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Vanessa Ferrari è tornata. La ginnasta azzurra, riemersa da un buco nero lungo 500 giorni in cui era sprofondata per colpa di un infortunio al tendine d’Achille, ha confezionato un’impresa straordinaria tornando a vincere una competizione internazionale. Dopo quasi due anni di assenza dalla pedana, il caporal maggiore dell’Esercito italiano ha trionfato nella sua disciplina preferita, la specialità di punta, sul quadrato centrale della World Cup di Melbourne, prima Coppa del Mondo del 2019 valida per la qualificazione all’Olimpiade di Tokyo del 2020 (le altre in programma quest’anno saranno a Baku e a Doha).

Con 13.600 punti la 28enne di Orzinuovi ha sbaragliato la concorrenza mettendosi in tasca i primi preziosissimi punti per staccare il biglietto dei Giochi nipponici. E nel caso in cui ci riuscisse sarebbe l’unica ginnasta italiana della storia ad aver conquistato quattro pass a cinque cerchi, staccando Monica Bergamelli e Miranda Cicognani. Sul secondo gradino del podio australiano è salita la portoricana Paula Mejias con 12.533 punti, mentre la medaglia di bronzo è andata alla cinese Shiting Zhao, con il punteggio di 12.266.

 

Rientrata sulle scene dopo il crac al tendine d’Achille dell’ottobre 2017, la Ferrari ha dimostrato per l’ennesima volta di essere più forte delle avversità e delle disgrazie, che nel corso della sua carriera hanno assunto le forme di infortuni gravi. Oppure di ingiustizie indelebili. Come quella volta alle Olimpiadi di Londra del 2012, quando ottenne un quarto posto ‘beffa’ nella finale di ginnastica: l’azzurra aveva sì chiuso quarta, ma con lo stesso punteggio della terza, la russa Aliya Mustafina, a cui però i giudici diedero la medaglia di bronzo per via di un cavillo regolamentare (prevale l’atleta che compie un’esecuzione migliore, rispetto a chi porta un coefficiente di difficoltà maggiore).

«Mi hanno rubato il bronzo», disse lei senza sapere che la sua rivincita era dietro l’angolo. In fin dei conti, quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. E Vanessa, soprannominata “la farfalla di Orzinuovi”, due anni dopo si è rifatta vincendo a Tokyo il primo oro in Coppa del Mondo, nella stessa arena dove si erano disputati i Mondiali 2011 e dove, a dispetto di uno stato di forma eccezionale, aveva dovuto alzare bandiera bianca all’ultimo a causa dell’ennesimo infortunio.

 

Ecco perché la vittoria di adesso non è casuale: Vanessa aveva scelto Melbourne per il suo ritorno in pedana dopo il crac dei Mondiali 2017 e proprio in Australia è arrivata la sua resurrezione. L’atleta bresciana ha dominato una finale senza storia, tornando sul gradino più alto del podio in una manifestazione internazionale dopo addirittura cinque stagioni (l’ultima volta era stata agli Europei 2014 quando trovò l’oro proprio nella specialità prediletta). E non poteva scegliere momento migliore per rinascere, dato che questo evento assegnava punti preziosi per la qualificazione ai giochi olimpici di Tokyo 2020. Sarebbe la sua quarta Olimpiade.

Si è dovuta arrendere alla numero 4 del mondo nonché sua connazionale, Elina Svitolina, per rompere l’incantesimo agli Australian Open. Si tratta della quindicenne Marta Kostyuk, la prima tennista del 2002 a giocare un terzo turno in un torneo del Grande Slam.

Nata a Kiev il 28 giugno 2002, la giovanissima Marta è riuscita a giocarsi un posto per gli Ottavi di finale dopo aver battuto atlete molto più forti e blasonate di lei come la cinese Peng Shuai (n° 25 del tabellone) e la ceca Barbora Krejcikova (n° 13 del tabellone).

Nonostante la sconfitta però, la giovanissima Kostyuk ha un gran futuro davanti a sé, tant’è che si parla di baby fenomeno.

L’anno scorso proprio sul terreno di Melbourne ha vinto il torneo a livello Juniores. Qualche mese più tardi ha trionfato anche agli Us Open nel doppio, oltre a parecchi tornei sempre prestigiosi.

Poco più che adolescente, la giovanissima Marta Kostyuk ha cercato di cogliere tutto il meglio che un torneo come quello australiano ha saputo offrirle. Ha acquisito più consapevolezza dei mezzi oltre che un pizzico di esperienza e malizia che nello sport non guasta.

La Kostyuk gioca a tennis da piccolina e lo ha fatto per stare più vicina alla madre (anche lei tennista) la quale lavorava moltissimo.

Mia madre lavorava molto quando ero piccola, non ricordo bene, ma mi disse che avrei dovuto giocare a tennis per vederla di più.
Ho altre due sorelle, una più grande e una più piccola. Era il periodo in cui mia madre lavorava di più, non la vedevo molto ma io volevo stare con lei, perciò ho iniziato ad allenarmi. In estate stavo in campo dalle 8 del mattino alle 20 di sera, dall’età di 4 o 5 anni.

Ha anche confessato che il tennis non l’è mai realmente piaciuto, ma che tutto sommato è sempre stata brava.

Ora si sente soddisfatta di essere entrata tra le professioniste, perché per lei il lavoro è importante.

Prima di Marta Kostyuk anche altre tenniste adolescenti si sono trovate catapultate in un torneo del Grande Slam.

È stata la più giovane al terzo turno di uno Slam dal 1997, dalla prima storica semifinale di Mirjana Lucic, allora non ancora coniugata Baroni, allo Us Open. Ma Kosyuk non è una quindicenne come le altre, e ai primati lei non ci pensa.  Inoltre con questo piccolo exploit la giovane ucraina entrerà tra le 250 del WTA femminile (prima di Melbourne era partita come 520esima).

Tuttavia il record di precocità lo detiene l’ex tennista svizzera Martina Hingis, la quale nel 1997 a soli 16 anni e 4 mesi riuscì a vincere un torneo del Grande Slam, proprio gli Open di Australia. In quello stesso anno riuscì ad arrivare in finale anche negli altri tre torni del circuito del Grande Slam, perdendo solo a Parigi al Roland Garros. Record quasi imbattibile.

Comunque quando Martina Hingis trionfava a Melbourne, Marta Kostyuk aveva solo 4 anni e mezzo. 

Siamo alla prima giornata del campionato australiano di calcio e, come spesso accade negli ultimi anni, ci sono alcuni giocatori italiani che ne prenderanno parte.

Tra questi c’è il centrocampista centrale Iacopo La Rocca, oramai trapiantato in Australia da 5 anni.

Durante l’esperienza oceanica il calciatore romano classe 1984 ha avuto modo di indossare tre maglie diverse di squadre militanti in A-League.

Ques’estate si trasferito nella capitale e giocherà per i Melbourne City, ma ha avuto modo di essere protagonista ad Adelalaide e a Sydney.

Come procede la permanenza in Australia? Come pensi che vada questa nuova stagione?

Quest’anno dobbiamo puntare a fare bene, abbiamo le potenzialità per essere davanti ma bisogna partire col piede giusto.
In Australia ho trovato una seconda casa. Ho ottenuto la cittadinanza e mia figlia è nata qui. Con mia moglie ci troviamo benissimo , peccato per la troppa distanza dall’Italia, da parenti e amici.

Com’è stato vincere il campionato australiano ad Adelaide, dove un altro italiano (Del Piero) non c’è riuscito?

Del Piero non ha avuto modo di vincere il campionato, ma la sua presenza ha portato un cambiamento radicale al calcio australiano, lui non è solo una leggenda per noi italiani ma in tutto il mondo.
Per me vincere il campionato è stato incredibile, un’atmosfera unica con lo stadio pieno. Per me, inoltre, c’è stata doppia soddisfazione perché abbiamo battuto la mia ex squadra, i Western Sydney.

Hai avuto modo di vincere anche la Champions Asiatica e poi partecipare anche al Mondiale per club, dove ha segnato il terzo gol di un italiano nel torneo, dopo Inzaghi e Nesta. Cos’hai provato?

Vincere la Champions League Asiatica con il Western Sydney Wanderers è stato qualcosa di inaspettato. In Australia nessuna squadra c’era mai riuscito. È stata una bella impresa soprattutto contro i colossi economici cinesi con budget illimitati. Partecipare poi al Mondiale per club in Marocco è stata una bella soddisfazione. Peccato aver perso ai tempi supplementari contro il Cruz Azul su un campo impraticabile.
Ho saputo solo dopo di essere insieme a Nesta ed Inzaghi tra gli unici italiani ad aver segnato in questa competizione due grandissimi campioni. Per me che sono romano e tifoso della Lazio, avere qualcosa che mi associa a Nesta mi rende molto orgoglioso.

Nel 2014 hai ottenuto anche il Joe Marston Medal.

Il Joe Marsten medal è una medaglia che assegnano al miglior giocatore della finale, è un importante riconoscimento ma avrei preferito senza dubbio vincere la finalissima, peccato aver perso ai tempi supplementari.

Come mai ha preso un aereo per l’Australia? Lo rifaresti?

Avevo un’offerta in Svizzera e in campionati dove non ero molto affascinato e convinto della proposta; poi il mio procuratore mi ha parlato di una squadra in Australia. Ci ho pensato, ma l’idea di andare a vivere in una delle città più belle del mondo Sydney, conoscere un nuovo Paese e una cultura differente mi ha convinto. Tuttavia è una scelta che rifarei, c’è meno stress rispetto alla Serie C italiana, dove se perdi un match sei subito contestato.

Hai avuto modo di giocare anche in Svizzera. Com’è andata?

La Svizzera è una nazione tranquilla molto simile all’Australia. Gli stadi sono bellissimi e ho un bel ricordo: la promozione nella serie A con il Bellinzona e l’aver giocato con Il Grassoppher, la squadra più titolata e una delle più forti elvetiche.

Sei cresciuto nella Lazio, senza mai esordire. Hai qualche rimpianto?

Ho giocato per 9 anni nelle giovanili dei biancocelesti  e non nascondo che certo mi sarebbe piaciuto giocare con la prima squadra.  La Lazio è la squadra per la quale faccio il tifo da bambino, ma sono comunque soddisfatto di quello che ho ottenuto e non ho nessun rimpianto.

Quando non ha gli allenamenti come trascorri il tempo libero?

Il tempo libero lo passo con mia moglie e mia figlia di 20 mesi. dedico il mio tempo alla mia famiglia. Siamo fortunati perché abitiamo vicino al mare e quindi ci concentriamo su ciò che è meglio per la piccola.

Dario Sette

Una rivoluzione total-pink tra calcio e Formula 1. Dalle divise del Palermo (storico club legato al rosa e al nero) alla…Force India. Se vi è sfuggito il cambio radicale di colore durante la presentazione della monoposto indiana a inizio stagione, sicuramente non è passato inosservato il notevole colpo d’occhio durante il primo Gp di Melbourne vinto da Vettel e dalla Ferrari.
Nel giorno del trionfo della rossa, a spiccare è anche il rosa! Per ragioni di sponsor, infatti, la livrea 2017 della Sahara Force India è totalmente rosa, abbandonando la precedente veste nera alternata tra verde, arancione, bianco e sfumature d’argento.

Curioso, colore non banale e insolito. Tra sportivi, ovviamente, ci si intende, così, a partire dal 14 marzo è nata un’amicizia tutta “social” tra la scuderia dell’imprenditore e politico Vijay Mallya e la squadra di Serie A del nuovo presidente Paul Baccaglini. Il tutto, come detto, è iniziato su Twitter, così:

Il Palermo, ovviamente, ammaliato risponde: «Complimenti per la scelta, che splendidi colori!»Scocca un simpatico e inatteso gemellaggio tra Sicilia e India. La storia diverte e diventa virale così tifosi e appassionati attendono nuovi gesti d’affetto.
Uno arriva già il giorno dopo, il 15 marzo. Il Palermo decide di fare un regalo, mostrando questo video. Il macedone Ilija Nestorovski, piacevole sorpresa di questa stagione travagliata all’ombra del Barbera, mostra l’esultanza al suo prossimo gol:

Sale l’attesa, ma il Palermo cade rovinosamente a Udine, travolto 4-1 dall’Udinese (va a segno Sallai). C’è di mezzo, poi, la pausa delle Nazionali: insomma, è tutto rimandato chissà quando.
In realtà venerdì 24 marzo, mentre l’Italia di Ventura proprio a Palermo vince 2-0 sull’Albania, a Vaduz si gioca Liechtenstein-Macedonia e il bomber rosanero va in rete due volte. E mantiene la promessa per la gioia della scuderia di Formula 1 che esulta assieme:

Arriviamo al Gran Premio di Formula 1 in Australia, come detto, il primo della stagione. Se in Italia si celebra il trionfo di Sebastian Vettel e il quarto posto di Kimi Raikkonen alla guida della Ferrari, dopo la neonata amicizia, qualche curioso e appassionato è andato a sbirciare la classifica per vedere in che zona si è piazzata la Force India: Sergio Perez ha termina in settima posizione, mentre Esteban Ocon, decimo.
Un buon inizio a cui seguono i complimenti del Palermo che annuncia a tutti gli appassionati una curiosa sorpresa durante la giornata: nel box della scuderia indiana arrivano due maglie del Palermo con tanto di nomi dei piloti che si sono improvvisati calciatori palleggiando qua e là:

Adesso, dopo i complimenti e i messaggi di stima, rimane una domanda: continuerà il gemellaggio tutto social tra Palermo e Force India? Vedremo…

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin