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Sono stati il simbolo della Germania vincente del Mondiale 2014 ma ora per loro non c’è più spazio nella nazionale tedesca.

Stiamo parlando di Hummels, Boateng e Müller, lasciati a casa dal commissario tecnico Joachim Löw in vista del futuro e di quelli che saranno gli impegni della nazionale per i prossimi mesi.

Una scelta drastica e forse anche un po’ lesiva nei confronti dei tre calciatori del Bayern Monaco. Almeno è quello che pensano i vertici societari del club bavarese che valutano “discutibili i tempi e le circostanze dell’annuncio della decisione ai giocatori e all’opinione pubblica” dato anche il momento delicato della stagione che si sta apprestando a vivere la squadra di mister Kovac.

Una decisione forte quella presa dal ct Löw, soprattutto perché i tre “senatori” sono stati i pilastri della Germania trionfante, oltre al fatto che comunque non sono ancora in età pensionabile poiché hanno tutti ancora trent’anni.

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Il blocco bavarese

Per l’allenatore si tratta di una nuova idea o comunque una scossa per far ripartire il progetto del calcio tedesco dopo il flop al Mondiale di Russia 2018, con l’uscita della Germania ai gironi, e in Nations League, con il passaggio in Serie B.

Partendo dalla difesa, Jerome Boateng e Mats Hummels sono stati i centrali davanti al portiere Manuel Neuer che ha guidato la Germania nel Campionato del Mondo in Brasile nel 2014, per quello che è stato il blocco Bayern.

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Jerome Boateng con la maglia della nazionale tedesca

Con il Die Mannschaft il difensore d’origine ghanesi ha collezionato 76 presenze con debutto il 10 ottobre 2009, partita valida per le qualificazioni ai Mondiali 2014 contro la Russia vinta per 1-0 dai tedeschi e con l’espulsione del difensore (impiegato da terzino).

Hummels, invece, ha esordito nel 2010 in un’amichevole contro Malta subentrando a Tasci. Da quando il difensore è stato protagonista prima nelle annate magiche con il Borussia Dortmund e poi nei trionfi con la maglia del Bayern, non ha mai saltato nessun impegno con la nazionale.

Scalpore ha fatto anche il ben servito nei confronti di Thomas Müller. L’attaccante tuttofare del club bavarese non sta vivendo la sua miglior stagione ma addirittura pensare a un suo addio alla Germania. In carriera ha totalizzato 100 gettoni con 38 reti.

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Thomas Müller con la Coppa del Mondo tra le mani

La nazionale tedesca, quindi, volta pagina e fa partire un ciclo nuovo, con nuovi calciatori per centrare nuovi obiettivi. Unico comun denominatore: Joachim Löw, lui è ancora sulla panchina anche se non ha più scuse per fallire.

Gli Stati Uniti si ritirano lentamente a pezzi dalla guerra in Vietnam mentre sul network televisivo Abc debutta la serie “Happy days”. Negli stessi mesi Richard Nixon, travolto dallo scandalo Watergate, si dimette dalla Casa Bianca. E’ il 1974.

Dall’altra parte dell’oceano, la giovane e fragile Repubblica italiana fa i conti con gli anni del terrorismo rosso e nero che un giorno sì, e l’altro pure, lascia per strada cadaveri esanimi e spesso innocenti. Viene bocciato il referendum sul divorzio e il monopolio televisivo della Rai inizia a scricchiolare. Sul campo la Lazio vince il suo primo scudetto, il Bayern Monaco inaugura il proprio ciclo vincente in Coppa dei Campioni e Claudio Baglioni domina le classifiche italiane con “E tu”.

E poi c’è un altro nome, fino a quell’anno sconosciuto, che forse consacra il legame indissolubile che esiste, da sempre, tra sport e politica. Due anni dopo il massacro di Monaco alle Olimpiadi, quattro dopo il pugno levato in cielo di John Carlos e Tommie Smith ai Giochi di Città del Messico.

Jürgen Sparwasser ha da poco compiuto ventisei anni. Arriva da Halberstadt, un paesino da 40.000 anime nella Sassonia, Germania orientale, è una buona mezzala del Magdeburgo con cui ha da poco centrato uno storico double: titolo di campione della Germania dell’Est e trionfatore in Coppa delle Coppe nella finale di Rotterdam vinta contro il Milan. Ma quello non è solo un anno fortunato con la squadra di club.
E’ l’anno dei Campionati del Mondo di calcio in Germania. E il caso (chiamiamolo così) ha voluto che nel gruppo 1 capitassero entrambe le squadre “padrone di casa”, anche se il torneo si disputa nella parte Ovest: la Repubblica Federale di Germania (la Brd, Bundesrepublik Deutschland) e la Repubblica Democratica Tedesca (la Ddr, Deutsche Demokratische Republik, alla prima e unica partecipazione mondiale) assieme all’Australia e al Cile, che non si fa mancare giusto qualche subbuglio interno con la dittatura di Pinochet.

Jürgen Sparwasser e sua moglie Christa ad Halberstadt, 1968

Il 22 giugno le due Germanie divise da un Muro si giocano al Volksparkstadion Amburgo il primo posto nel girone. Alle ore 19.30 circa l’impianto è stracolmo di spettatori, poco meno di sessantamila. Il match è solo una passerella dal punto di vista sportivo, il girone è già deciso. Entrambe le selezioni sono qualificate alla fase successiva: la Ovest è a punteggio pieno, ha sconfitto 1-0 il Cile e 3-0 l’Australia, gli orientali hanno 4 punti in classifica dopo la vittoria 2-1 contro gli australiani e il pareggio per 1-1 con i sudamericani. Paradossalmente conviene di più perdere per evitare di ritrovarsi Brasile e Olanda più avanti durante la competizione.

Ma questa non è una partita come le altre, non potrebbe mai esserlo. Per la prima volta le due selezioni calcistiche si ritrovano davanti in un confronto ufficiale. E’ vero, si erano incrociate due anni prima durante le insanguinate Olimpiadi di Monaco di Baviera, ma era un sfida tra Nazionali Olimpiche. Aveva vinto 2-3 la squadra dell’Est. Profetico.

Un Paese spaccato in due assiste in televisione a un derby fratricida tra due visioni del mondo in casa propria. “Wessie”, così come sono chiamati i tifosi occidentali contro “Oessie”. I primi sono in netta maggioranza, oltre cinquantamila ma i secondi si fanno comunque sentire: sono giunti in ottomila grazie al visto turistico temporaneo concesso dal governo socialista della Ddr appositamente per la durata della partita. Si calcola che siano oltre 140 le emittenti televisive nel mondo a trasmettere in diretta la partita, numeri impensabili per gli standard dell’epoca. Le misure di sicurezza all’interno dello stadio sono rigidissime, lo spauracchio di un attentato è dietro l’angolo alla luce di quanto accaduto due anni prima nei Giochi di Monaco di Baviera.

La Germania Ovest, favorita dal pronostico, schiera in campo uno squadrone piena di campioni e nomi noti agli appassionati: Maier, Vochts, Breitner, Beckenbauer, Schwarzenbeck, Cullmann, Gabrowski, Overath, Muller, Hoeness, Flohe. Il commissario tecnico è Helmut Schön. Di contro gli Ossis si presentano sul rettangolo di gioco con: Cruj, Kurbiuweit, Bransch, Weise, Wätzlich, Kreishe, Lauck, Sparwasser, Irmscher, Kishe, Hoffmann. Il selezionatore è Georg Buschner.

Inni nazionali. Das Lied der Deutschen, il canto dei tedeschi, nella terza strofa, per la Germania Ovest in campo con la tradizionale divisa bianca e pantaloncini neri. Auferstanden aus Ruinen, risorti dalle rovine, per la Repubblica Democratica con divisa blu e pantaloncini bianchi.
I federali attaccano e giocano in maniera più corale, centrano un palo e sbagliano un gol a porta vuota, imitati nel primo tempo da Kreische per la Ddr. I contropiede della Germania Democratica infilano pericolosamente la retroguardia dei fratellastri di casa. Si va all’intervallo a reti inviolate.

Il copione si ripete nel secondo tempo. Muller continua a sfoderare assist che i compagni sprecano, Breitner impensierisce il portiere avversario Cruj. La Germania dell’Est ci prova con qualche tiro dalla distanza abbastanza innocuo. La partita si avvia lentamente verso uno scialbo 0-0.

Si arriva al 77’: rimessa laterale in attacco per i padroni di casa, vicino alla bandierina del calcio d’angolo, metà campo di destra. Breitner serve Hoeness che con una mezza rovesciata butta il pallone in mezzo all’area. Un prevedibile colpo di testa è ben parato dal portiere Cruj che fa ripartire l’azione dei suoi. Riceve palla Hoffmann e parte in contropiede. Avanza oltre il cerchio di centrocampo e con un lancio in profondità sulla sinistra imbecca Sparwasser. Jürgen stoppa la palla di testa, bruciando in velocità tre difensori in maglietta bianca, tra cui il biondo Berti Vogts e Kaiser Franz Beckenbauer. Si avvicina all’area piccola, ha di fronte Sepp Maier, finta prima il tiro e con un tocco di potenza lo infila alle spalle.
Gol! 0-1 per la Germania Est, Sparwasser sullo slancio esulta con una capriola e poi riceve gli abbracci dei compagni di squadra che lo assalgono a terra. Gli ottomila Oessie in tribuna sono scatenati. La tv manda a ripetizione il replay dell’azione, mancano tredici minuti alla fine della partita.

La Brd attacca, non ci sta a perdere una gara ininfluente sotto il profilo sportivo, ma tremendamente importante per un popolo intero. Ci prova il capitano Beckenbauer, da fuori, palla a lato. E’ il turno di Hoeness su punizione al limite dell’area di rigore, respinge Cruj. E’ l’ultimo pericolo, l’arbitro uruguaiano Ramon Barreto fischia la fine. Invasione di campo dei fotografi, la Germania Est vince il derby contro l’Ovest, la ribalta è tutta per il numero 14 blu, Jürgen Sparwasser. La leggenda narra che il calciatore sia premiato con automobile, casa nuova e conto in banca da rigenerare, ma lui, Jürgen, più volte smentisce. 2500 marchi a testa per il passaggio alla seconda fase era la promessa pattuita, e mantenuta, con i dirigenti dell’Est.

Alla Ddr quella vittoria non porta così bene nel Mondiale: nel girone successivo becca Brasile, Olanda e Argentina e va fuori. Diverso il destino della Brd: Polonia, Svezia e Jugoslavia sono avversari abbordabili e infatti la Germania Ovest va in finale vincendo la Coppa contro gli olandesi del calcio totale di Rinus Michels e Johan Cruijff.

L’uomo che ha abbattuto il Muro con un calcio al pallone, il nuovo eroe del socialismo pallonaro contro il capitalismo dei più forti, scapperà verso l’Ovest un anno prima della caduta, nel 1988. Sembra che i funzionari quando l’hanno visto abbiano esclamato: «No, Sparwasser, lui proprio no!». Ma lui, Jürgen da Halberstardt, il suo Muro l’aveva già bucato quattordici anni prima.

Lo Stadio Azteca rende omaggio alle selezioni di Italia e Germania (4-3) protagoniste del Mondiale del 1970 della Partita del Secolo, 17 giugno 1970

La scritta è scolpita su una targa affissa  su una parete dello storico stadio di Città del Messico che, durante il Mondiale del 1970, divenne teatro di una memorabile sfida tra Italia e Germania, in semifinale. Lo stesso catino che, evidentemente avvezzo e luogo perfetto per scrivere pagine storiche di calcio, vedrà 16 anni dopo, nel Mondiale del 1986, la nemesi di Maradona contro l’odiata Inghilterra con la mano de Dios e il gol del secolo.

L’Italia del ct Valcareggi e  dell’altisonante staffetta Rivera – Mazzola contro i possenti tedeschi condotti da Gerd Müller e Franz Beckenbauer. La partita del secolo (Jahrhundertspiel, in tedesco), quella del 4-3, che al 90′ era un match sbiadito che si stava trascinando al supplementari dopo la rete di apertura di Boninsegna e il pareggio, quasi inatteso e al limite del triplice fischio finale, di Karl-Heinz Schnellinger .

Su ItaliaGermaniaquattroatre si è scritto tanto, hanno girato anche un film e scritto diverse canzoni. Ma c’è una lettura aneddotica che esalta ancor di più la Partita del secolo: sono gli Appunti di Giorgio dell’Arti che, a mo di agenda, ha catalogato e cristallizzato le tante emozioni attorno a singole parole, a unici ricordi.
Dalla telecronaca di Nando Martellini che era subentrato pochi giorni prima a Nicolò Carosio, cacciato dalla Rai per un’affermazione razzista, all’iconica fasciatura del Kaiser che, infortunatosi alla spalla, decise di continuare.

Ecco di seguito alcuni rimandi:

Spettatori Allo stadio 103 mila spettatori, umidità altissima, temperatura percepita sul campo: 50 gradi. Orario d’inizio della partita le quattro del pomeriggio locali, in Italia è mezzanotte.

Pallone Si gioca con il Telstar, il primo pallone bianco e nero nella storia dei Mondiali, firmato Adidas.

Cartellini Con i Mondiali del ’70 debuttano i cartellini colorati (giallo o rosso) per segnalare l’ammonizione o l’espulsione. Per la prima volta c’è la possibilità di effettuare due cambi durante la partita.

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