Le partite si autoregolamentano senza arbitri, al secondo grave fallo scatta la sconfitta a tavolino e non si può giocare con le scarpe da calcio, ma va benissimo anche scalzi. Con questo spirito a Riace, dal 5 al 7 luglio si sono giocati i Mondiali Antirazzisti, promossi dalla Uisp e giunti alla ventitreesima edizione. Esistono poche regole perché, sin dall’origine della manifestazione, si gioca per combattere il razzismo, il sessismo e in generale qualsiasi forma di discriminazione verso i soggetti più vulnerabili. Per questo motivo nei vari tornei che hanno visto calcio, basket, beach rugby, l’obiettivo era quello di trovare forme di gioco per permettere a persone molto diverse tra loro per provenienza, competenza e interessi di giocare insieme.
Per la prima volta si è giocato in Calabria, nella Riace dopo le elezioni che hanno consegnato la vittoria alla lista a trazione leghista, guidata dall’attuale sindaco Antonio Trifoli. E il piccolo paesino della Locride, quanto meno per tre giorni, da venerdì 5 a domenica 7 luglio, è tornato il borgo dell’accoglienza, in barba alla circolare del ministero che nell’ottobre scorso ha cancellato tutti progetti Sprar, salvo poi essere annullata dal Tar. Dall’Europa in Calabria sono centinaia i supporter organizzati arrivati; sessanta squadre, donne ed uomini, inglesi, tedeschi, mediterranei, africani, neri e bianchi si sono sfidati in omaggio alla multiculturalità. E all’abbattimento di barriere: per questo è stata prevista la figura del “vagante”, una persona che, per disabilità fisica o motoria, oppure per precoce età, non è del tutto consapevole delle dinamiche del gioco e può giocare per una squadra senza essere contata nel numero dei giocatori.
Nella prima serata della manifestazione, in un camping, fuori dal territorio riacese banditogli dall’autorità giudiziaria, Mimmo Lucano ha accolto i partecipanti e ha ripercorso con loro gli ultimi mes. A sostegno del torneo, come da sempre, anche la rete Fare che combatte le diseguaglianze e le discriminazioni nel football: «Ricordare le storie dei singoli che hanno lottato per sfuggire da situazioni drammatiche dei propri paesi d’origine, o semplicemente per poter migliorare la propria condizione personale attraverso lo studio e il lavoro».
E’ un gruppo eterogeneo che ha lavorato, sudato e si è divertito nell’omogeneità; alcuni provenienti da brevi esperienze nelle società del calcio dilettantistico italiano, altri indossavano le maglie di radicate polisportive ed improvvisate comitive, molte delle quali dei quartieri dei centri urbani meridionali: Catanzaro Social Team, Scampia Antirazzista, Spartak Lecce, Cosenza Mmishkata, Villa San Giovanni Meticcia. Sui loro gadget e slogan di tutta la manifestazione, un vecchio slogan: «Al pallone non importa da chi è calciato».
Fonte: il manifesto