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Fonte: La Stampa

Era il 28 gennaio 1966 e nei cieli della Germania si stava compiendo una delle più angoscianti tragedie nella storia dell’aviazione civile e anche nella storia dello sport. Un Convair della Lufthansa con 46 persone a bordo precipitò durante la fese di atterraggio. Un lampo poi lo schianto, a bordo, fra gli altri passeggeri e gli uomini dell’equipaggio, c’erano sette giovani nuotatori azzurri, quattro uomini e tre donne che in verità erano poco più che ragazzi. Avrebbero dovuto partecipare nella città tedesca di Brema a uno dei più prestigiosi meeting internazionali di allora e confrontarsi, come in quegli anni non succedeva spesso, anche con i rivali americani, australiani, giapponesi. Nessuno riuscì a sopravvivere nell’immane disastro, che si portò via un’intera generazione del nuoto italiano.

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Bruno Bianchi, stile libero e capitano della Nazionale, 16 volte primatista italiano, il più vecchio e già veterano del gruppo anche se appena 22enne. Amedeo Chimisso, 19enne dorsista e primatista dei 200 misti, era figlio di uno scaricatore di porto di Venezia e faceva il fattorino a tempo perso per cercare di sbarcare il lunario. Il romano Sergio De Gregorio, libero e delfino, 5 titoli italiani assoluti e pluriprimatista nazionale, avrebbe compiuto vent’anni a febbraio. Appena 18enne e studentessa liceale bolognese era invece Carmen Longo, ranista e misto, primatista e campionessa italiana. Da Roma arrivava Luciana Massenzi, 20 anni, stile libero e dorso, 4 titoli assoluti, primatista dei 100 dorso. La stessa età di Chiaffredo “Dino” Rora, dorsista torinese. Appena 17 anni aveva infine Daniela Samuele, nata a Genova, la più giovane del gruppo. Con loro c’erano il tecnico federale Paolo Costoli, fiorentino di 55 anni e Nico Sapio, 36 anni, telecronista della Rai.

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Quella tragica trasferta fu accompagnata da una serie incredibile di coincidenze sfavorevoli. Il volo previsto da Linate per la Germania fu cancellato per la fitta nebbia sullo scalo milanese. La comitiva azzurra stava già per ripiegare su un’alternativa via terra (treno e pullman) quando si trovò all’ultimo momento un aereo della Swissair per Zurigo, con successive coincidenze per Francoforte e poi Brema. Gli azzurri però arrivarono a Francoforte in leggero ritardo, appena 12 minuti persi probabilmente in ulteriori controlli dei documenti alla dogana. Furono fatali, perché così persero l’aereo previsto e già prenotato per Brema, che raggiunse poi regolarmente la città tedesca, e dovettero scegliere quello successivo, che invece non arrivò mai a destinazione.

Un disastro terribile e struggente che non ebbe mai una spiegazione. Le condizioni meteo a Brema erano critiche ma non proibitive, si parlò di illuminazione difettosa lungo la pista dell’aeroporto, di scarsa visibilità, di manovra errata, di malore del pilota. E alcuni fra i soccorritori dissero di aver trovato il copilota al suo posto, morto sul colpo, con una tenaglia arrugginita in mano. Nel 2009 è stato eretto un monumento in ricordo dei caduti di Brema allo Stadio del Nuoto del Foro Italico.

Se in una partita una squadra calcia 6 rigori e ne realizza solo uno, a prescindere dal risultato, quello stesso match è destinato a entrare nella narrativa sportiva. E’ già mitologia. Se poi abbiamo un portiere che si innalza a ruolo di eroe, una squadra costretta a difendersi per tutti i 90 minuti più supplementari in 10 uomini, all’interno di uno stadio che ti fa il tifo contro, allora si sconfina nell’epica più autentica.

Olanda – Italia, 29 giugno 2000, semifinale degli Europei che si disputano proprio in Olanda e Belgio. L’Amsterdam Arena è oranje: «C’era un’atmosfera quasi surreale: tre quarti dello stadio era arancione», dice prima del match Francesco Toldo. Il gladiatore di quell’impresa, l’ultimo a rimanere in piedi nell’eterna lotteria dei rigori.
Che poi Italia e Olanda dagli 11 metri hanno ricordi amari, amarissimi. Una sfida che poteva essere la redenzione per una e la condanna eterna per l’altra.
L’Olanda va fortissimo, prende il palo dopo pochi minuti con Bergkamp. Poi, al 34esimo, Zambrotta si fa espellere per doppia ammonizione. Passano quattro minuti e Cannavaro fa un fallo ingenuo in area: rigore. Va Frank de Boer, capitano e rigorista, tira. Prima parata di Toldo.
I padroni di casa vanno a ritmi forsennati, vogliono sbloccare la partita. L’Italia alza i muri, ma al 62esimo, Iuliano entra in scivolata in area sul suo compagno juventina Edgar Davids. Secondo rigore. Questa volta è Kluivert a prendere il pallone. Lo vuole battere lui, lui che che nel corso degli Europei ha già segnato cinque gol. Tiro angolato e quasi perfetto. Quasi. Palo interno e sputata nuovamente in campo.

E’ 0-0, si va ai supplementari, Delvecchio potrebbe anche segnare e chiuderla con il Golden gol, ma si arriva ai rigori. Parte Di Biagio in un’ideale filo mai interrotto da Francia ’98. Lui ha chiuso sulla traversa quell’avventura, lui apre una nuova serie. Nella sua testa è ancora lì che riprova e riprova sperando di invertire il senso della storia. Questa volta la butta dentro. Poi de Boer, di nuovo lui, contro Toldo. Qui gli olandesi iniziano a credere in un anatema, uno sciamano che ha fatto un rito porta-sfiga. Francesco para anche questo. Pessotto tira praticamente senza rincorsa e fa 2-0. Poi è il turno del roccioso difensore Stam.

Come detto in apertura questa partita si muove tra mito, racconti fantastici, eroi e antieroi. Tra loro c’è anche la figura del santone o del mago, se preferite. C’è un istante che, solo diversi anni dopo, è stato svelato dallo stesso portierone ex Fiorentina e Inter. Stam si presenta sul dischetto. Tira una sassata alta, sgangherata al di sopra della traversa. Toldo volge lo sguardo al cielo e grida: «Alberto, Alberto!».
Ecco lo sciamano della novella fantastica. Alberto Ferrarini. Motivatore o mental coach, anche se lui, non si sente né l’uno né l’altro.

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Tutto nasce da un incontro fortuito che lo stesso Toldo ha raccontato: prima del Natale 1999, il portiere va fuori a cena con moglie e amici, tra cui Bressan, compagno alla Fiorentina. Nello stesso tavolo c’è Alberto e nasce subito una sintonia. C’è curiosità, poi Alberto, gli dice: «Nel 2000 farai cose importanti. E giocherai da titolare all’Europeo». Ci scommettono anche un caffè, ovviamente Toldo sa che è Buffon il portiere numero uno dell’Italia.
E quando il ct Zoff assegna i numeri di maglia, Toldo si rassegna: a lui spetta la numero 12, quella del panchinaro. Alberto, però, non molla e rilancia: «Strano, dovrebbe toccare a te». Beh, in amichevole, contro la Norvegia, Gigi Buffon si fa male alla mano e come l’effetto sliding-doors cambia la carriera di Francesco.

Il portiere e il suo nuovo amuleto si incontrano e saldano il caffè che si erano promessi. Qui Alberto azzarda una giornata di gloria eterna per Toldo: «Guarda che non finisce qui: ci sarà una giornata dove tutti parleranno di te. Facciamo una cosa: ti chiamo quando sarà il momento». E indovinate quando chiama? Esatto, la mattina del 29 giugno durante la riunione tecnica.
I numeri non mentono, dice lui. Toldo inizia a crederci, chiede cosa diavolo potrà mai succedere e Alberto quasi con ovvietà dice: «Beh sei un portiere quindi ci saranno tanti rigori. Ma non avere paura: li prendi tutti oppure sbagliano. Fidati dell’istinto: è il tuo giorno».

E’ il giorno del ragazzotto nato a Padova. E’ il giorno di un grande professionista, un atleta modello la cui unica colpa è stata quella di nascere calcisticamente nella generazione di Buffon e di Peruzzi. E’ il giorno di un’intera nazione che si scrolla di dosso l’etichetta di perdente da quel dannato dischetto di gesso bianco del rigore.
Ma ci vuole un gesto screanzato, folle, per farlo capire al mondo intero. E il terzo rigore per gli azzurri spetta all’altro Francesco, Totti. «Mo je faccio er cucchiaio» aveva confidato all’amico Di Biagio. E segna.
Poi Kluivert segna l’unico dei sei rigori tirati dall’Olanda in questa partita. Stizzito, dopo la realizzazione, calcia l’aria e l’erba. Calcio il vuoto. Un pugno di mosche. Maldini, distrutto dai crampi, ciabatta il suo penalty. Per ultimo, per l’Olanda, tira Bosvelt.

Come disse un altro Francesco, De Gregori: «La fine del discorso la conosci già». Titolo della canzone: Pezzi di vetro. Storia di un “santo a piedi nudi”. Italia in finale contro la Francia. Per una sera, l’Italia è un paese di santi, portieri e motivatori.

Non sottovalutare l’Australia o meglio non guardare il Paese dell’Oceania con “occhi maschili”. E’ la nostra sfida, più che delle calciatrici stesse della Nazionale italiana che domenica 9 giugno, ore 13.00, (qui per sapere dove guardare la partita) fanno l’esordio ai Mondiali femminili dopo esattamente 20 anni. Nel Girone C, contro l’Australia – come detto – e non solo: le ragazze di Milena Bertolini se la dovranno vedere anche con la Giamaica, positiva debuttante assoluta nella storia della Coppa del Mondo, e, infine, con il Brasile che ha preso parte a tutte le sette edizioni precedenti ma non ha ancora vinto.  Conosciamo meglio le avversarie:

Australia

Le azzurre agli ordini di Milena Bertolini scenderanno in campo per la prima volta – dopo un’assenza lunga 20 anni al Mondiale femminile – domenica 9 giugno (ore 13) a Valenciennes contro l’Australia. Le prime avversarie delle nostre ragazze hanno una storia che sembra simile a quanto accaduto al movimento femminile in Italia. Il loro riconoscimento, a livello ufficiale, è stato un lungo percorso, nonostante la loro presenza continua nella fase finale dei Campionati del Mondo. Esclusa la prima edizione, infatti, le australiane hanno sempre partecipato. I risultati nono sono stati esaltanti, con tre eliminazioni ai quarti di finale in sei partecipazioni. Il loro punto di forza è la 26enne attaccante Sam Kerr, che fa della velocità e della prestanza fisica le sue doti migliori.

 

Giamaica

Il secondo impegno delle nostre azzurre, venerdì 14 giugno (ore 18) metterà di fronte l’Italia alla sorpresa Giamaica. Le centro-americane sono 53esime nel ranking mondiale e questo dato potrebbe spingere a dare per scontata una loro eliminazione al primo turno (si qualificano direttamente le prime due di ogni raggruppamento e le quattro migliori terze), ma in queste competizione le motivazioni possono portare a superare gli ostacoli. La Giamaica è alla sua prima presenza a un Mondiale, ma non per questo può essere sottovalutata. Jody Brown ha solo 17 anni, è del 2002 e gioca ancora nella Montverde Academy, scuola del Florida, in America. Ha talento, gioca in attacco, e si messa in mostra nei tornei giovanili Concacaf

 

Brasile

Leggere il nome Brasile tra le avversarie dell’Italia a un Mondiale di Calcio riporta alla mente le mitiche sfide della Nazionale maschile con i verdeoro. La situazione sul versante femminile, però, sembra essere molto diversa. Le sudamericane, infatti, nonostante il blasone e il movimento sempre sulla cresta dell’onda, non hanno mai vinto un titolo iridato. Il tutto nonostante nella sua rosa si possano leggere nomi di spicco e di successo anche a livello individuale. Le ragazze verdeoro hanno perso le ultime nove partite giocare e, nonostante il successo nell’ultima Copa America, sembrano esserci dei problemi di gioco e rendimento. La loro stella è la 33enne Marta Vieira da Silva, conosciuta semplicemente come Marta, che per cinque anni di fila ha vinto il titolo di Fifa World Player. La partita contro le azzurre sarà quella che chiuderà il girone C, il 18 giugno.

 

Chi sarà il nuovo volto alla guida della nazionale italiana? Da mesi si alternano diverse ipotesi e alla fine la scelta è ricaduta su Roberto Mancini.

Anche se già da tempo si sapeva che faceva parte della rosa dei probabili candidati, adesso è ufficiale: Mancini ha firmato un contratto con l’Italia fino al 2020 ed è, inoltre, previsto un rinnovo automatico fino al 2022, cioè fino al Mondiale in Qatar, per le qualificazioni per l’Europeo.

Come nuovo ct della nazionale il suo impegno comincia subito con l’allenamento della squadra che scenderà in campo già il 28 maggio in Svizzera, a San Gallo, nell’amichevole tra Italia e Arabia Saudita. Poi il 1° giugno a Nizza contro la Francia e il 4 giugno a Torino allo Stadium contro l’Olanda.

Durante la conferenza stampa che ha ufficializzato la sua posizione, è Fabbricini a spiegare le motivazioni per questa scelta così difficile.

Abbiamo avuto questo impegno così importante di cercare e trovare la guida della Nazionale Italiana. Lo abbiamo fatto con dei criteri che oggi confluiscono nella figura di Mancini. Prima di tutto volevamo una persona con la voglia smisurata di sedersi su questa panchina e con grande competenza tecnica: Mancini è la miglior scelta fra le migliori scelte. Ha rinunciato a un contratto in essere con lo Zenit, perché noi volevamo un allenatore che fosse libero da legami

Mancini, infatti, ha dovuto rinunciare alla panchina dello Zenit San Pietroburgo per tornare ad allenare la squadra azzurra che ha bisogno di un nuovo inizio per tornare ad essere un team vincente come un tempo.

Non sarà facile per il nuovo commissario tecnico ripartire da zero, ma l’ex allenatore dell’Inter ha già le idee abbastanza chiare su come intende guidare la sua squadra e anche sui giocatori che vi prenderanno parte.

Penso che diventare Ct sia motivo d’orgoglio e la massima aspirazione per tutti gli allenatori. C’è chi preferisce un club o vuole fare esperienze, io alleno da tanti anni e penso che questo poteva essere il momento giusto. Bisogna fare qualcosa per questa Nazionale, in un momento così difficile ho pensato che fosse giusto. Sono abbastanza emozionato perché diventare Ct non è una cosa banale e non capita sempre

E proprio per quanto riguarda i giocatori c’è soprattutto un nome che torna alla ribalta dopo anni, quello di Mario Balotelli. Pare infatti che Mancini, che lo ha già allenato nell’Inter e nel Manchester City, lo voglia nel suo team.

Balotelli non gioca con la nazionale azzurra dal 2014, ma pare che adesso potrebbe tornare ad indossare nuovamente la maglia dell’Italia. Ecco cosa dice il neo ct in proposito:

Penso che in Italia ci siano giocatori con qualità. Mario è italiano, sicuramente ci parleremo, probabilmente lo chiameremo perché fa parte di quei giocatori che vogliamo rivedere. Ma ci sono diversi giocatori che possono essere utili alla causa della Nazionale

L’impegno di Mancini, anche nella scelta dei calciatori, sarà rivolto verso un obiettivo preciso: far rinascere l’Italia e far riaccendere le emozioni, sia in campo che fuori, anche per mezzo del tifo. E soprattutto senza mai dimenticare i sogni:

Cosa dirò ai miei giocatori? Di avere dedizione, ma questo è normale. L’importante sarà che i giocatori che arriveranno in Nazionale tirino fuori i sogni che hanno nel cuore, come può essere quello di vincere un Mondiale con l’Italia: i sogni sono molto importanti

Una grande novità è in arrivo nel mondo del calcio italiano. Si tratta dell’introduzione delle seconde squadre, formate da calciatori under 21 e due fuoriquota di under 23.

È lo stesso Alessandro Costacurta, subcommissario della Figc, che presenta il progetto, spiegando le modalità in cui avverrà il cambiamento e le sue motivazioni:

Dal prossimo anno i club di Serie A potranno avere delle seconde squadre, e le potranno iscrivere ai campionati di Lega Pro, occupando i posti delle società che non si iscriveranno. Quest’anno non ci saranno ripescaggi e i buchi saranno occupati proprio dai club che aderiranno al bando

L’idea è di adeguarsi alle formazioni europee che già adoperano questo criterio e cercare di risollevare il calcio italiano che ha bisogno di essere ricostruito, partendo proprio dalla Nazionale, reduce ancora dalla delusione dell’esclusione ai Mondiali di Russia 2018.

Le squadre B saranno composte di calciatori under 21, con la possibilità di introdurre due fuori quota under 23 e dovranno avere in rosa un numero minimo di giocatori (ancora da definire) convocabili per le Nazionali italiane. Le squadre parteciperanno al campionato regolarmente con eventuali promozioni o retrocessioni. C’è un’unica limitazione: non potranno mai giocare nel campionato della prima squadra

Secondo le parole di Costacurta, quindi, le seconde squadre delle Serie A saranno formate da giovani talenti che potranno mettersi in mostra in un campionato di livello professionistico e non più solo giovanile. Ma soprattutto potranno concorrere alla formazione delle nazionali italiane, in cerca di nuovi stimoli e motivazioni.

Nonostante la validità del cambiamento che dovrebbe prendere il via già dalla prossima stagione, non tutti sembrano essere concordi con il progetto e con l’ottimismo di Costacurta.

Il primo parere discordante arriva da Balata, presidente della Lega B, che manifesta le sue preoccupazioni contestando la mancata condivisione di un progetto che riguarda tutti:

Pur nella consapevolezza dell’importanza della crescita dei giovani, mission che la Lega B si è già data da diversi anni come dimostrano i numeri che la vedono per oltre il 30% popolata da giocatori under 21, tali decisioni vanno a incidere sulle caratteristiche del campionato di B e per questo devono essere oggetto di attenta riflessione e confronto, partendo inevitabilmente dalle specificità della B, fondata su valori inalienabili quali la presenza sul territorio e i giovani

D’altro canto arrivano anche le dichiarazioni di Gabriele Gravina, presidente della Lega Pro, che tende a smentire l’effettiva imminenza del cambiamento parlando piuttosto di “opportunità” da prendere in considerazione:

Più che una rivoluzione è un percorso di innovazione, noi ne abbiamo parlato ormai da tanti anni, riteniamo che sia una possibilità, una opportunità di adeguamento a quello che avviene in altre federazioni europee. Quello che è apparso, anche in termini di comunicato oggi, non corrisponde alla realtà: abbiamo chiuso l’accordo con Costacurta per le seconde squadre dalla stagione 2019-2020 a pieno regime; saranno inserite nella stagione 2018-2019 solo se ci dovesse essere un vuoto d’organico. Chiarisco tuttavia che non c’è nessun blocco dei ripescaggi

Insomma, è chiaro che al momento non c’è nulla di definito e che una decisione così rivoluzionaria all’interno del calcio italiano non può che suscitare l’interesse di tutti e inevitabilmente attirare anche pareri non favorevoli.

La notizia del ritiro di Arsene Wenger, allenatore dell’Arsenal da ben 22 anni, ha dato lo spunto per stilare una classifica dei commissari tecnici più longevi della storia del calcio. Proprio lui, il punto di riferimento dei Gunners, è in cima alla graduatoria tra gli allenatori più fedeli di tutti in Premiere League.

Arsene Wenger ha allenato l’Arsenal dal 1996 al 2018. A fine stagione, infatti, ha già annunciato che lascerà la squadra che ha guidato per moltissimi anni e ha condotto alla gloria in più di un’occasione. Nella sua carriera ha vinto la Premier League e la FA Cup nella stessa stagione sportiva (1997/98 e 2001/02). Inoltre, tra tutti è quello che ha conquistato più titoli nella FA Cup. Nel 2003/2004 è stato di nuovo il leader nel campionato inglese e a questi risultati ha aggiunto anche i premi della Community Shield nel 1998, 1999, 2002, 2004, 2014 e 2015.

Subito dopo di lui troviamo Alex Ferguson, allenatore del Manchester United con il quale ha vinto 13 campionati, 5 FA Cup, 4 Coppe di Lega, 2 UEFA Champions Leagues, 1 Coppa delle Coppe, 1 Supercoppa UEFA, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa del Mondo FIFA per club.

Il record della Ligue 1 e assoluto spetta a Guy Roux che ha allenato l’Auxerre per ben 44 anni, ma se consideriamo la sua militanza da giocatore si sale a quota 53 stagioni. In questo arco di tempo è riuscito a fare grande questa squadra, che ha scalato il campionato francese e ha vinto il titolo nel 1996. 

Un record diverso, invece, riguarda il Celtic di Willie Maley, che è rimasto imbattuto per ben 62 partite! Nel calcio britannico nessuno è riuscito finora come lui nell’impresa.

Ronnie Mcfall, tecnico del Portdown dal 1986 al 2016, ha raggiunto il successo nel campionato del 1990 e nel 2001/2002. Poi nel 1991 ha conquistato la coppa nazionale. 

L’allenatore spagnolo più longevo è Ignacio Quereda, dal 1988 al 2015. La sua squadra, la Spagna femminile, ha ottenuto degli ottimi riconoscimenti dopo essere arrivata in semifinale e ai quarti al campionato Europeo Uefa femminile (1997 – 2013).

Sempre in Spagna ritroviamo anche Juan Santisteban, ct tecnico della Spagna giovanile. È rimasto allenatore del team per 20 anni, prima nella Under 16 e poi nella Under 17. Diversi sono i titoli vinti sia con l’una che con l’altra squadra. Tra tutti è quello che ha vinto più titoli UEFA, ben sette.

Simbolo della Dynamo Kyiv è Valeriy Lobanovskiy, che ha collezionato 7 titoli in soli due anni, aggiungendo poi alla lista anche la Coppa delle Coppe e la Supercoppa UEFA nel 1975 e poi la Coppa delle Coppe 1986.
In Belgio emerge il nome di Francky Dury, che ha allenato lo Zultse VV dal 1990 al 2001 e poi lo SV Zulte Waregem nel 2001–2010, 2011. Tra i suoi successi più grandi c’è la Coppa del Belgio.

Mickey Evans, giocatore e allenatore del Caersws, ha vinto tre Coppe di Lega e conquistato un posto in Coppa UEFA Intertoto nel 2002. La curiosità intorno alla sua figura di allenatore è aver guidato la squadra dove militava anche suo figlio.

Infine è il turno dell’Italia con Vittorio Pozzo. Il tecnico ha guidato la nazionale italiana verso la conquista della Coppa del Mondo nel 1934 e nel 1938.  L’unico ad avere il primato di aver vinto due titoli mondiali in due edizioni consecutive, è il promotore degli ormai consueti ritiri prima del match.

Vittorio Pozzo è un’icona storica del calcio italiano e rientra in questa lista di allenatori che hanno fatto grande questo sport sin dagli esordi.

Mentre insieme alla sua squadra continua il suo percorso ai Mondiali di Hockey sul ghiaccio Prima Divisione Gruppo B, che hanno preso il via l’8 aprile, Carola Saletta, capitana della nazionale azzurra, si prende qualche ora per dedicarsi al coronamento dei suoi studi.

L’energica giocatrice, infatti, nonostante l’impegno con la competizione iridata, non ha mai smesso di studiare. Anzi, è riuscita talmente bene a conciliare impegni sportivi con quelli di studio tanto da conseguire la laurea in giurisprudenza con un ammirevole 110 e lode. La cosa sorprendente è che succede tutto nella stessa giornata!

Da Torino ad Asiago per portare a termine anche il suo altro obiettivo: condurre la squadra verso il successo e magari ottenere la promozione nel gruppo A se la sua squadra riuscirà a vincere la competizione. E così, subito dopo aver ricevuto il titolo di studio, Carola Saletta ha rinviato i festeggiamenti per la sua laurea e si è subito messa in viaggio verso la sede dei Mondiali per disputare la gara contro la Corea del Sud.

Dopo 2 successi ottenuti contro la Lettonia e contro il Kazakistan, la nostra nazionale è partita energica e determinata. Purtroppo non è andata come tutti speravano e la squadra avversaria ha avuto la meglio per 3-2, ma ciò non toglie che l’intero team azzurro finora ha dimostrato di potercela fare e ha buone chance di arrivare in fondo a questi Mondiali. E, dopo l’ennesima vittoria contro la Polonia battuta per 2-1, il traguardo si fa sempre più vicino.

Per Carola Saletta restano comunque dei giorni molto intensi. Di giorno Dottoressa e di sera capitana della nazionale italiana di hockey sul ghiaccio: la duplice vita di Carola Saletta regala soddisfazioni su ogni fronte. L’Italia, infatti, al momento si trova prima in classifica con 9 punti, seguita dalla Corea del Sud con 8 punti, dal Kazakistan con 7, da Cina e Lettonia con 6 punti e infine l’ultima è la Polonia con zero punti.

La nostra capitana e neo dottoressa, a soli 25 anni, ha dimostrato di poter dare il massimo sia in pista che fuori e una volta raggiunto il primo traguardo siamo certi che farà di tutto per conseguire anche il prossimo grande obiettivo  per laurearsi anche come campionessa dei Mondiali di Hockey sul ghiaccio 2018.

La morte di Azeglio Vicini ci ha riportato con la mente a quelle notti magiche di Italia ’90, guardando con nostalgia ad una nazionale italiana in grado di farci sognare ed emozionare.

Ecco perché vogliamo rivolgere uno sguardo al passato per ricordare i grandi eroi di quel mondiale e conoscere la svolta che ha avuto la loro vita dopo di allora. Sono 22 ex giocatori, alcuni dei quali hanno intrapreso la carriera di allenatore, altri quella della televisione e altri ancora si sono allontanati dal calcio.

Eccoli al completo, partendo da chi la passione per il calcio non l’ha mai abbandonata e ha deciso per questo di rimanere in campo ad allenare: Zenga, Ferrara, Vierchowod, Ancelotti, Donadoni, Mancini e Pagliuca.

Walter Zenga, portiere ai Mondiali del 1990, ha intrapreso la carriera di allenatore una decina di anni dopo e ha seguito le squadre del Brera, National Bucarest, Steaua Bucarest, Stella Rossa Belgrado, Gaziantepspor, Al-Ain e Dinamo Bucarest. Nel 2008 diventa allenatore del Catania in serie A, poi dopo una breve esperienza nel Palermo e negli Emirati Arabi approda alla Sampdoria. Si sposta nuovamente all’estero con il Wolverhampton e oggi è allenatore del Crotone.

Ciro Ferrara dopo la sua brillante carriera di giocatore diventa allenatore di squadre come la Juventus e la nazionale Under-21. La sua esperienza continua con la Sampdoria e infine con una squadra della divisione cinese, Wuhan Zall. Attualmente è un allenatore senza panchina, come il collega Carlo Ancelotti, che nella sua carriera ha seguito squadre di grande spessore, come Juventus, Milan, Chelsea, Paris Saint Germain, Real Madrid e Bayern Monaco. Oggi è uno dei probabili candidati per diventare il ct della nazionale italiana.

Un altro ex giocatore che ha deciso di scegliere di fare l’allenatore, anche se al momento non ha un incarico, è Pietro Vierchowod, dopo aver militato nel Catania, nel Florentia Viola e nella Triestina. Un ex giocatore che attualmente allena ancora è Roberto Donadoni, che è il ct del Bologna. Lo ricordiamo anche per essere stato il tecnico della nazionale italiana dal 2006 al 2008. Dopo l’esperienza con l’Italia, ha seguito Napoli, Cagliari, Parma e infine Bologna, dove si trova attualmente.

Roberto Mancini, anche lui probabile candidato come ct dell’Italia, ha allenato Fiorentina, Lazio, Inter, Manchester City, Galatasaray e Zenit San Pietroburgo, dove si trova attualmente.

Gianluca Pagliuca da portiere ha scelto di allenare proprio chi ha intrapreso questa stessa strada ed oggi lo ritroviamo a guidare i portieri della primavera del Bologna FC.

Molti ex giocatori delle notti magiche, invece, hanno abbandonato il campo da gioco per commentarlo dall’esterno e sono diventati opinionisti e commentatori sportivi. Tra loro ci sono Giuseppe Bergomi, Giancarlo Marocchi, Gianluca Vialli che lavorano per Sky Sport e Aldo Serena per Sport Mediaset.

Riccardo Ferri, oltre a ricoprire il ruolo di responsabile dell’area tecnica del Vicenza, è opinionista per Mediaset. Ruoli di opinionisti in diverse trasmissioni televisive sono ricoperti anche da Nicola Berti e Stefano Tacconi, che ha avuto anche delle esperienze di reality.

Nel settore sportivo, ma con altre mansioni, sono rimasti anche Franco Baresi, che oggi è l’ambasciatore nel mondo per l’AC Milan, Luigi De Agostini, che è responsabile dell’organizzazione in Italia dei “camp” giovanili del Real Madrid, Paolo Maldini, che ha fondato il Miami FC, Giuseppe Giannini, che è direttore del settore giovanile del Latina e Andrea Carnevale, che è il responsabile osservatori dell’Udinese.

E il grande Totò Schillaci? Lavora attualmente come direttore a Palermo del centro sportivo per ragazzi “Louis Ribolla”, da lui stesso fondato.

Infine, al di fuori del mondo calcistico ritroviamo gli ex giocatori Roberto Baggio, che è ambasciatore dell’Unicef e Fernando De Napoli, che è dedito al settore dei vini.

Nonostante gli anni, ognuno di loro ricorda con piacere a quel 1990 che ha segnato un momento importante nella storia calcistica italiana e nella loro carriera, e soprattutto che li lega fortemente alla figura del loro ct Azeglio Vicini.

La situazione del calcio italiano dopo l’esclusione clamorosa dai Mondiali di Russia 2018 non smette di suscitare dubbi e perplessità nel settore e sono in tanti quelli che vogliono una svolta che porti un cambiamento radicale.

Uno di questi è Paolo Maldini, che ha fatto del calcio la sua vita a partire da quel lontano 1985 in cui ha esordito in seie A. Lui, che nella sua carriera ha avuto un ruolo importante anche nella nazionale italiana, oggi proprio non riesce ad accettare la disfatta.

Fa male, è stata una cosa inaspettata. Avevo speranza che in una maniera o nell’altra ce l’avremmo fatta. Così non è stato, ed è stato un problema non solo legato ai due playoff ma una gestione degli ultimi anni che ha portato il calcio al di fuori della federazione. E questi sono i risultati

Il declino che sta affrontando il calcio in Italia è dovuto, secondo il suo parere, ad una cattiva organizzazione ed è proprio ai vertici che bisogna operare il cambiamento. Ed è per questo che lui sostiene la candidatura di Damiano Tommasi, che all’inizio dell’anno ha annunciato di presentarsi alle elezioni come presidente del Figc.

Ecco le motivazioni che hanno spinto l’ex calciatore della Roma a fare il grande passo:

Oggi la Figc ha bisogno di unità di intenti. Compito istituzionale è quello di dare una risposta seria, concreta e sufficientemente lungimirante a Italia-Svezia… altrimenti avremmo perso due volte

E Maldini non può che essere d’accordo con lui, anche se si rende conto che non sarà affatto facile affrontare questo compito:

Tommasi potrebbe cambiare qualcosa? E’ la mia speranza in quanto amante del calcio. Non è facile ma è giusto che si candidi. Sicuramente avrà l’appoggio di calciatori ed ex calciatori, magari meno quello della politica, ma credo che lui debba far valere un programma improntato sul calcio

In attesa di sapere come evolverà la situazione e se Tommasi avrà un’opportunità nella Federcalcio, i due ex giocatori ieri si sono ritrovati insieme a tagliare il nastro nella mostra di Biella dedicata al calcio dei campioni.

Insieme a Roberto Bettega hanno rappresentato tre delle squadre più importanti del calcio, Roma, Juventus e Milan, e hanno presentato questa collezione d’autore dove spiccano anche cimeli dei protagonisti del calcio di qualche anno fa.

Che sia di buon auspicio per il futuro del calcio? Magari aiuterà a ricordare quanto di significativo c’è stato nel calcio del passato per farlo rinascere e raggiungere nuovi traguardi.

Il secco 0-0 che ha deciso le sorti dell’Italia nella partita di ritorno dei play-off di ieri non poteva non avere conseguenze, soprattutto tra quei calciatori che giocano come titolari nella nazionale azzurra da tanto tempo.

Dopo Buffon, che aveva già da tempo annunciato il suo ritiro, arriva un altro addio. Questa volta la notizia riguarda il centrocampista della Roma, Daniele De Rossi, che ha confessato subito dopo il match di voler abbandonare anche lui la nazionale.

Delusione, rammarico e tanta amarezza per l’uscita dell’Italia che non andrà ai Mondiali di Russia 2018, nonostante gli sforzi dei giocatori che per tutti i 90 minuti di gioco hanno dato il massimo, pressando la squadra avversaria con i suoi continui attacchi.

Adesso è tempo di bilanci e inevitabilmente si cerca un capro espiatorio a cui dare la colpa. Di chi è la responsabilità di questa disfatta?

De Rossi non si esprime in tal senso, ma le sue reazioni durante la partita di ieri contro lo staff tecnico che lo incitava a riscaldarsi per entrare in campo la dicono lunga sul suo pensiero.

Interpretando il labiale nel video che sta girando su internet si intuiscono queste parole:

Ma che ca** entro io, dovemo vincere non pareggia’…

Così il suo sfogo non passa inosservato alle telecamere che lo riprendono proprio mentre si accanisce con lo staff perché ritiene che in quel momento sia più logico far entrare gli attaccanti, come Insigne, per tentare la vittoria.

Che De Rossi condivida o meno le scelte del suo allenatore, di certo subentra un malcontento abbastanza marcato tra tutti i giocatori. Il centrocampista romano così si esprime:

È un momento nero per il nostro calcio, nerissimo per noi che abbiamo fatto parte di questo biennio. Ci sarà tempo per analizzare per tutti. Credo che la Federazione dovrà riflettere per capire come ripartire. L’unica cosa da salvare è lo spirito e la voglia che abbiamo messo fino all’ultimo secondo di questa avventura. Al di là di tutto ciò che è stato sbagliato tatticamente, tecnicamente e fisicamente, non meritavamo di uscire. Complimenti a loro perché hanno fatto la loro partita come è giusto che fosse. Abbiamo tanti giovani, si deve ripartire da loro a tutti i costi

E con queste parole annuncia il suo imminente ritiro, lasciando appunto largo spazio ai giovani giocatori che verranno dopo di lui e sperando che le cose possano cambiare per il calcio italiano e soprattutto migliorare. Dopo il flop di ieri, infatti, si respira un’aria lugubre nel team azzurro e, oltre alla tristezza per la mancata qualificazione al mondiale, De Rossi in prima persona è ancora più amareggiato perché sa che non indosserà più quella maglia che è stata parte di lui per tanto tempo.

Sono 16-17 che vagabondo per Coverciano. E pensare che è l’ultima volta che mi sono tolto questa maglia fa male. Dopo la partita c’era un’atmosfera funebre con gli altri