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Ha lasciato la Serie A in piena maturità calcistica per farsi trovare pronto in un campionato con caratteristiche diverse. Prima o poi ritornerà in Italia per godersi il futuro.

Stiamo parlando di Marco Donadel, centrocampista 34enne, che dal 2015 ha intrapreso l’avventura calcistica in Major League Soccer nella squadra canadese del Montréal Impact.
È partito dall’Italia, nonostante le avance dell’Hellas Verona, per provare un’ esperienza diversa con nuovi stimoli e per cimentarsi in una cultura diversa.
La sua ascesa nel calcio che conta è rapidissima: la promozione in Serie A con il Lecce e i trionfi nel 2004 con la maglia della Nazionale Under 21.
In Serie A gli anni più intensi gli ha trascorsi nella Fiorentina, di cui è stato anche capitano.

Come valuti la tua esperienza canadese in Mls?

Sono contento di aver fatto questa scelta perché l’ho fatta al momento opportuno dal punto di vista anche fisico data la caratteristica del campionato. Venire a 31 anni, quando fisicamente ero ancora integro, mi ha dato la possibilità di dare il massimo.

Il calcio americano si è evoluto anche grazie all’arrivo di calciatori europei. Com’è il livello?

Da quando sono venuto qui il calcio è cresciuto molto. Posso confermare che, dalle prime apparizioni nell’ottobre 2014 ad ora, il gioco è migliorato nettamente. Ciò è stato possibile non solo per l’arrivo di calciatori europei ma anche grazie all’attenzione delle società che hanno investito prendendo tecnici preparati e migliorando le strutture sportive. Per questo motivo la gente va allo stadio e ci sono più risorse da investire sui giovani.

Qual è l’obiettivo del Montréal in questa stagione?

Il nostro obiettivo è quello di migliorarci ogni anno. Nelle ultime stagioni abbiamo fatto bene in Concacaf, la Champions League americana. Per quanto riguarda il campionato speriamo di raggiungere nuovamente la finale di Eastern Conference e magari provarla a vincere.

Non sei il primo italiano che è volato in Canada. Di Vaio e Nesta ti hanno consigliato qualcosa?

In realtà mi ha contattato direttamente la società per un periodo di “ambientamento” che prevedeva conoscenza delle strutture e allenamenti. Sono stato due settimane con Marco Di Vaio, che giocava qui. Mi ha parlato molto bene della città e della società.
Durante una cena ho avuto modo di chiacchierare anche con Alessandro Nesta, il quale mi ha evidenziato quanto il calcio fosse diverso da quello europeo ma che comunque regala una forte esperienza.
Tuttavia al di là dei loro consigli, posso ribadire di esser venuto qui per mia scelta.

Ci sono differenze culturali tra Italia e Canada? 

Confermo che ce ne sono anche se Montréal tutto sommato è una città che somiglia molto a quelle europee anche dal punto di vista della vita. La gente si gode il tempo libero: passeggiate, aperitivi e visite per la città.

Con te gioca Matteo Mancosu, il quale si dice “abbia spodestato Drogba”. È davvero successo?

Non c’è stato un vero e proprio spodestamento (ride, ndr). Drogba era all’ultimo anno e la società, nel mercato estivo, ha cercato di acquistare un attaccante che lo avrebbe sostituito non appena fosse andato via. La scelta è ricaduta su Matteo Mancosu.
All’inizio è partito dalla panchina ma si è fatto trovare pronto nella fase a eliminazione. Lucidità e freschezza fisica, oltre a un infortunio a Drogba, hanno fatto sì che Matteo scendesse in campo con più regolarità.
Ciò non toglie il grande contributo che l’attaccante ivoriano durante la sua permanenza ha dato al club e allo spogliatoio.

Qual è il rapporto con i compagni di squadra?

Preferisco scindere il rapporto professionale da quello amichevole. Con tutti i miei compagni di squadra cerco di instaurare un rapporto in primis di rispetto. Il feeling in campo aiuta anche la conoscenza.
Ho la camera con Mancosu e spesso usciamo per la città o giochiamo a carte. Ci si diverte con gli argentini, come Ignacio Piatti, anche per facilità di lingua. Ma tutto sommato ho un buon legame con tutti componenti della rosa.

Qual è stato il tuo idolo calcistico?

Da piccolo, fine anni ‘80 inizio ‘90, sono stato attratto dalla tecnica e dalle reti dei “gemelli del gol” Vialli e Mancini nella Sampdoria. Da quindicenne amavo interpreti come Veron ai tempi del Parma e Rui Costa a Firenze.
In seguito alla mia collocazione fissa a centrocampo, posso certamente dire che il mio idolo è stato l’ex capitano del Manchester United, Roy Keane. L’irlandese ha sempre incarnato il mio prototipo di centrocampista.

Ci sarà possibilità che americani vengano a giocare più spesso in Italia?

Sì, penso che ci saranno americani  in Italia anche grazie a un mercato sempre più globale. L’abnegazione e il lavoro, soprattutto negli allenamenti, permetterà ai giovani americani di migliorarsi e provare quindi un’esperienza nel calcio europeo. Diciamo che ai ragazzi americani manca solamente quella “malizia” che noi italiani impariamo soprattutto da piccoli nei campetti o nei parchi.

Cosa fai nei momenti liberi?

Non ho molto tempo libero a causa degli allentamenti. Nei momenti di relax faccio il papà a tempo pieno. Quando le temperature sono piacevoli io e la mia famiglia cerchiamo di uscire per passeggiate nei parchi, mentre quando ho qualche giorno in più optiamo per visitare altre città americane.

C’è stata qualche situazione particolare al tuo arrivo?

I primi mesi, poiché avevo la mia famiglia ancora in Italia, sono stati un po’ difficili anche a causa delle temperature rigide. Ha nevicato molto e all’inizio, quando guidavo, non ero abituato a fermarmi ben distante dal semaforo e, beh, mi sono spesso ritrovato al centro dell’incrocio! (ride, ndr).

Qual è stato il momento più bello della tua carriera in generale?

Posso ritenermi fortunato perché ho avuto tanti bei momenti nella mia carriera. La prima gioia l’ho vissuta a Lecce quando abbiamo ottenuto la promozione in Serie A. La stagione successiva a Parma abbiamo ottenuto una qualificazione in Coppa Uefa con una squadra di giovani.
Ho un bellissimo ricordo anche con la Nazionale Under 21 dove nel 2004 in pochi mesi abbiamo vinto l’Europeo in Germania e la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene.
Tuttavia gli anni migliori gli ho trascorsi a Firenze dove ho avuto costanza nel giocare e ho trovato tanti amici. Un ricordo indelebile sarà sicuramente legato alla mia ultima partita in maglia viola quando tutto lo stadio Franchi a fine gara mi ha salutato con affetto, quella stessa sera poi è anche nata mia figlia. Un mix di emozioni.
Ora aspetto di vivere qualche bella sensazione anche qui in Canada.

Ti manca l’Italia? Una volta terminata la tua esperienza, cosa farai?

Certo che mi manca: il cibo, la vita, la solarità della gente e tanto altro. Torno due volte all’anno in Italia e credo che prima o poi rientrerò nella mia terra. Sto cercando ancora di imparare tante cose nel mondo calcistico e, se nel futuro ci sarà modo, potrei restare nel mondo del pallone.

Dario Sette