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mondiali di russia 2018

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È tristemente noto che la Russia è molto severa con chi viola le regole legate all’omosessualità. Nessuna propaganda gay è considerata lecita e, di conseguenza, tutti i riferimenti alla cultura LGBT sono banditi dal paese.

Pena l’arresto, per chi decide di sfidare il governo in tal senso.

E anche durante la manifestazione mondiale, che da un mese circa ha attirato per le sue vie persone provenienti da tutto il mondo, niente è cambiato in termini di tolleranza.

Ma c’è chi decide di svincolarsi da questa legislazione discriminativa e camminare apertamente mostrando i colori dell’LGBT. Geniali quanto originali, un gruppo di attivisti ha sfoggiato una bandiera arcobaleno del tutto in tema con il clima calcistico del momento e pertanto non passibile di alcuna accusa.

Ecco come si presenta la cosiddetta “The Hidden Flag”, o bandiera nascosta, con i sei colori dell’arcobaleno LGBT realizzati attraverso le maglie di alcune squadre partecipanti alla rassegna iridata: Spagna, Olanda, Brasile, Messico, Argentina e Colombia.

Un effetto ottico che rimanda immediatamente alla comunità attivista per i diritti sui gay, ma che può circolare per il paese senza subire alcuna condanna.

L’idea è di un’agenzia pubblicitaria spagnola, con l’intento di dare una scossa alla burocrazia russa e indirizzare il paese verso una maggiore tolleranza della diversità.

Ecco come giustificano questa trovata:

Quando Gilbert Baker disegnò la bandiera arcobaleno nel 1978, lo fece per creare un simbolo e un’icona per la comunità Lgbt. Un simbolo, riconoscibile in tutto il mondo, che le persone potessero usare per esprimere il loro orgoglio. Purtroppo, 40 anni dopo, ci sono ancora Paesi in cui l’omosessualità è perseguitata, a volte anche con il carcere, e in cui la bandiera arcobaleno è vietata. La Russia è uno di questi Paesi. Per questo motivo, abbiamo approfittato del fatto che il Paese ospita la Coppa del mondo contemporaneamente al Pride Month, per denunciare questo comportamento e portare la bandiera arcobaleno nelle strade della Russia. Sì, alla luce del sole, di fronte alle autorità russe, alla società russa e al mondo intero, sventoliamo la bandiera con orgoglio

I sei coraggiosi attivisti sono ormai delle celebrità, soprattutto tra le fila dei sostenitori del movimento LGBT. I loro nomi sono Marta Márquez (spagnola), Eric Houter (olandese), Eloi Pierozan Junior (brasiliano), Guillermo León (messicano), Vanesa Paola Ferrario (argentina) e Mateo Fernández Gómez (colombiano).

Che siano tifosi o meno delle nazionali di cui indossano la maglia non è importante. Ciò che conta è che il loro escamotage è di sicuro un ottimo modo per sostenere la propria causa e al contempo promuovere iniziative volte al confronto e all’unione anche tra nazionalità diverse.

I Mondiali di Russia 2018 sono ormai all’atto conclusivo e domenica 15 luglio conosceremo il nome dei nuovi Campioni del Mondo, ma fino ad allora la bandiera LGBT ha il “permesso” di continuare ad aggirarsi per le strade della Russia e diffondere i suoi colori, nella speranza di ottenere da parte del governo un’apertura che al momento è solo un’utopia.

In un pomeriggio del lontano 1998, tre bambini si fanno scattare una foto con la maglia della squadra del cuore. Nonostante la nazionalità belga, il cuore batte per la squadra di Zidane, che ha regalato loro emozioni indescrivibili nei Mondiali di Francia.

Sono gli anni in cui il Belgio non è ancora la grande squadra che conosciamo oggi e che in Russia, nel 2018, ha battuto il Brasile favorito per approdare in semifinale.

Ma quei tre bambini, oggi diventati adulti, si ritrovano nell’imminente sfida tra Belgio e Francia con il cuore diviso a metà, tra i sogni legati all’infanzia e le speranze di vedere la propria nazionale in vetta al mondo.

E la cosa che fa più sorridere è l’identità di questi piccoli protagonisti, che oltre ad essere tutti calciatori, militano anche nella nazionale belga.

Si tratta di Kylian, Torghan ed Eden Hazard, che del calcio hanno fatto il proprio lavoro e giocano nei club del Venlo, del Borussia Mönchengladbach e del Chelsea.

 

Due di loro, Torghan ed Eden, sono parte del team belga che ai Mondiali di Russia 2018 proveranno a riscrivere la storia proprio contro quella squadra che li ha fatti sognare da piccoli.

Il capitano della nazionale belga, Eden Hazard, non può rinnegare il periodo in cui tifava Francia:

Con i miei fratelli, siamo sempre stati più sostenitori della Francia che del Belgio perché siamo cresciuti con la squadra del ’98. All’epoca non c’era la maglia del Belgio, ecco perché indossavamo quella della Francia! Non voglio denigrare la squadra belga del tempo, c’erano giocatori molto bravi. Ma a quel tempo, c’era la Francia

Ma oggi è con la maglia del suo paese di origine che deve fare i conti e mettere da parte, per un attimo, quei bei ricordi per concentrarsi sulla sfida imminente che lo vedrà battersi, faccia a faccia, proprio con gli avversari francesi.

Nonostante il paradosso, che dopo circa 20 anni, mette a confronto Francia e Belgio proprio quando a giocare nella nazionale ci siano i fratelli Hazard, entrambi si batteranno con il cuore.

Il Belgio, a questo punto, mira alla Coppa del Mondo e di certo darà del filo da torcere ad una Francia che al momento è una delle favorite. Comunque vada, però, il rispetto e l’ammirazione per la squadra francese non verrà mai meno durante la partita.

Chissà se Hazard e compagni riusciranno a cambiare le sorti del loro paese e vedere un giorno tre bambini francesi con la maglia del Belgio!

Romelu Lukaku è oggi una stella del panorama calcistico, forte dei suoi 40 gol in 71 partite che lo rendono il più grande goleador del Belgio.

Ma la sua vita non è sempre stata così rosea, costellata solo da successo e fama. Scavando più a fondo esce fuori una verità difficile fatta di povertà e sacrifici che hanno segnato l’infanzia del calciatore e lo hanno reso l’uomo forte e determinato che noi oggi conosciamo.

Lukaku si racconta al The Players’ Tribune e svela i retroscena di una vita che hanno condizionato le sue scelte e lo hanno portato a cambiare il suo destino.

All’età di sei anni ho visto mia mamma piangere mentre mescolava il latte con l’acqua per farlo durare di più. In quel momento ho capito che avevamo toccato il fondo

Fino ad allora, nonostante l’età, Lukaku bambino sapeva che in casa le cose non andavano bene e si faceva fatica ad andare avanti, come dimostrano i pranzi fatti di solo pane e latte o la mancanza di elettricità. Da un giorno all’altro, poi, non gli fu più possibile nemmeno guardare le partite di calcio alle quali teneva moltissimo.

Ma scorgere sua mamma mentre allungava il latte per la sua famiglia è stato il momento esatto che ha fatto scattare qualcosa nella mente di un bambino che a soli 6 anni ha capito che doveva fare qualcosa. Fu così che con determinazione promise alla sua mamma:

Mamma, tutto questo cambierà. Giocherò a calcio con l’Anderlecht e accadrà presto. Staremo bene e non dovrai più preoccuparti

E non furono solo parole le sue, perché da allora tutte le energie e la concentrazione del giocatore belga furono rivolte a questo, fino ad ottenere il suo primo contratto esattamente dieci anni dopo. E da quel momento cominciò la sua ascesa, i suoi gol e quell’inversione di rotta del suo stesso destino, che solo con la determinazione di chi non ha più nulla da perdere ha potuto dare una svolta alla sua vita e a quella della sua famiglia.

In campo con la nazionale belga Lukaku continua a farsi notare, regalando gioie ed emozioni alla sua squadra e soprattutto a se stesso. Ancora oggi, ripensando al suo passato, ricorda ciò che lo ha spinto a fare sempre meglio e a diventare “qualcuno” nel suo sport:

Volevo essere il miglior calciatore della storia del Belgio. Non bravo, nemmeno bravissimo. Il migliore. Giocavo arrabbiato a causa di tante cose. Per I topi nel nostro appartamento, perché non potevo guardare la Champions League, per il modo in cui i genitori degli altri mi guardavano…

In corsa per vincere la Coppa del Mondo, Lukaku può affermare di esserci riuscito e di certo la stima dei suoi connazionali (e non solo!) lo rende ancora più orgoglioso della strada fatta e degli obiettivi raggiunti.

Chi dice che la “maledizione dei Mondiali” che colpisce le nazionali vincitrici sia solo una leggenda deve fare i conti con i dati evidenti che si registrano dal passato ad oggi.

Lo sa bene la Germania, che con rimpianti e delusione, è costretta a lasciare la Russia prima del previsto dopo essere stata battuta dalla Corea del Sud ed essere arrivata ultima nel suo gruppo.

Ancora una volta chi solleva la Coppa del mondo nella rassegna iridata precedente deve salutare il Mondiale prima del previsto perché non riesce a superare la fase a gironi. Una vera e propria maledizione che si ripete di volta in volta. La nazionale tedesca è l’ennesima squadra che deve fare i conti con questo triste mito.

Brasile a parte, che nel nuovo millennio misteriosamente sembra immune a questa infausta tradizione, a partire dal 2000 sono la Francia, l’Italia e la Spagna ad aver sfidato la sorte e esserne uscite sconfitte.

Nel 2002 sono i francesi campioni dei Mondiali 1998 a non passare il turno, poi nel 2010 tocca all’Italia, che reduce dal trionfo del 2006, saluta il Sud Africa prima del previsto. Infine, arriva il turno della Spagna, che non riesce a sfuggire alla maledizione dei Mondiali nel 2014.

Ma per la nazionale di Löw l’avventura in Russia si è conclusa nel peggiore dei modi, non solo per l’eliminazione ai gironi, ma anche perché suo malgrado ha conquistato un primato che non si vedeva da decenni.

Dal 1954 al 2014 la Germania è sempre riuscita a qualificarsi, facendosi largo tra le sue avversarie e arrivando almeno ai quarti di finale. Il 2018, però, è l’anno delle sorprese e ha interrotto quel ciclo fortunato che andava avanti da anni e anni.

Sarà finita? Sembra di no, perché si conferma protagonista anche di un’altra consuetudine che da tempo caratterizza i Mondiali di calcio. Si tratta della maledizione del gruppo F, che pare non sia favorevole alla vittoria finale. Nel tempo, coloro che si sono ritrovati inseriti in questa parte del tabellone, non sono mai riusciti a vincere il titolo mondiale. Ne sanno qualcosa l’Inghilterra (1986-1990), l’Olanda (1994), il Brasile (2006), l’Italia (2010), l’Argentina (2014) e gli stessi tedeschi nel 1998.

Se poi vogliamo aggiungere la maledizione della Confederations Cup il quadro è completo: chi vince il titolo di certo non solleva la Coppa del Mondo. Lo dice la storia, vissuta sulla pelle di chi ha creduto di poter sfatare questo mito e si è ritrovato escluso dalle fasi finali del mondiale. Indovinate chi ha vinto l’ultima edizione contro il Cile?

Coincidenze o no, la Germania si ritrova in ognuna di queste situazioni e, confermandosi anche tra quelle nazionali campioni che hanno fallito nella partita d’esordio, chiude questa esperienza a testa bassa ma con tanti spunti di riflessione che dovranno servire per rimettere in piedi una nazionale più forte e più combattiva almeno per le prossime competizioni.

Intorno a Mosca, capitale dei Mondiali di calcio 2018, si intrecciano le storie di tifosi provenienti da tutto il mondo. Ci sono le commoventi immagini di chi ha sognato fino alla fine di vedere la propria squadra in vetta al mondo per la prima volta, e poi quelle di chi, pur di essere presenti alla rassegna iridata, ha deciso di partire anche con il trattore.

Ma ci sono anche quelle storie curiose capaci di strappare un sorriso, come quella di Javier e dei suoi amici messicani, che passeggiano per le vie centrali della capitale moscovita con la sagoma del loro amico rimasto a casa.

Perché Javier voleva proprio esserci in Russia a sostenere la sua nazionale e progettava questo momento da ben 4 anni, immaginando nei dettagli anche come sarebbero arrivati a destinazione: a bordo di un camioncino. Proprio alla fine, però, la sua partenza viene annullata. Non è un problema di salute a trattenerlo, né un problema familiare bensì… la moglie, che categoricamente gli vieta di partire!

Il povero messicano è stato dunque costretto a rinunciare a quel sogno tanto importante e vedere partire i suoi amici senza di lui. Sarebbe quasi una storia triste se non fosse per quella sagoma che in Russia è ormai diventata una celebrità e raffigura proprio lo sfortunato Javier.

Gli amici non volevano tifare Messico senza di lui e hanno realizzato una sagoma cartonata con la sua immagine che li segue ovunque. Dopo la vittoria della nazionale contro la Germania il finto Javier ha acquistato ancora più popolarità e tutti vogliono una foto con lui.

Mia moglie non mi ha lasciato andare

Ecco le parole che non passano inosservate in chi si imbatte nei tifosi messicani e nella curiosa sagoma, che porta proprio una maglietta con questa scritta che attira l’attenzione e suscita ilarità.

Beve birra, indossa il sombrero e si fa pure immortalare coi turisti: la sagoma di Javier si sta “godendo il viaggio” proprio come avrebbe dovuto fare il suo alter ego, che però non ha ancora perso la speranza di partecipare attivamente a questa spedizione. Pare stia ancora provando a convincere la moglie a lasciarlo andare e chissà che non riesca nel suo intento.

In fondo, se il Messico battendo i campioni del mondo è riuscito a far tremare la terra, magari nella partita in programma contro la Svezia riesce anche a strappare quel sì in casa di Javier e permettere all’uomo di vivere il suo sogno.

Essam El-Hadary, portiere egiziano, ha sperato fino alla fine di siglare il suo record personale ai Mondiali di Russia 2018.

Dopo due partite trascorse in panchina ecco finalmente arrivare la chiamata da parte di Hector Cuper, ct della nazionale egiziana, che lo mette in porta a difendere la squadra contro l’Arabia Saudita.

Ed è in quel preciso momento che ufficialmente il portiere diventa il giocatore più anziano che abbia mai giocato in un mondiale. Il record è suo: all’età di 45 anni e 161 giorni chiude la sua avventura ai Mondiali conquistando un posto nella storia di Russia 2018.

E non basta dire che ha registrato il record di giocatore più anziano. Essam El-Hadary è riuscito a portare a termine per bene il suo compito, riuscendo anche a parare un rigore alla squadra avversaria.

Con la sua performance nella partita contro l’Arabia Saudita ha superato quel record finora detenuto dal portiere colombiano Faryd Mondragon, che nel 2014 ha giocato all’età di 43 anni.

La sua lunga carriera, cominciata nel 1993, è giunta al culmine in questa esperienza ai Mondiali di calcio 2018, che si chiudono definitivamente per la sua nazionale, ma che lasciano un’impronta importante nel suo palmares, regalandogli almeno la soddisfazione di aver lasciato un segno.

Poco importa se l’Egitto è fuori: l’ultima partita non sarà servita a conquistare il passaggio turno e nemmeno a sfuggire dall’ultimo posto nel proprio girone, ma ha dato la possibilità al portiere egiziano di realizzare un sogno che poteva rimanere tale se il suo allenatore lo avesse lasciato in panchina anche stavolta.

Ma Cuper lo sapeva e ha scelto di regalare al capitano e portiere della sua squadra questa grande possibilità per dare un senso più profondo ad una partita che non lasciava più alcuno sbocco alla sua nazionale.

E così è stato: Essam El-Hadary, che agli albori della sua carriera amava giocare a mani nude, è da record e avrà per sempre un suo posto all’interno degli annali della storia dei Mondiali.

Ad un passo dall’eliminazione, ci pensa lui, Toni Kroos a salvare la sua nazionale da un’uscita clamorosa dai Mondiali di Russia 2018.

Un gol al 95esimo e tutta la Germania può festeggiare di avere ancora una possibilità per poter sognare di sollevare ancora una volta la Coppa del Mondo.

Nella partita che la Germania ha giocato contro la Svezia si è davvero temuto il peggio. Fino agli ultimi minuti di gara quel pareggio segnava la fine dell’avventura mondiale per i campioni del mondo in carica. Ma proprio ad un soffio dal triplice fischio arriva il miracolo che prende il nome di Toni Kroos.

La sua rete ha regalato nuove speranze a tutta la Germania e lo ha eletto eroe della partita.

Ma chi è Toni Kroos?

Conoscere da vicino il calciatore significa anche rispolverare i libri di storia fino alla caduta del muro di Berlino, perché è proprio quello il periodo in cui nasce il centrocampista tedesco.

Siamo nel 4 gennaio 1990 nella cittadina di Greifswald, appena 9 mesi prima della riunificazione. Ed è per questo che c’è chi lo ha definito “l’ultimo figlio della Germania est”. Appassionato di calcio sin da piccolo, si era già fatto notare soprattutto nel 2014, quando insieme alla sua squadra, conquistò il titolo nei Mondiali giocati in Brasile.

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Ed è allora che è stato battezzato il primo e ultimo figlio dell’est ad aver vinto una competizione mondiale. Adesso, a distanza di quattro anni, si torna a parlare di lui con orgoglio e ammirazione, per aver riportato in corsa la sua nazionale da un’esclusione che sembrava ormai sicura.

Toni Kroos si gode, dunque, il suo momento di gloria e sono queste le sue parole alla fine di una partita al cardiopalma:

A molte persone sarebbe piaciuto se oggi fossimo usciti, ma non è così facile. Il primo tempo non è stato positivo ma poi devi avere gli attributi per giocare la ripresa in quel modo. Ora dobbiamo riposarci, battere la Corea del Sud e giocare in modo convincente

Adesso il calciatore e tutta la Germania devono affrontare l’ultima grande sfida. Sarà vero che le vincitrici dell’anno precedente registrano quasi sempre dei flop nella competizione successiva? I tedeschi hanno tutto l’interesse a dimostrare che il destino si può anche cambiare.

Toni Kroos, capace di cambiare le sorti della nazionale tedesca quando ormai non ci credeva più nessuno, ne è convinto: vincere è ancora possibile e l’ultimo figlio dell’est non ha intenzione di passare il testimone così facilmente e porta la Germania in cerca del suo quinto titolo mondiale.

In seguito alla partita tra Serbia e Svizzera, non è soltanto il risultato a creare agitazione e confusione tra le due squadre, ma soprattutto quel gesto di esultanza che due calciatori svizzeri hanno sfoggiato in maniera eclatante dopo i due rispettivi gol.

Si tratta di Xhaka e Shaqiri, entrambi originari del Kosovo, che dopo le loro reti hanno mimato le aquile, simbolo della bandiera albanese.

Ed è proprio quel particolare modo di festeggiare che non è piaciuto affatto ai serbi e che ora è al centro di accese polemiche che coinvolgono anche la Fifa, chiamata in causa per valutare se sanzionare o meno i giocatori.

Ma per capire bene le motivazioni che hanno spinto i due giocatori ad entrare nell’occhio del ciclone bisogna guardare indietro alle loro storie personali, che sono inevitabilmente influenzate dalla repressione serba subita durante la guerra jugoslava.

Xhaka, il cui padre rimase in carcere per ben tre anni per aver partecipato a dimostrazioni contro il governo jugoslavo, conserva nel cuore le sue radici kosoviane nonostante poi sia nato effettivamente in Svizzera.

Shaqiri, invece, è nato proprio in Kosovo, ma durante il conflitto fu costretto a emigrare con la sua famiglia nel territorio svizzero.

Entrambi sentono ancora forte l’attaccamento con la patria e, in occasione del match contro la Serbia, questo sentimento si è fatto ancora più vivo e ha portato a quell’esplosione di gioia con tanto di riferimenti politici in campo.

Politica e sport si intrecciano in modo clamoroso, dando luogo a polemiche e accuse che di certo avranno delle ripercussioni sui due giocatori.

Il motivo a livello politico è evidente: il Kosovo è un paese ormai indipendente dal 2008, ma né la Serbia né la Russia lo riconoscono come tale. I nazionalisti albanesi mimano con l’uso delle mani l’aquila bicipite, simbolo della propria nazione, ed è proprio questo gesto che Xhaka e Shaqiri devono spiegare adesso alla Fifa e alla Serbia, che li contesta aspramente per la provocazione.

Da una parte, si schiera a difesa dei due giocatori il loro capitano Stefan Lichtsteiner che afferma:

Xhaka e Shaqiri hanno fatto bene. I serbi ci stavano provocando da giorni e poi credo che le botte si danno e si prendono, e loro non sono angeli. Per me va bene. C’è stata una guerra durissima per molti genitori dei nostri giocatori. C’erano pressioni e provocazioni, quindi per me va tutto bene

Dall’altra, però, arrivano le risposte di chi non ha apprezzato il gesto, come il ct Petković  che dice:

È chiaro che nel momento del gol un calciatore senta emozioni particolari. Però credo che tutti noi dobbiamo lasciare fuori la politica dal calcio

E le parole di Mitrović , attaccante della nazionale serba, che chiede a gran voce:

Se sono tanto patrioti perché non giocano per i loro paesi invece che per la Svizzera?

Insomma, era chiaro che la partita tra Serbia e Svizzera avrebbe scatenato non poche rivalità e non solo in campo, ma adesso tocca alla Fifa stabilire se il comportamento dei due giocatori sia da considerare sanzionabile ai fini di una sportività che non deve in alcun modo avere riferimenti politici.

E i due calciatori come giustificano il loro gesto? Nessuno dei due sembra volere esprimere apertamente la propria opinione e finora si sono limitati a dire che la loro esultanza è stata causata dall’emozione e dalla gioia.

Ma nel frattempo si continua a discutere sul loro comportamento e anche sulle scarpe indossate in campo da Shaqiri che, sfoggiando da una parte la bandiera svizzera e dall’altra quella del Kosovo, sembrano avere più significato di molte parole.

Anche se i Mondiali di Russia 2018 sono ancora nella prima fase, regalano già sorprese interessanti e record che entrano negli annali di storia.

Se da una parte abbiamo Ronaldo che entra nella leggenda per il numero di reti, dall’altro abbiamo Yussuf Yurary Poulsen, giocatore danese, capace di provocare ben due rigori nelle due partite finora giocate dalla sua squadra.

Il primo episodio è legato al match Danimarca-Perù: qui in area di rigore regala a Cueva la possibilità di portarsi in vantaggio alla fine del primo tempo nella partita d’esordio per entrambe le nazionali. Il Perù sbaglia e Poulsen se la cava con una ramanzina.

Il secondo episodio, invece, avviene nella partita successiva, quando la nazionale danese si scontra con l’Australia. Stavolta il fallo di mano concede una chance di pareggiare all’avversaria, che non sbaglia il colpo e segna quella rete che poi ha determinato la parità a fine partita.

Risultato? Poulsen, che nel prossimo match in programma contro la Francia non sarà in campo, raggiunge un record che non veniva sfiorato dal lontano 1966, durante i Mondiali di Inghilterra. Da allora non era più capitato che uno stesso giocatore fosse capace di commettere più falli di rigore nella stessa edizione di Coppa del Mondo.

Ma è soprattutto un fattore che ha giocato a sfavore del giocatore danese e si chiama Var. I mondiali di calcio del 2018 hanno portato con sé questa grande innovazione tecnologica che permette di analizzare tutto quello che succede in campo nei dettagli.

Non sono, dunque, sfuggiti nemmeno i due falli di Poulsen in area di rigore e il calciatore deve fare i conti con la sua modalità di gioco che probabilmente richiede qualche revisione.

Avrà tempo di riflettere durante la pausa che lo vedrà in panchina per l’ultima partita di qualificazione e, in caso di passaggio turno, potrà farsi perdonare nei match successivi e regalare nuovamente emozioni come quando ha segnato il gol decisivo contro la nazionale peruviana.

In attesa di vedere giocare l’Islanda contro la Nigeria nella partita in programma giorno 22 giugno alle ore 17 (ore italiana), conosciamo più da vicino i vichinghi che hanno già affascinato il mondo con il loro piccolo paese delle terre del nord.

Forse non tutti sanno che, data la dimensione ridotta dell’Islanda, all’interno del suo territorio non solo si conoscono tutti, ma la maggior parte dei suoi abitanti è imparentata. La cosa bizzarra è che non sempre sono consapevoli di questo legame genetico e si corre il rischio di simpatizzare amorevolmente col proprio cugino!

Ma gli islandesi, popolo originale e di certo ricco di inventiva, ha deciso di arginare questo problema con una soluzione che già da qualche anno aiuta le coppie a trovare l’anima gemella tra quelle poche persone che non rientrano nella parentela.

Si tratta di un’app per smartphone, che fornisce un valido aiuto nella conoscenza della persona che si ha di fronte.

In che modo?

Pare proprio che sia uno di quei congegni tecnologici capaci di scannerizzare geneticamente le persone per essere in grado di dire se ci sono geni in comune o meno.

Il suo nome è Islendinga e nasce dal genio di tre programmatori del luogo, che con questa applicazione riescono ad estrapolare la genealogia direttamente dal registro dell’anagrafe, in possesso anche di dati antichissimi.

Attraverso un servizio aggiuntivo di comparazione dati il gioco è fatto: in pochi attimi è possibile sapere tutto il necessario su chi si ha di fronte e capire se ci sono i presupposti per iniziare una relazione o meno.

L’operazione può essere svolta anche da un solo utente senza che l’altro ne sia a conoscenza, ma viene soprattutto usata nella sua modalità “anti-incesto”.

Gli informatici a cui si deve l’idea hanno infatti elaborato una funzione aggiuntiva per rendere più facile la vita sociale agli islandesi, inserendo nell’app una comparazione particolare che avviene incrociando due telefoni per avviare la modalità Bump. Solo così è possibile sapere subito se indirizzare la propria attenzione altrove o approfondire la conoscenza.

Bump in the app before you bump in the bed…dicono gli islandesi, e in un paese con 320.000 abitanti le precauzioni non sono mai troppe per evitare di ritrovarsi coinvolti in situazioni incestuose o imbarazzanti coi propri familiari!