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Di questo Mondiale francese ancora non si conosce la Nazionale vincitrice tra Stati Uniti e Olanda, ma, augurandoci che non sia solo retorica figlia dello slancio emotivo, l’Italia può abbracciare e lodare le sue giocatrici che, seppur uscite ai quarti, hanno vinto la loro battaglia: avere un paese unito per tifarle. Anzi, finalmente, per prenderle in considerazione.

Le Azzurre, nella mattinata di giovedì 4 luglio, sono state accolte al Quirinale, invitate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Presenti una decina di giocatrici, accompagnate dal numero uno del Coni Giovanni Malagò e dal presidente federale Gabriele Gravina, oltre ovviamente alla capitana Sara Gama e alla ct Milena Bertolini che ha detto:

Essere qui è un motivo di orgoglio perché di solito sono ricevuti al Quirinale le squadre o gli atleti che hanno vinto qualcosa: noi non abbiamo vinto, ma abbiamo fatto qualcosa di importante. E questo è un motivo di grande orgoglio

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Il Capo di Stato ha sottolineato quanto sia stata importante quest’esperienza per tutto il nostro paese, visto che hanno rappresentato “un esempio di correttezza” e hanno fatto sì che tante bambine, liberandosi dai pregiudizi possano scegliere il calcio, consapevole del fatto che il 2019 sarà certamente definito per sempre come l’anno della svolta. Ecco le sue parole:

Ho chiesto di incontrarvi per farvi i complimenti, avete fatto un Mondiale fantastico. Ringraziarvi perché vi ha seguito l’intero paese, siete state un momento di aggregazione, il paese ne ha bisogno. Non ho avuto modo di vedere tutte le partite, non ho visto quella con l’Olanda: forse è stato meglio. Ho saputo che c’è stato qualche momento di sconforto. Non sappiamo chi vincerà, ma voi il Mondiale l’avete vinto, qui in Italia. Avete conquistato la pubblica opinione, acceso i riflettori in modo non più revocabile. Non posso fare a meno di sottolineare che è del tutto irrazionale e inaccettabile la differenza tra calcio maschile e femminile, che ha dimostrato di aver raggiunto qualità tecnica, e vorrei aggiungere senza ricorso a infingimenti e simulazioni, che possono essere utili ma meno sportive. Lo sport è importante, voi avete spinto moltissime bambine a seguire il mondo del calcio, questo amplierà la platea: e se con una platea così ristretta abbiamo una Nazionale di questo livello, possiamo sperare

 

Nell’incontro ha preso la parola anche Giovanni Malagò che, al termine del discorso, ha affermato: «Queste ragazze hanno fatto qualcosa di meraviglioso e viene da dire scusate il ritardo». Le ragazze hanno regalato al capo dello Stato la maglia numero 1 con la scritta Mattarella e un pallone autografato da tutta la squadra. Non è mancato il selfie finale col Presidente, poi Sara Gama ha citato l’articolo 3 della Costituzione legandolo al numero della sua maglia: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso…».

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Infine ancora Milena Bertolini che con pacatezza, responsabilità e sempre nei toni ha condotto questa squadra a un traguardo storico, dopo aver superato la Cina agli ottavi di finale e di aver vinto uno scontro diretto da dentro o fuori, cosa mai successa nelle edizioni precedenti:

Abbiamo aspettato con pazienza in questi anni, ora non ci stancheremo di chiedere il riconoscimento dei nostri diritti, dell’eguaglianza, dell’equità, che sono i valori della nostra Costituzione: a lei, presidente Mattarella, affidiamo le nostre rivendicazioni

Nonostante Gravina non le abbia rivelate, le cifre relative ai premi che andranno alle Azzurre sono state indicate da  Repubblica: il quotidiano parla di circa 650 mila euro in totale, a ognuna delle ragazze andranno più o meno 28mila euro (lordi).  La cifra sarebbe però in linea con il resto d’Europa: la Germania (eliminata anche nei quarti) avrebbe elargito 75 mila euro a testa alle sue atlete in caso di vittoria, la Francia 40 mila. Nessuna delle nazionali viaggia però a livello degli USA: le giocatrici campionesse in carica, in caso di successo porteranno a casa ciascuna 173.913 dollari.

 

Sapete quante volte non si è disputata la Maratona di New York dal suo primo anno d’esordio, nel 1970? Sono in una circostanza, nel 2012, a causa del devastante uragano Sandy. Quell’anno, Leonardo Cenci avrebbe voluto partecipare alla storica corsa che attraversa i cinque distretti della Grande Mela e passa per il famigerato ponte di Verrazzano; si stava allenando duramente per essere in forma, lui che ha iniziato a correre dal 1999. Ma quel momento, quell’attesa si allungarono di giorni in anni: non era performante, poi la febbre alta. Dopo una lastra toracica è emersa una massa grande quanto una pallina da tennis al polmone destro; pare sia adenocarcinoma al quarto stadio, ma poco dopo la brutta notizia, diventa pessima: una tac alla testa evidenzia metastasi celebrali e alle ossa.

Leonardo, però, quell’edizione del 2012 annullata la colse come segno del destino e mi confidò: «Alzai gli occhi al cielo e pensai: è un messaggio per me, qualcuno mi sta dicendo “pensa a curarti che la maratona aspetta te”».

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Leonardo è morto questa mattina, poco dopo le 10. Come ha scritto la sua associazione “Avanti tutta” in un post su Facebook, «di questi sei anni che gli sono stati “regalati” dalla malattia non ha sprecato neanche un giorno», ma da qualche settimana il suo quadro clinico era peggiorato. Un primo ricovero i primi di novembre, poco dopo il suo compleanno per un improvviso abbassamento della vista causato dalle metastasi al cervello. Poi si è ripreso e ha continuato le sue innumerevoli attività. Alla vigilia di Natale, però, un attacco epilettico. E stavolta la situazione è apparsa subito più seria. Leo non ha rinunciato a nulla fino all’ultimo, nonostante le condizioni aggravate.

Un ragazzotto di 46 anni, i medici gli avevano dato sei mesi di vita, ma lui questa sfida l’ha subita accettata e si era detto: «Vediamo, quanto sono terminale?». Si rialzò, riprese prima a camminare, poi a correre, ad allenarsi, a essere – paradossalmente –  sostegno e conforto per chi gli stava vicino. Perché sorrideva alla vita e diceva che in fondo aveva «una clessidra con meno granelli».

Convinto e cocciuto, si segnò sul calendario quel 2012, quella Maratona di New York rimasta sul groppone, aveva un grande obiettivo: con fierezza voleva essere il primo maratoneta italiano a correre con un cancro ancora in atto e dimostrare che si può convivere con la malattia. Ci riuscì nel 2016, ma non gli bastava, lui voleva tagliare il traguardo con un tempo preciso: battere il record di Fred Lebow, cofondatore della maratona e unico atleta al mondo, prima di lui, a partecipare con un cancro in atto.

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E secondo voi com’è finita? Leonardo ce l’ha fatta, tagliando il traguardo in 4 ore 27′ e 57” e superando le 5 ore 32′ 34″ di Lebow.  Una medaglia al collo e un selfie ironico-irriverente (nel senso buonissimo del termine) alla consegna, nel 2017, di una prestigiosa onorificenza, il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, conferito proprio da Sergio Mattarella.

Leonardo è un vincente, la sua linguaccia era uno smacco alla malattia. Grazie per il prezioso insegnamento. Corri ancora Leonardo!

Siamo usciti da un boxing day con un morto e i buu razzisti sugli spalti. Entriamo nel nuovo anno pallonaro con una piccola speranza che qualcosa di bello c’è, anche nei campi di periferia. Lì dove non arrivano le telecamere e i social, ma il pallone rotola tra fango e tribune mal messe. Igor Trocchia è un ex celebre calciatore nelle serie minori bergamasche. Oggi è un tecnico delle categorie giovanili. Lo scorso 29 dicembre è stato tra i 33 premiati dal presidente della Repubblica con l’Ordine al merito della Repubblica italiana.

Trocchia, in particolare, è stato insignito del riconoscimento «per il suo esempio e la sua determinazione nel rifiuto e contrasto a manifestazioni di carattere razzista». La sua piccola storia di impegno civile risale allo scorso primo maggio. Il 46enne allenatore degli esordienti del Pontisola sta guidando i suoi ragazzi in un’amichevole a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo. La sfida è contro i pari età del Rozzano. Dovrebbe essere un semplice divertimento in una giornata di festa, tra ragazzi di 12/13 anni che sognano un futuro da campioni. Invece succede qualcosa che non convince il mister.

Igor Trocchia

A fine partita un suo calciatore non stringe la mano all’avversario. Trocchia è infastidito, sul punto di andare a sgridare il baby giocatore. Cerca di capire e chiede qualcosa di più ai compagni di squadra che gli raccontano cosa era accaduto. Il ragazzo si era rifiutato di rispondere a quel gesto di sportività perché non era sincero. Perché qualche momento prima era stato insultato per il colore della pelle. “Negro di m…”. Il tecnico allora capisce che c’è bisogno di un gesto forte. Di una reazione esemplare. Ritira la squadra. “Ce ne andiamo, non giochiamo più”.

Gli altri ragazzi lo seguono in massa, il pubblico, perplesso, mugugna. Capirà dopo. Quando la storia verrà a galla. Capiranno anche il ragazzo autore degli insulti e il Rozzano, che lo punirà con la sospensione di un mese. E magari lo capiremo anche noi, che non possiamo più assistere inermi all’inciviltà e alla maleducazione.

Un incontro emozionante quello che si è svolto tra la Nazionale di scherma paralimpica, reduce dai grandi successi dei Mondiali di Fiumicino, e il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.

Bebe Vio e compagni hanno ricevuto i ringraziamenti da parte del presidente per quanto hanno fatto e per quello che faranno in futuro: con il loro insegnamento possono dare un prezioso aiuto a tutti quei ragazzi che si trovano nella loro stessa condizione e si sentono inermi, incapaci di agire o di mettersi in gioco.

Ecco le parole sentire di Mattarella:

Risultati così non sono regalati, sono frutto di impegno, sacrificio, allenamento. E per raggiungerli non basta l’impegno, ci vuole anche la passione. Avete inviato un messaggio a tanti altri: ci sono tanti giovani con disabilità che potrebbero ottenere nello sport grandi successi. Siete un esempio di uno sforzo per uno sport autentico e genuino, ne abbiamo bisogno

Il Capo dello Stato è orgoglioso di questi giovani che di recente hanno vinto ben 5 medaglie d’oro, 3 d’argento e 3 di bronzo. Con l’umiltà e la passione che li guida sono capaci di fare grandi cose e, Mattarella ne è certo, regaleranno all’Italia ancora tante soddisfazioni.

E sono tutti presenti per questa occasione così speciale, a cominciare dalla grande Bebe Vio, che con la sua grinta e la sua voglia di lottare conquista un successo dopo l’altro. Ecco come la definisce Luca Lotti, Ministro dello Sport:

Non ci sono più parole per lei, è un ciclone. Grazie all’urlo di Bebe, tanti ragazzi possono guardare il futuro in maniera diversa

Insieme a lei ci sono anche gli sciabolatori, come Alessio Sarri e Alberto Pellegrini. Quest’ultimo, nonostante la gioia del momento, si lascia però sfuggire un rammarico:

Se continuo? Non lo so, aspetto di vedere i programmi. Intanto ho firmato per il basket, gioco a Vicenza in serie B. Piuttosto mi dispiace per una cosa: non prenderò il collare d’oro. I collari vengono dati solo ai campioni del mondo delle gare olimpiche e paralimpiche. E purtroppo la sciabola a squadre non fa parte del programma, c’è solo l’individuale. Per me, è una regola ingiusta

Con la consegna ufficiale del tricolore italiano nelle mani del portabandiera, tenente colonnello Gianfranco Paglia, Medaglia d’oro al valor militare, da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella è formalmente iniziata l’avventura dei 15 atleti militari del Gruppo sportivo paralimpico Difesa che, dal 23 al 30 settembre 2017, difenderanno i colori italiani alla terza edizione degli Invictus Games a Toronto, in Canada.

“Avete avuto la capacità e il coraggio di ritrovare in voi stessi la forza – ha detto Mattarella – trovando nello sport lo strumento e il veicolo per continuare a esprimere la vostra personalità e il vostro talento. È una cosa di grande importanza, per voi innanzitutto, ma come esempio per tanti giovani con disabilità che possono comprendere che hanno davanti la possibilità di esprimersi e realizzarsi”.

Gli Invictus Games, ideati nel 2014 dal principe Harry d’Inghilterra, sono giochi sportivi paralimpici, espressamente dedicati ad atleti militari feriti o mutilati in teatri operativi. Diverse le discipline in cui si cimentano, tra cui basket e rugby in carrozzina, nuoto, tiro con l’arco, golf e atletica. In gara 550 atleti provenienti da 17 diversi Paesi tra cui l’Italia

Invictus Games 2017

I 15 atleti italiani sono tutti inquadrati in un vero e proprio dipartimento del Ministero della Difesa, il Gruppo Sportivo paralimpico Difesa, appunto, costituito nel 2014 in occasione dei primi Invictus Games. Mantenendo in servizio attivo il personale ferito in maniera grave e permanente transitato nel cosiddetto “ruolo d’onore”, il dipartimento si occupa, tra le altre cose, sia della loro attività di riabilitazione sia degli allenamenti finalizzati alla partecipazione alle gare di eventi sportivi nazionali e internazionali.

Nelle precedenti edizioni degli Invictus Games, l’Italia ha conquistato 16 medaglie, di cui 8 ori.