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È di certo il sogno di molti, soprattutto dei patiti del basket, quello di poter  assistere dal vivo a una partita di NBA. I grandi campioni, i fantastici palazzetti, gli straordinari spettacoli e in più, da cornice, le grandi città americane come New York, Los Angeles, San Francisco, ecc.

Se il tuo sogno è quello di poter godere di uno spettacolo simile in una delle città più importanti al mondo, sei capitato nel posto giusto. In quest’articolo troverai tutte le info per acquistare i biglietti per una partita senza alcuna difficoltà e direttamente da casa tua.

NBA

L’NBA, per chi non lo sapesse, è il massimo campionato di pallacanestro in cui militano le migliori squadre americane e canadesi. Il sogno di qualsiasi giocatore di questo sport è poter arrivare a giocare in questa competizione, un po ‘come la Champions League per chi ama il calcio.

Il campionato è strutturato in quattro momenti:

  • Training camp e pre season;
  • Regular Season;
  • Playoffs;
  • Finals.

ed è diviso in due:

  • East conference: ovvero le squadre della costa Est, come i Boston Celtics, le due squadre di New York, i Nets e i Knicks, o i Chicago Bulls;
  • West conference: cioè le squadre della costa Ovest, ad esempio: i Los Angeles Lakers, i San Francisco Golden State o i San Antonio Spurs.

Per training camp e pre season s’intende il periodo di tempo, prima di una stagione ufficiale, in cui le squadre si dedicano alla formazione delle rose e alla preparazione atletica e tattica del campionato che dovranno affrontare. Dopo essersi allenate al meglio le squadre disputano 7 partite, amichevoli, durante la fase detta pre season e al loro termine inizierà il campionato vero e proprio.

La regular season inizia intorno all’ultima settimana di Ottobre e si conclude circa a metà Aprile. In questo periodo verranno giocate ben 82 partite, in cui le squadre si daranno battaglia per conquistare punti per la classifica finale.

Una settimana dopo la fine della regular season, durante la quale i giocatori possono riposarsi, si giocano i playoffs, uno degli avvenimenti più attesi e importanti del mondo basket e NBA. Durante questa fase le migliori 8 squadre, in base al loro posizionamento in classifica, di ogni conference si scontreranno in base a un preciso ordine al meglio delle 7 partite vinte.

Le vincitrici di ogni playoff, uno per conference, si scontreranno nelle finals e la vincitrice sarà decretata al meglio delle 7 partite vinte. Come per ogni fase anche alle finali saranno distribuiti premi individuali, come quello per il miglior giocatore.

Comprare i biglietti

Acquistare i biglietti per un incontro di NBA non è mai stato così facile, puoi farlo tranquillamente da casa tua con un semplice click. È molto più facile e conveniente rispetto a all’acquisto  in loco, e ora ti spieghiamo il perchè.

Come hai potuto leggere poco prima l’NBA vive diversi momenti durante l’anno, per cui  devi sapere a cosa vai incontro quando acquisti. Ad esempio le fasi finali costeranno di più rispetto alle amichevoli pre-season o alle partite di campionato.

Prima, acquistando  i biglietti presso le biglietterie fisiche, si correva il rischio di guardare una partita durante i periodi di riposo o, peggio ancora, di prenderli in prossimità della partita, dunque a prezzi triplicati.

Noi ti consigliamo HelloTickets, un sito affidabile  in cui potrai tranquillamente acquistare i biglietti appena vengono resi disponibili e senza il pericolo di pagare sovrapprezzi. Dunque clicca sul link se sei interessato a seguire dal vivo le squadre NBA new york e di ogni altra conference.

In primis lo spettacolo

Come puoi constatare tu stesso, dalla formazione della competizione dell’NBA, parte integrante di questo sport è lo spettacolo.

Un biglietto costa in media tra gli 80 e i 100 dollari,, bisogna però tenere a mente cosa si sta  andando a vedere e soprattutto dove. Le competizioni NBA si giocano in dei palasport attrezzatissimi, dove lo spettatore viene coccolato già prima che l’incontro inizi.

Oltre alla partita vengono proposti tantissimi momenti di intrattenimento, come piccoli spettacoli sul parquet, contest in cui potrai vincere gadget delle squadre, e tanto altro. Per non parlare di un altro aspetto culturale americano che, in questi casi, va provato,  cioè il cibo. Chiunque vorrebbe provare l’ebbrezza di vedere un incontro di NBA mangiando un Hot Dog gigante, come nei film con cui siamo cresciuti

Non ti resta che aspettare

Al momento ci troviamo in preseason dunque dovremo ancora aspettare per vedere i giganti dell’NBA, ma grazie ad Hello Ticket potrai prenotare con largo anticipo la tua vacanza americana all’insegna del basket di massimo livello.

Se pensi a Michael Jordan, istintivamente, di seguito, ti verranno in mente il logo dei Chicago Bulls, lo spettacolo dell’Nba, i sei anelli vinti con due Three-peat (91-92-93 e 96-97-98), il film Space Jam con i Looney Tunes e il numero 23. Talmente cucito addosso che è diventato icona da venerare e rispettare negli anni da appassionati e sportivi. Massimo Ambrosini, ex-centrocampista del Milan, per esempio, ha scelto il 23 come numero di maglia proprio in onore di MJ. I Miami Heat, squadra in cui Jordan non giocò mai, la ritirarono nel 2003.
La storia del prestigioso numero, fatto di adii, ritiri e ritorni lega sua maestà Jordan in un rapporto simbiotico ed eterno, ma in realtà, “l’incontro” fu abbastanza fortuito e forzato.

Durante il periodo all’High school, Jordan dovette decidere il numero da indossare: lui voleva il 45, ma all’epoca era lo stesso numero che vestiva suo fratello Larry. Air Jordan decise quindi di dimezzare il numero 45 arrotondandolo, poi, per eccesso: ecco come nasce il 23.
In realtà il rapporto con il 45 avrà più di un seguito: è con questo numero che, nel 1994, dopo il momentaneo ritiro dal basket, affrontò la sua modestissima avventura nel baseball, in Minor League, con i Birmingham Barons; ed è con lo stesso 45 che, nel 1995, annunciò il suo ritorno in Nba.

È il 18 marzo 1995 quando, alle 11:40, venne diramato un breve comunicato: «Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Esordirà domenica a Indianapolis contro gli Indiana Pacers».
Il giorno dopo, durante una conferenza stampa, che Michael Jordan disse una semplice frase destinata a rimanere nella storia: «I’m back» (Sono tornato).
Essendo, però, la mitica 23 ormai ritirata e appesa al soffitto del nuovo United Center in segno di devozione e rispetto, Michael scelse di usare il 45.

Fu accolto da tutti come un eroe, ma qualcosa in lui non funzionava: giocò 17 partite, le peggiori in regular, per media punti e tiro dal campo, dal 1986 al 1998.
Episodio chiave il 7 maggio 1995, gara-1 della semifinale della Eastern Conference tra Orlando e Chicago, partita 17esima per Jordan. I Magic vinsero con un canestro, a sei secondi dalla fine, firmato Horace Grant su clamoroso recupero su Michael Jordan.

MJ non ci pensò su due volte: niente da fare, si cambia numero. Tre giorni dopo, in gara-2, la stella dei Chicago si ripresentò in campo col 23, all’insaputa di tutti, compagni inclusi. L’Nba non gradì e multò i Bulls di 25mila dollari per non aver comunicato il cambio di numero. Ma a Chicago questo non importava: Jordan fu di nuovo Jordan, con uno show da 38 punti che regalò ai Bulls l’1-1 nella serie.

Qualche giorno dopo, Jordan disse:

Penso sia stato un problema di fiducia. Il 23 è quello che sono e me lo terrò fino a quando non smetterò di giocare a basket. Quindi perché cercare di essere qualcun altro?

Non sembrò possibile che stesse succedendo davvero, e a rivederlo oggi il video dell’ultima partita di Kobe Bryant su un campo di NBA sembra ancora più incredibile. Segnò 60 punti, e negli ultimi tre minuti guidò i Lakers a una rimonta pazzesca contro gli Utah Jazz, era il 13 aprile del 2016. Il numero 24 della squadra di Los Angeles in realtà aveva fatto anche meglio in passato come gli 81 punti messi a segno il 22 gennaio 2006 contro i Toronto Raptors. Bryant, che con quell’exploit firmò il secondo record di sempre dietro soltanto ai 100 punti di Wilt Chamberlain con i suoi Philadelphia Warriors contro i New York Kniks.

Alla sua ultima partita c’erano tutti, compreso O’Neal accanto alla panchina, e nei momenti più spettacolari del finale le telecamere si soffermarono più volte su Gianna, seduta in prima fila. Bryant ha chiuso la sua carriera con 33.643 punti realizzati in 1.346 partite, quarto miglior realizzatore in assoluto di tutti i tempi, scavalcato da LeBron James con i 29 punti realizzati contro Philadelphia proprio nella notte tra il 25 e 26 gennaio, giorno della morte dello stesso Kobe che su Twitter si era complimentato con il collega-amico.

 

Nell’inverno del 1891, il dottor Luther Halsey Gulick, responsabile del corso di educazione fisica all’International YMCA Training School, un college privato cristiano di Springfield, in Massachusetts, Stati Uniti d’America, era alla ricerca di un’attività che potesse distrarre e divertire i suoi studenti durante le lezioni di ginnastica che, a causa del freddo, si tenevano al coperto durante le giornate rigide.

Gulick si rivolse a James Naismith, un professore di educazione fisica canadese di 30 anni appassionato di football, atletica leggera, lacrosse e curioso di scoprire e apprendere nuove discipline. A lui fu chiesto di pensare a qualcosa da disputare indoor, facile e intuitiva da apprendere, con pochi contatti e soprattutto non dispendioso economicamente per non gravare sulle casse del college.

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In Ontario, la provincia più popolosa del Canada e da dove veniva Naismith,  i bambini giocavano a “Duck-on-a-rock” che consisteva nel posizione una pietra piuttosto grande su un’altra pietra o un ceppo d’albero e a turno i partecipanti lanciavano sassi contro l’oggetto, nel tentativo di farlo cadere dalla piattaforma. Di questo gioco, Naismith era attratto soprattutto dal tiro a parabola che si doveva dare al sasso; pensò inoltre ad alcuni giochi antichi, come l’azteco Tlachtli e il maya Pok-Ta-Pok e analizzò poi gli sport di squadra più in voga all’epoca come i già citati football americano, lacrosse, ma anche calcio e rugby.

Dopo circa due settimane di lavoro, Naismith scrisse cinque principi fondamentali in cui si prevedeva l’utilizzo di un pallone rotondo da toccare solo con le mani, era vietato muoversi tenendo il pallone saldo nelle mani, libertà di posizionamento dei giocatori e l’utilizzo di un “goal” da piazzare orizzontalmente in alto.

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Insomma, Naismith aveva di fatto gettato le basi di un nuovo sport: il 21 dicembre 1891 tradusse questi principi in tredici regole che divennero la base di ciò che il giornale studentesco universitario Triangle definì: «A new game». Lo stesso giornale pubblicò le regole il 15 gennaio 1892: nacque così ufficialmente il nuovo gioco, il basketball.

  1. La palla può essere lanciata in qualsiasi direzione con una o entrambe le mani.
  2. La palla può essere colpita in qualsiasi direzione con una o entrambe le mani, ma mai con un pugno.
  3. Un giocatore non può correre con il pallone, deve lanciarlo dal punto in cui lo ha preso.
  4. La palla deve essere tenuta in una mano o tra le mani; le braccia o il corpo non possono essere usate per tenerla.
  5. Non è possibile colpire con le spalle, trattenere, spingere, colpire o scalciare in qualsiasi modo un avversario; la prima infrazione da parte di qualsiasi giocatore di questa regola è contata come un fallo, la seconda squalifica il giocatore fino alla realizzazione del punto seguente o, se è stata commessa con il chiaro intento di infortunare l’avversario, per l’intera partita; non sono ammesse sostituzioni.
  6. Un fallo consiste nel colpire la palla con il pugno, nella violazione delle regole tre e quattro e nel caso descritto dalla regola 5.
  7. Se una squadra commette tre falli consecutivi, conterà come un punto per gli avversari; consecutivi significa senza che gli avversari ne commettano uno tra di essi.
  8. Un punto viene realizzato quando la palla è tirata o colpita dal campo nel canestro e rimane dentro, a meno che i difensori non tocchino o disturbino la palla; se la palla resta sul bordo e l’avversario muove il canestro, conta come un punto.
  9. Quando la palla va fuori dalle linee del campo, deve essere rimessa in gioco dalla persona che per prima l’ha toccata; nei casi dubbi, l’umpiredeve tirarla dentro il campo; chi rimette in campo la palla ha cinque secondi: se la tiene più a lungo, la palla viene consegnata agli avversari; se una squadra continua a perdere tempo, l’arbitro darà loro un fallo
  10. L’umpireè il giudice dei giocatori e prende nota dei falli, comunicando all’arbitro quando ne sono commessi tre consecutivi; ha il potere di squalificare un giocatore secondo la regola 5.
  11. L’arbitro è il giudice della palla e decide quando la palla è in gioco, all’interno del campo o fuori, a chi appartiene e tiene il tempo; decide quando un punto è segnato e tiene il conto dei punti con tutte le altre responsabilità solitamente appartenenti ad un arbitro.
  12. La durata della gara è di due tempi da quindici minuti, con cinque minuti di riposo tra di essi.
  13. La squadra che segna il maggior numero di punti nel tempo utile è dichiarata la vincitrice dell’incontro. Nel caso di pareggio, il gioco può continuare, se i capitani sono d’accordo, fin quando non viene segnato un altro punto.

All’iniziò vennero utilizzati dei cesti da frutta, posizionati a circa tre metri di altezza per impedire che fossero difesi fisicamente dai giocatori. Lo scopo del gioco era far entrare la palla nel cesto, e per farlo l’unico metodo era fare dei tiri a palombella, dolci e precisi. L’altezza dipese anche da motivi più concreti: erano appesi a una balconata, che era posizionata a quella distanza dal pavimento. All’inizio, i cesti non erano bucati, e ogni volta che qualcuno faceva un canestro bisognava tirare fuori la palla con un bastone di legno. 

Naismith organizzò la prima partita ufficiale l’11 marzo 1892 – secondo alcuni si giocò il 2 marzo: fu un incontro disputato tra una squadra di docenti ed una di studenti e vinsero i primi con il risultato di 5-1. Nel 1959 divenne uno dei primi membri del Basketball Hall of Fame, in qualità di contributore e lo stesso Hall of Fame fu ufficialmente denominato Naismith Memorial Basketball Hall of Fame in sua memoria.

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Vince Carter, ala 42enne degli Atlanta Hawks, è diventato nella notte del 5 gennaio il primo giocatore di basket Nba a giocare nella lega in quattro decenni diversi. Con la sua presenza nella partita contro gli Indiana Pacers, infatti, ha giocato in una partita ufficiale nel secondo decennio del XXI secolo dopo che aveva esordito con i Toronto Raptors nel 1999. Da allora ha giocato 22 stagioni, più di qualsiasi altro giocatore nella storia e in carriera ha cambiato molte squadre: le sue cose migliori le ha fatte con i Raptors e con i New Jersey Nets, ma dopo ha giocato con gli Orlando Magic, i Phoenix Suns, i Dallas Mavericks, i Memphis Grizzlies, i Sacramento Kings e gli Hawks.

 

In tutto questo tempo in Nba, Carter non ha mai vinto un titolo, arrivando al massimo alle finali di Conference, nel 2009 con i Magic. È comunque stato uno dei giocatori più forti degli ultimi vent’anni, dotato di un grande atletismo, capace di schiacciate spettacolari e abile anche nel tiro dalla distanza: da cui il suo soprannome Vinsanity.

 

Carter è uno degli unici cinque giocatori ancora in attività nei quattro principali campionati sportivi americani – basket, football, baseball e hockey – ad aver esordito negli anni Novanta: gli altri sono Adam Vinatieri della Nfl e Patrick Marleau, Joe Thornton e Zdeno Chara nella Nhl.

 

Oltre l’intrattenimento e lo spettacolo. Gli Harlem Globetrotters rappresentano quasi un secolo di abbattimento di barriere, impegno per la diffusione del basket e l’integrazione nello sport. Letteralmente “i giramondo di Harlem”, quartiere tradizionalmente afro-americano di Manhattan, New York, sono una squadra esibizionistica di pallacanestro divenuta iconica espressione di stile e divertimento con le inconfondibili divise blu e a stelle e strisce bianche e rosse.

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Abraham Saperstein, abile e intraprendente impresario, oltreché coach, è stato il fondatore nel 1926 dei Savoy Big Five, squadra da cui poi sono nati gli Harlem Globetrotters che hanno disputato il loro primo incontro su strada a Hinckley, nel’Illinois, il 7 gennaio 1927. Da allora, i Globetrotters hanno intrattenuto più di 148 milioni di fan in 123 Paesi in tutto il mondo, introducendo molti neofiti alla scoperta del basket. Il team è stato tra i pionieri nel diffondere la schiacciata e nel 2010, hanno anche introdotto il primo tiro in assoluto da 4 punti, a 30 piedi di distanza dal canestro, quasi 7 piedi oltre l’arco dei tre punti riconosciuto nelle regole internazionali.

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Nel 1940, i Globetrotters vinsero il loro primo World Professional Basketball Tournament sconfiggendo i Chicago Bruins. Nel 1948 e nel 1949, il team di Harlem sbalordì il mondo sconfiggendo per due volte i campioni dell’Nba, i Minneapolis Lakers, dimostrando ben presto che gli afroamericani potevano eccellere a livello professionale. Le vittorie sui Lakers accelerarono, infatti, l’integrazione nel campionato professionistico americano, quando il globetrotter Nathaniel “Sweetwater” Clifton divenne il primo giocatore afroamericano a firmare un contratto Nba unendosi ai New York Knicks nel 1950.

Gli anni Cinquanta segnarono anche l’inizio dei celebri tour mondiali: nel 1951, davanti a 75 mila persone – il più alto numero mai registrato – si esibirono all’Olympiastadion di Berlino, mentre chiusero il loro primo decennio nel 1959 con il loro primo viaggio in Unione Sovietica, a Mosca davanti a un pubblico gremito al Lenin Central Stadium, in cui tra gli spettatori c’era anche il presidente Nikita Khrushchev. Da qui il loro riconoscimento come “Ambassadors of Goodwill” per la loro capacità di fare del bene alle comunità in tutto il mondo. Il leggendario Wilt Chamberlain, che detiene numerosi record statistici dell’Nba, tra cui il maggior numero di punti (100) e rimbalzi (55) in una singola partita, faceva parte di quello storico tour in Unione Sovietica e il 9 marzo 2000 il suo numero 13 fu ritirato dagli Harlem Globetrotters.

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I Globetrotters hanno continuato a godere di un’enorme popolarità negli anni ’70 e ’80 anche grazie a un cartone animato a loro dedicato sul canale CBS che ha ottenuto alcuni dei voti più alti nella storia della televisione. Nel 1985, la medaglia d’oro olimpica Lynette Woodard si unì al team, diventando la prima donna a giocare in una squadra di basket professionistica maschile e contribuendo a creare un percorso verso il Wnba.

Nel 1993, l’ex giocatore Mannie Jackson ha acquistato la squadra diventando il primo afro-americano a possedere una grande organizzazione sportiva internazionale: ha triplicato le entrate in tre anni e quadruplicato la sua espansione in cinque, dando spazio anche alla beneficenza per un totale di 11 milioni di dollari. Nel 2002 la squadra ha consolidato la propria posizione tra le più influenti nel basket, ricevendo il massimo onore: far parte della Naismith Basketball Hall of Fame. Ancora oggi i giocatori detengono 21 record mondiali e i Globetrotters continuano a offrire il loro intrattenimento a milioni di fan in tutto il mondo con oltre 400 eventi dal vivo ogni anno. In tutto, quasi 750 tra uomini e donne hanno vestito la casacca così celebre e rappresentativa.

Negli ultimi 10 anni Tom Brady, con i New England Patriors, ha vinto tre Super Bowl in un campionato che rende quasi impossibile rimanere un contendente al titolo per più di qualche anno. Usain Bolt e Michael Phelps hanno vinto rispettivamente sei e nove medaglie d’oro olimpiche. Messi è stato sei volte campione della Liga, due volte vincitore della Champions League e cinque volte vincitore del Pallone d’Oro.

Nessuno dei quattro, tuttavia, ha avuto un impatto sul loro sport come LeBron James. Almeno secondo giudizio dall’agenzia di stampa internazionale Associated Press che l’ha incoronato come atleta maschile del decennio. Accanto a lui, come atleta femminile degli anni Dieci, c’è Serena Williams che ha vinto 22 Slam dal 2000 a oggi e soprattutto è stata per moltissime stagioni la numero uno incontrastata. Una supremazia eccezionale quella della tennista americana, che in questa speciale classifica ha battuto grandissime campionesse come la nuotatrice Katie Ledecky e le sciatrici Lindsay Vonn e Mikaela Shiffrin.

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LeBron James, che il 30 dicembre 2019 ha compiuto 35 anni e che nella vittoria dei Los Angeles Lakers sui Dallas Mavericks, è diventato il nono giocatore di sempre a raggiungere quota 9.000 assist in NBA, ha aperto il decennio firmando con i Miami Heat. La mossa non solo ha aiutato a inaugurare un’era di superteam, ma ha anche accelerato la frequenza dei movimenti offseason per le top star dell’NBA.

 

A partire dal 2010, LeBron ha raggiunto le finali NBA per otto volte consecutivamente, vincendo tre titoli (e altrettanti MVP delle finali). Il suo più grande successo è probabilmente il titolo 2016, quando ha portato ai Cleveland Cavaliers il loro primo anello, battendo i Golden State Warriors, autori della miglior regular season di sempre con 73 vittorie, sotto 3-1 nella serie (nessuno prima di Cleveland aveva mai rimontato un 3-1 nelle finali NBA).

Alzi la mano chi tra i milioni di appassionati di pallacanestro di tutto il mondo non ha mai sognato di vedere sul campo, nella stessa squadra, campioni di epoche diverse giocare insieme. Gli interrogativi quando si fa questa specie di gioco, tuttavia, restano sempre gli stessi: chi è stato il centro più dominante della storia del basket? Chi il playmaker più veloce? Quale è stata la guardia tiratrice che ha segnato di più? Come avrebbero giocato insieme Michael Jordan e Kobe Bryant? Quale sarebbe stato il miglior quintetto iniziale della storia della pallacanestro?

Ebbene, noi ci limiteremo a dare risposta a quest’ultimo quesito. Ma scegliere i nomi di un ipotetico quintetto iniziale che rappresenti (o abbia rappresentato) la perfezione nel gioco del basket, non è impresa facile. Certamente, non ci limiteremo a selezionare i giocatori da inserire nella nostra squadra dei sogni, valutandoli esclusivamente dal punto di vista dei premi e dei campionati vinti.

E allora partiamo dallo spot di playmaker (o point guard). Qui la scelta è d’obbligo e cade sul Magic Johnson dei Lakers dello Showtime degli anni ottanta. Magic viaggiava all’epoca ad una media di 20 punti, 12 assist e 8 rimbalzi a partita, cifre mai raggiunte da nessun altro play. Johnson era uno spavaldo, dentro e fuori dal campo. La sua carriera è diventata lo spartiacque tra un certo tipo di basket e uno più moderno. Magic ha fatto innamorare milioni e milioni di sportivi con i suoi no-look pass, pur non essendo il prototipo del classico playmaker. Il suo, infatti, era più un fisico da ala; tuttavia Magic aveva un quoziente intellettivo pari a nessun altro giocatore dell’epoca ed uno dei suoi attributi principali era la visione del gioco. Oggi, con le dovute eccezioni, si potrebbe accostare a Magic lo sloveno Luka Dončić, stella assoluta (a 21 anni) della NBA e già nominato miglior giocatore europeo nel 2019 dalla Gazzetta dello Sport.

Passiamo alla posizione di guardia (o guardia tiratrice) dove, a ragion veduta, si potrebbe aprire una intera enciclopedia visti i nomi che nelle diverse epoche hanno reso indimenticabile uno dei ruoli più ambiti in ogni singola squadra. Sono tanti i giocatori che meriterebbero di essere menzionati in questo ruolo, da George Gervin a Ray Allen, da Reggie Miller fino all’indimenticato Kobe Bryant, il campione dei Los Angeles Lakers, tragicamente deceduto nel gennaio 2020 per un incidente in elicottero sulle colline della metropoli californiana.

Nonostante questa agguerrita concorrenza, 10 esperti su 10 concorderebbero sul fatto di assegnare a Michael Jordan la palma di guardia più forte di ogni tempo. Jordan è stato (e probabilmente sarà) il più grande della storia di questo sport. Il numero 23 e 45 dei Chicago Bulls ha rivoluzionato il basket non solo a livello tecnico, portando questa disciplina sportiva nelle case di tutto il mondo. In campo, Air era un semi-dio capace di restare in sospensione per un tempo maggiore rispetto agli avversari. Lontano dal parquet, ha preso in mano un modesto marchio di scarpe da ginnastica, la Nike, trasformandolo in una icona dell’abbigliamento sportivo.

Jordan ha concluso la sua carriera con una media di 30,1 punti, 2,3 palle recuperate, 5,3 assist e 6,2 rimbalzi. Nota a parte: ha vinto 6 volte il titolo NBA, 5 volte è stato premiato con la palma di MVP e 6 volte è stato nominato MVP delle Finals.

Nello spot di ala piccola troviamo l’unico giocatore del nostro quintetto dei sogni ancora in attività. Stiamo parlando di LeBron James, quattro volte campione NBA, fresco vincitore dell’ultimo campionato con la casacca dei Los Angeles Lakers, tra i migliori marcatori del campionato nordamericano. Il Re (questo uno dei suoi nickname) è sbarcato nel 2018 nella città degli angeli, con l’obiettivo di riportare la gloriosa franchigia gialloviola di nuovo al vertice della lega. Obiettivo centrato in due sole stagioni; tuttavia, i Lakers, con James in squadra, restano anche per la prossima stagione la squadra da battere, così come riferiscono le quote dei maggiori operatori sportivi come Betway.

Non resta che scegliere le due torri del nostro quintetto dei sogni. Nello spot di ala forte non possiamo non selezionare Tim Duncan, quasi 1400 partite giocate in NBA esclusivamente con la maglia dei San Antonio Spurs (che hanno ritirato la sua maglia numero 21), franchigia con cui ha vinto 5 titoli NBA. Nel corso della sua carriera ha segnato quasi 21 punti di media e preso 10 rimbalzi a partita. Ma nei playoff queste cifre arrivavano a quasi 38 punti e 12 rimbalzi per allacciata di scarpe. Un mostro del pitturato, nominato miglior giocatore del decennio 2000-2010, Duncan è stato uno dei migliori nel suo ruolo.

Chiudiamo parlando del ruolo di centro. Anche qui, potremmo nominare i vari Bill Russell, Dwight Howard e Patrick Ewing, ma quando si parla di pivot il pensiero non può non andare a Shaquille O’Neal, il giocatore più dominante che abbia mai calcato i parquet della NBA. Agile e scattante come il più smilzo dei play, nonostante una stazza fisica da 150 chilogrammi di peso per 216 centimetri di altezza. Ogni schiacciata di Shaq è stata uno spettacolo per tutti. Ha vinto 4 campionati, 3 con i Los Angeles Lakers ed uno con i Miami Heat.

Nella notte tra martedì 22 e mercoledì 23 ottobre, il cestista italiano Nicolò Melli ha esordito in NBA a 28 anni con i New Orleans Pelicans, la promettente squadra della Louisiana che in estate lo ha ingaggiato dai turchi del Fenerbahce. Nella partita che aperto la nuova stagione del campionato, giocata in Canada contro i campioni in carica dei Toronto Raptors, Melli ha realizzato quattro triple su cinque tentate, 14 punti complessivi, 5 rimbalzi e 2 assist in 20 minuti di gioco, mostrandosi a suo agio in campo e già ben inserito nella squadra come sostituito di Zion Williamson, prima scelta dell’ultimo draft ma attualmente infortunato. Sarebbe potuta andare ancora meglio se poi i Pelicans non avessero perso 130-122.

 

Da quest’anno Melli è il terzo italiano in NBA dopo Marco Bellinelli nei San Antonio Spurs, e Danilo Gallinari con gli Oklahoma City Thunder, ma il suo debutto è stato il migliore di sempre per un italiano: andando a ritroso, di Gigi Datome si ricordano solo i 19 secondi nella sfida tra i suoi Detroit Pistons e Washington. Danilo Gallinari, nel 2008 in maglia New York a soli 20 anni, si è dovuto accontentare di 4 minuti con 0 su 2 al tiro contro Miami. Marco Belinelli, un anno prima e con la casacca di Golden State, ha collezionato 12 minuti, 6 punti con 2 su 3 dalla lunga distanza contro Utah.

Nel 2006, la prima scelta assoluta, Andrea Bargnani, si è dovuto accontentare di 8 minuti nella sconfitta di Toronto nel New Jersey: 2 punti, altrettanti rimbalzi e stoppate. Andando molto più indietro nel tempo, nel 1995, Stefano Rusconi giocò con i Phoenix Suns, ma non realizza neppure un canestro alla prima, mentre Vincenzo Esposito, in campo con Toronto, andò a segno solo dalla lunetta.

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Enes Kanter non abbassa la testa e non indietreggia. Il cestista dei Boston Celtics, nato 27 anni fa da genitori turchi, è lo sportivo che più si sta battendo per contrastare il presidente Recep Tayyip Erdogan, una voce fuori dal coro e scomoda soprattutto se relazionata al saluto militare, attestato di stima di molti calciatori della Nazionale della Turchia . Rischiando in prima persona.

Kanter, in occasione del match della pre-season contro Cleveland ha indossato un paio di scarpe con scritto “Freedom”. Poi, su Twitter, ha citato Martin Luther King: «La nostra vita comincia a finire il giorno in cui restiamo in silenzio sulle cose che contano». Di fronte ai fatti degli ultimi giorni, dall’escalation di violenza da parte dei militari turchi contro la popolazione curda, Kanter ha espresso le sue posizioni anche con un tweet.

Non vedo e non parlo con i miei genitori da 5 anni. Hanno imprigionato mio padre. I miei fratelli non riescono a trovare lavoro. Il mio passaporto è revocato. E’ stato emesso un mandato di arresto internazionale. La mia famiglia non può lasciare il Paese. Ogni giorno ricevo minacce di morte. Sono attaccato, molestato. Hanno cercato di rapirmi in Indonesia. LA LIBERTA’ NON E’ GRATUITA

 

L’8 agosto 2016 la polizia ha fatto irruzione nella casa della sua famiglia a Istanbul, perquisendola e requisendo tutti gli apparecchi elettronici, dai cellulari ai computer. Kanter non ha più il numero di telefono di nessun familiare. Il fratello Kerem, dopo avere vinto l’Europeo Under 18 nel 2013, è stato bandito dalle nazionali turche, adesso vive e gioca a Badalona. Il padre è stato portato in carcere per 5 giorni, i loro passaporti sono stati annullati e non possono mai più lasciare la Turchia. Dopo qualche mese la sua famiglia ha disconosciuto Enes come figlio.

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Nell’estate del 2017, mentre era in Indonesia, Paese legato alla Turchia, per sostenere le sue attività benefiche in un campus di basket, lo hanno avvertito che le autorità locali lo stavano cercando per catturarlo: è scappato in taxi all’aeroporto, prendendo il primo volo per l’Europa. Arrivato a Bucarest, in Romania, ha scoperto che la Turchia gli ha “cancellato” il passaporto e ha emesso un mandato di cattura. Solo grazie all’intervento dei senatori dell’Oklahoma riesce a rientrare negli Usa. Da questo momento è un apolide: non ha più alcuna cittadinanza.

In Turchia non vengono trasmesse le sue partite Nba da 3 anni e qualche giorno fa a Boston, conclusa la preghiera del venerdì insieme al compagno di squadra Tako Fall, è stato aggredito e minacciato da degli uomini di fede islamica, al grido di “traditore”.