. MJ e TB diventano così gli sportivi americani più vincenti di tutti i tempi. Un percorso che ha suscitato l’ammirazione degli Stati Uniti, a cominciare da LeBron James, il miglior giocatore di questa generazione Nba, che ha twittato un semplice ma efficace «GOAT», cioè greatest of all time.

 

Per vincere, ai Patriots è bastato un touchdown: Brady non ha usato gli effetti speciali ma ha controllato il ritmo di un match tutt’altro che spettacolare. E se i Patriots sono la squadra che ha vinto segnando meno punti (13) i Rams hanno eguagliato il record negativo nella finale del football, che reggeva dal 1972 quando Miami si fermò a quota 3. E quei Dolphins furono gli ultimi a non segnare un touchdown nel Super Bowl, prima di questa Los Angeles. La cui gioventù è stata rimandata all’esame rappresentato dai mostri sacri: il 24enne quarterback Jared Goff e il 33enne coach Sean McVay avranno altre occasioni ma questa non era la loro notte, come è stato chiaro da subito.

Risultati immagini per jared goff

Poco spettacolo in campo e anche poco durante l’attesissimo l’Halftime Show dove ha pesato la scelta di snobbare l’evento da parecchie star di primo livello come Rihanna e Jay-Z non intenzionate ad affiancare una Lega considerata poco sensibile alle tensioni razziali. E in merito, la Nfl ha cercato di “riparare” toccando l’argomento in parecchi eventi a contorno, e invitando Bernice King, figlia di Martin Luther King, al centro del campo per il lancio della monetina di inizio di gara.

Risultati immagini per super bowl

Calato il sipario sull’evento più amato e seguito d’America, il Super Bowl.

Uno show atteso tutto l’anno e che puntualmente riesce ad offrire un intrattenimento mozzafiato, sia a livello sportivo che di spettacolo.

La prima vera novità della LII edizione dell’atto finale della stagione di NFL è stata il risultato. Una storica vittoria dopo due tentativi falliti (1980 e 2004) per i Philadelphia Eagles, i quali hanno battuto i favoritissimi campioni uscenti dei New England Patriots.

Primo Super Bowl per la squadra allenata da Doug Pederson, mancato aggancio ai Pittsburgh Steelers (a quota sei) invece per la squadra della star Tom Brady.

Rotto anche l’incantesimo intorno proprio al pluricampione Tom Brady, stavolta non è stato lui a vincere il Super Bowl MVP. Il titolo di migliore giocatore della grande finale è stato assegnato a Nick Foles.

Ma come già detto, il Super Bowl non è semplicemente la finale di Football americano, è uno degli eventi più seguiti dell’anno oltre al fatto a milioni di dollari che girono attorno a questo show.

Ben oltre i 100 milioni gli spettatori che sono stati incollati davanti ai televisori per gustarsi il match, qualcosina in meno rispetto ai 111 milioni dello scorso anno, anche se il record appartiene all’edizione del 2014, quando è stata toccata quota 114.

Il giro d’affari ruota attorno anche all’asta che si viene a creare per ritagliarsi un piccolo spazio pubblicitario durante il match. Nel 2011 la casa automobilistica Chrysler ha acquistato 120 secondi di pubblicità (con la partecipazione del rapper Eminem) per la cifra record di 12,4 milioni di dollari, staccando nettamente i diretti rivali in questa speciale classifica (Jaguar, Kia e Toyota appaiate a “soli” 8 milioni). Poco sotto Chrysler, l’azienda Pepsi con 12 milioni di dollari.

È l’evento in cui si spendono migliaia di dollari per comprare un biglietto hanno speso dai 950 a 5000 dollari, senza considerare poi coloro che hanno fatto l’investimento, per poi rivendere i tagliandi online, a prezzi che in media oscillano sui 6000 dollari. Da evidenziare “in media”, perché arrivati in prossimità dell’evento, c’è chi spende fino a 22mila dollari pur di acquistare in extremis un biglietto di qualità.

Quest’anno la finalissima si è giocata a Minneapolis con temperature esterne rigidissime. In effetti ci sono stati picchi anche di -17 gradi. Ovviamente all’interno dell’U.S. Bank Stadium la temperatura si è aggirata attorno ai 20 gradi, dato che la struttura è coperta. Tuttavia il record della partita più calda appartiene invece alle finalissime del 1973 a Los Angeles e del 2003 a San Diego. In entrambi i casi si sfiorarono i 28 gradi.

Ma se pensiamo al Super Bowl non possiamo fare riferimento all’Halftime Show. Quest’anno la star è stata Justin Timberlake. Il cantante è tornato a guidare lo spettacolo centrale del Super Bowl dopo il 2001 (con i NSYNC) e il 2004. Proprio quest’ultima è stata quella del famoso “Nipplegate”, il fuoriprogramma capitato alla cantante Janet Jackson che, sul palco di Houston, rimase con un seno di fuori, per lo scalpore di tutti gli americani.
Tornando a Minneapolis, Timberlake ha infiammato la folla su è giù per il palco e arrivando a cantare proprio in mezzo al pubblico, anche con la sua più celebre hit, “Cant’ stop the feeling”.

Ma Minneapolis è anche la città stata del grande Prince ed è per questo che il cantante Timberlake ha improvvisato un duetto emozionante con l’ex star americana sulle note di “I Would Die 4 You”. Il tutto è stato possibile grazie a un ologramma con il cantante scomparso nel 2016.

Tuttavia a deliziare ed emozionare il pubblico sono stati anche Sting e Pink. L’ex cantante dei Police si è esibito all’esterno dell’Arena, mentre la cantautrice americana Pink ha avuto l’onore di cantare l’inno nazionale americano prima del fischio d’inizio. Qualcosa che sognava dal 1991, quando l’ha sentito cantare dal suo idolo Whitney Houston.

L’esordio in NFL è arrivato in maniera casuale, al primo match è stato apprezzato e congratulato da tutti per la grande prestazione, ora la sua stagione è conclusa e spera in un nuovo contratto con gli Oakland Raiders.

Si tratta dell’Italians Giorgio Tavecchio, giocatore di football americano da diversi anni ma che è riuscito a mettersi in mostra negli ultimi mesi della stagione. Grande estimatore dell’italiano è stato il suo coach Jack Del Rio che, a fine stagione, ha lasciato i Raiders. Proprio Del Rio lo ha voluto fortemente come sostituto dell’infortunato, Sebastian Janikowski, un’icona della squadra americana.

Il debutto è stato da favola, un po’ meno il finale di stagione in cui gli Oakland sono usciti sconfitti contro i Dallas Cowboys e quindi hanno salutato anzitempo playoff e campionato . Un errore a inizio gara da parte di Tavecchio, col senno di poi, è costato caro per il punteggio finale nello scontro diretto. Tuttavia però la stagione dell’italiano è da definirsi più che positiva.

Nel corso della stagione, infatti, il placekicker milanese ha messo a segno, con una media di calciatura del 76,2% in FG, 16 field goal su 21 tentativi e 33 su 34 tentativi extra. Ha segnato complessivamente 81 punti e nei kick off ha mostrato grandissimi miglioramenti. Insomma, considerando che era alla sua prima stagione, un rookie quindi, e in un team che, rispetto allo scorso anno, ha stentato non poco fallendo i play off, credo che la stagione di Giorgio resti positiva. Ha dimostrato di poter stare nel grande giro americano.

Tuttavia deve comunque continuare a lavorare come ha sempre fatto. Nel post season dovrà migliorarsi ancora di più e posizionarsi in un range alto per gli standard della lega.

Non ci resta che sperare in una conferma o comunque in un team prestigioso per l’italiano cresciuto in America con una palla ovale.

 

L’ex presidente statunitense, Barak Obama, quando mancavano pochi giorni alla fine del 2017, in una serie di tweet ha racchiuso le più belle e speranzose storie dell’anno vissute in America. Tra queste ha voluto ringraziare e ricordare Chris Long, giocatore di football americano dei Philadelphia Eagles, con cui ha firmato un contratto biennale nello scorso marzo.

Long, 32 anni e di ruolo defensive end, ha sorpreso tutti per la sua scelta: ha donato tutto il suo stipendio del 2017 in beneficenza o progetti di sviluppo della comunità. Quando diede l’annuncio Long affermò:

Sto giocando l’intera stagione NFL senza incassare perché credo che l’istruzione sia la migliore via per un domani migliore per tutti in America

Il giocatore, che il 5 febbraio 2017 scese in campo titolare nel Super Bowl LI, con la maglia dei Patriots contro gli Atlanta Falcons e vincendo ai supplementari con il punteggio di 34-28, ha donato i suoi primi sei assegni  per finanziare borse di studio per gli studenti nella sua città natale di Charlottesville, in Virginia.

A ottobre, invece, ha annunciato che avrebbe utilizzato gli ultimi 10 “game checks” per lanciare il programma “Pledge 10 for Tomorrow”, una campagna per promuovere equità e opportunità per i giovani in difficoltà nelle tre città della NFL in cui ha giocato ovver Philadelphia, Boston e St. Louis.
Ecco le sue parole:

Ho sempre pensato che sarebbe stato bello giocare gratuitamente. L’ho fatto. Ho pensato che sarebbe stato un test personale per vedere se sono davvero il ragazzo che mi piacerebbe essere. Sono stato fortunato, ma questo non è uno sforzo eroico. E ho pensato di farlo adesso, ancora in attività, perché quando smetterò fra due o tre anni, non avrebbe avuto lo stesso effetto: molti fan ci stanno dando una mano con donazioni private

Oltre ai soldi che Long ha promesso, infatti, ha ricevuto quasi 180.000 dollari tra supporter, aziende e altri giocatori della NFL. Long, come molti atleti, durante la sua carriera ha sempre donato e sposato cause di diverso tipo, ma non l’ha mai reso pubblico.
La ragione per cui sta diffondendo questa campagna è proprio per allargare sempre più il suo messaggio: a ottobre, subito dopo un match, ha ricevuto una chiamata da Nicole Woodie, che gestisce la fondazione di beneficenza, istituita da Chris e sua moglie Megan, dicendo che aveva appena avuto una somma di 56.000 dollari da un gruppo a St. Louis.

Long ha firmato un accordo biennale da 4,5 milioni di dollari con gli Eagles a marzo, mentre il suo stipendio base dato in beneficenza è di 1 milione di dollari.
Qui, nel programma condotto da Ellen DeGeneres, racconta il suo intento. Sicuramente un gesto positivo per iniziare il 2018 con i migliori propositi:

Non è passato nemmeno un mese da quando è scoppiato il contrasto aperto tra il presidente americano Donald Trump e i membri di alcuni sport, a causa delle discordanze legate all’inno nazionale.

Tutto è nato quando per difendere delle minoranze etniche i giocatori del basket con l’Nba, del football con la Nfl e del baseball con la Mlb hanno deciso di inginocchiarsi durante l’inno. Uno dei primi a schierarsi era stato un ex giocatore, Colin Kaepernick, ed era appoggiato completamente anche da Roger Goodell, il commissario della Nfl.

Anzi, dalle sue stesse parole si leggeva una nota di rimprovero nei confronti del presidente d’America che tendeva a creare divisioni all’interno dello sport.

Infatti, durissima è stata la reazione del presidente contro queste manifestazioni sovversive che lui stesso ha giudicato irrispettose verso il paese. Le sue parole sono state molto chiare e decise e addirittura è arrivato ad invitare gli allenatori a licenziare i dissidenti.

Una polemica che ha assunto contorni sempre più sgradevoli con botta e risposta tra le autorità americane e alcuni team sportivi, coinvolgendo intere squadre, pronte ad inginocchiarsi ad ogni inizio partita.

Ad oggi cos’è cambiato? La Nfl ha ritrattato la sua posizione a favore dei giocatori che protestavano e ha iniziato ad appoggiare Trump.

Ecco le dichiarazioni di Goodell:

Come molti dei nostri fan, crediamo che tutti dovrebbero stare in piedi per l’inno nazionale. È un momento importante delle nostre partite – Vogliamo onorare la nostra bandiera e il nostro Paese, e i nostri tifosi se lo aspettano da noi

La notizia fa subito scalpore. Nessuno si aspettava questo cambio di rotta repentino, che, invece, è stato accolto da Trump con grande soddisfazione.

Probabilmente il commissario della Nfl ha deciso di sedare le polemiche che stavano diventando sempre più forti raggiungendo il culmine qualche giorno fa, quando il vicepresidente Mike Pence ha deciso di non rimanere nel campo di Indianapolis a causa del comportamento di molti giocatori che ancora una volta si sono messi in ginocchio mentre veniva suonato l’inno nazionale.

Sulla stessa scia, anche Jarry Jones, il proprietario del Dallas, ha minacciato la sua squadra di non fare giocare chi decideva di protestare in quel modo mancando di rispetto all’intera nazione di appartenenza. Comportamento alquanto strano visto che proprio qualche settimana fa era il primo ad inginocchiarsi in mezzo agli altri!

Sembra, quindi, che la questione stia finalmente trovando una soluzione che sicuramente non accontenta tutti ma fa felice il presidente Trump, che si è rasserenato e ha espresso i suoi elogi verso chi lo sta finalmente appoggiando in questo frangente:

Un grande plauso a Jerry Jones, proprietario dei Dallas Cowboys, che metterà in panchina chi non rispetta la nostra bandiera. In piedi all’inno o seduti in partita!

Anche stavolta Trump riesce ad assoggettare al suo volere anche chi, per amore dello sport o per paura di ritorsioni, si era messo contro di lui. Resta il fatto che nonostante sia in parte stato assecondato in questa questione dell’inno nazionale, in molti continuano a pensare che sia comunque giusto far sentire la propria voce contro le ingiustizie, in un modo o nell’altro. 

 

Ancora una volta il presidente americano Donald Trump è stato capace di mettersi nei guai con le sue stesse dichiarazioni. Stavolta, però, ad essere colpiti duramente sono gli sportivi, che hanno reagito subito con inni di protesta contro il presidente.
Gli sport chiamati in causa sono il basket con l’Nba, il football con la Nfl e il baseball con la Mlb, che hanno iniziato una lotta in cui non intendono affatto cedere, rischiando di far vacillare la posizione del politico che già di recente non gode più dei favori di tutti.

Tutto è iniziato il 22 settembre quando Trump, durante un comizio in Alabama, ha parlato dei giocatori neri di football che si inginocchiano per protesta durante l’inno nazionale prima delle partite, attaccandoli molto duramente. Ha detto che la protesta è una mancanza di rispetto per gli Stati Uniti e che sarebbe bellissimo vedere i proprietari delle squadre dire:

Portate quel figlio di puttana fuori dal campo, fuori, è licenziato

Già da un po’ di tempo, infatti, è in atto una forma di protesta a favore delle minoranze etniche che si esprime proprio nel momento in cui viene cantato l’inno nazionale. I giocatori si rifiutano di cantare e preferiscono rimanere in ginocchio per tutta la sua durata.
Le parole di Trump sono state molto forti: per lui è inaccettabile un comportamento simile e deve avere come conseguenza il licenziamento immediato del giocatore!

Com’era prevedibile la reazione è stata istantanea e forse ancora più grande di quanto il presidente stesso poteva immaginare. Gli sportivi sono tutti uniti nel mantenere attiva questa protesta che sta raggiungendo altissimi livelli e coinvolgendo atleti di punta, come Bruce Maxwell, della squadra degli Oakland Athletics, che è stato uno dei primi a mettersi in ginocchio mentre suonava l’inno americano.

 

Anche i giocatori di Nba non si tirano fuori da questa polemica, anzi possiedono un posto in prima fila dopo la revoca dell’invito di Trump alla casa Bianca, che doveva celebrare la vittoria del campionato dei Golden State Warriors. Pare che il presidente non abbia gradito le dichiarazioni dei giocatori in merito alla questione.
La manifestazione contro Donald Trump raggiunge il suo culmine quando nello stadio di Wembley, a Londra, i giocatori dei Jacksonville Jaguars e dei Baltimore Ravens hanno deciso di mettersi tutti in ginocchio, per sfidare il loro presidente.

Ma la protesta ha coinvolto proprio tutti: non solo gli atleti si sono inginocchiati, ma lo hanno fatto anche tutte le persone che fanno parte del loro team. L’idea di dare una lezione morale a Trump non è arrivata solo nello stadio londinese ma ha percorso un po’ tutti gli stadi che vedevano le loro squadre coinvolte in partite più o meno importanti.

Lo slogan che accomuna tutti è lo stesso:

…e ora licenziateci tutti!

Ma queste proteste non fanno che accrescere ora dopo ora le ire del Primo cittadino americano che non demorde, anzi ribadisce ancora una volta che questi giocatori sono irrispettosi e meritano di andarsene a casa.>
Il mondo dello sport è fortemente amareggiato per la situazione che si è venuta a creare, perché suo malgrado è stato coinvolto in una lotta di interessi politici che rischia di dividerlo. Al momento, però, si mostra molto unito contro un presidenzialismo rigido e discriminante che non intende accettare.

Certo non poteva immaginarselo migliore l’esordio nel campionato di Football NFL più importante del pianeta. Ingresso in campo da titolare e 14 punti in saccoccia per l’italiano, Giorgio Tavecchio, kicker dei Oakland Raiders.

Sei anni d’attesa per il giocatore milanese che è in America già da qualche anno ma che non era mai riuscito a prendere parte a un match del campionato americano di NFL. In poche ore, il sogno si è concretizzato, complice l’infortunio del 39enne, Sebastian Janikowski.

Giorgio Tavecchio, 27 anni lo scorso luglio, ha esordito per Oakland alla prima giornata di stagione, nel successo dei Raiders 26-16 a Nashville contro i Titans Tennessee. Per lui oltre al fatto che nessun italiano prima di lui era riuscito nell’impresa di giocare una partita di football in Usa, è stato il primo anche a mettere a segno dei punti. Sono stati 14 per l’esattezza. Tra questi un 4/4 nel calci piazzati (due da 52 yards) e un ottimo 2/2, nei punti addizionali.

Il kicker numero 2 ha giocato con personalità e consapevolezza dei propri mezzi, lasciando da parte l’emozione personale per un traguardo raggiunto. In effetti quello di esordire in NFL non deve essere un traguardo per l’italiano, ma un nuovo inizio per una carriera che può essere fiorente.

Il coach di Oakland, Jack Del Rio, lo ha voluto omaggiare del pallone come miglior in campo. Tavecchio ha ringraziato tutto il team nello spogliatoio.

Giorgio Tavecchio è nato a Milano da padre italiano e mamma americana.  Cresciuto tra Italia e America, per via del lavoro della madre come impiegata del governo americano, Giorgio si sente per metà statunitense e per metà italiano. Da piccolo si è prima avvicinato al calcio (il soccer americano), sognando di essere come Pirlo o Totti. Giocava da centrocampista centrale e pare che abbia avuto anche un’ottima visione di gioco e un bel lancio. Forse proprio per questo motivo ha saputo poi confermarsi come kicker nel football. L’approccio con la palla ovale è aumentato negli atenei americani dove ha spiccato per bravura, tanto da segnare ben 256 punti nella California Berkeley University, una delle più prestigiose di tutta America.
Quello di giocare in NFL è stato un sogno che lui ha sempre voluto realizzare. Non è facile ritagliarsi un posto nel campionato americano di Football. Ci sono stati periodi in cui bisogna cercarsi un lavoro alternativo quando sei fuori dalla rosa dei 53. Oltre agli allenamenti il giovane Tavecchio ha fatto il tutor universitario, l’allenatore e l’impiegato per un’azienda di sport marketing.

Tuttavia dopo tanta pazienza, il giorno dell’esordio è arrivato e se l’è goduto appieno. Ora non resta che cresce e attendere, intanto la sua squadra quest’anno punta al Super Bowl.

Ad Oakland l’hanno già rinominato come l’Italian Stallion.

#Goat #ItalianStallion #Tavecchio #Raiders

Un post condiviso da MPerez (@drocitymp) in data:

Dario Sette

 

Su centinaia di migliaia di televisioni in America e in tutto il mondo, durante il terzo quarto è apparsa questa scritta: «Nelle partite di playoff Nfl  93 volte è successo che alla fine del terzo quarto una squadra avesse un vantaggio di 19 o più punti. In tutte le volte, la squadra in vantaggio ha vinto».
Lapidario da lasciar poche speranze a chi tifa New England Patriots: nella finale di Super Bowl 2017, infatti, prima dell’inizio dell’ultimo quarto gli Atlanta Falcons dominano 28 a 9. Sono andati in vantaggio anche 21-0 e per un istante, hanno segnato anche il 28-3.
Per Tom Brady, quarterback dei Patriots, idolo e star del football americano, 39 anni, veterano con sei finali alle spalle e quattro vittorie, sembrava ormai finita. A un passo dalla leggenda, i continui placcaggi, spintonate, passaggi intercettati e movimenti sbagliati, avevano affossato anche lui.

Ma il bello dello sport, anche drammatico per certi aspetti, è che si possono spulciare tutte le statistiche possibili, ma in campo ci vanno uomini veri, con forze e anime che non possono essere prevedibili, messi su un taccuino. Tra i dati possibili, infatti, ce n’era uno ancora da riscrivere: mai una finalissima del campionato Nfl è terminata ai supplementari. Mai, prima di questa 51esima edizione giocata a Houston.

Come si può pensare di vincere ancora una partita schiantata con 21, 25 e poi 19 punti di svantaggio? Com’è possibile trovare la concentrazione, la calma e la determinazione per trovare una soluzione vincente, per non perdere lucidità? Nella partita più importante della stagione, tra uno show di Lady Gaga e un giro d’affari pauroso, con gli occhi del mondo puntati addosso, preghiere e anatemi.
Ma i Patriots e Tom Brady l’hanno fatto. Nell’ultimo atto inizia la scalata: prima la trasformazione di un piazzato, poi un touchdown, poi un altro ancora quando mancano 57 secondi, infine la conversione da due punti. E’ 28-28, rimonta completata.
Tom è lì, ha ripreso in mano la squadra, i suoi lanci sono fendenti ora precisissimi, ora un po’ meno, ora decisivi. E’ la monetina a decidere il possesso palla più importante e letale, nei supplementari. La spuntano i Patriots con il morale decisamente più aizzato rispetto agli avversari.

L’epilogo è dietro l’angolo, è la “Sudden Death”, la morte improvvisa come lo spietato “Golden goal” nel calcio. Questa volta nessun lancio millimetrico, ma un’azione studiata e fulminea.
E’ sempre Tom a fare l’ultimo passaggio, una semplice consegna a White che è partito a testa bassa, ha forzato le linee ed è andato fino in fondo. Fermato quasi sulla linea. E’ touchdown, è 34-28.
E’ il quinto trofeo per Tom Brady che si innalza nell’Olimpo degli eterni della Nfl e dello sport. Con il numero 12 cucito sulle spalle, a 39 anni, con la saggezza di chi la sa lunga anche sotto di 25 punti.

Ma, come detto, dietro a queste statue ci sono uomini. E così si commuove dedicando la vittoria a sua madre, la signora Galynn, che lotta da 18 mesi contro il cancro ed è riuscita a venire allo stadio

Lei è il mio tutto, la amo così tanto. È stata dura ultimamente per lei e mio padre, vicino in ogni passo del suo cammino. I miei genitori sono un grande esempio per me. Tutte le famiglie attraversano momenti difficili, ma mia madre può contare su tanto sostegno e tanto amore. E sono davvero felice di aver potuto festeggiare questa vittoria con lei

Ancora una volta lo sport ha insegnato questo: never give up. Non mollare mai.