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È la maratona più partecipata al mondo, nel 2009 sono arrivati a traguardo ben 43.545 atleti. Un numero esagerato se pensiamo che nella prima edizione, a tagliare il nastro furono solo 55. La maratona di New York è la corsa annuale più celebre in assoluto: i suoi 42.195 metri con cui si snoda attraverso i cinque grandi distretti di New York City la rendono affascinante e una di quelle sfide da fare una volta nella vita.

La maratona è organizzata dal NYRR, il New York Road Runners, e si corre ogni anno dal 1970, precisamente dal 13 settembre 1970. Fu organizzata dal presidente del NYRR, Vincent Chiappetta, e da Fred Lebow, divenuto poi icona nei decenni successivi. Quanti maratoneti si presentarono? Ben 127 concorrenti che percorrevano più giri lungo il park Drive di Central Park, ammirati da non più di un centinaio di spettatori. A vincere fu Gary Muhrcke.

Col seguire degli anni, la maratona ha acquisito sempre più supporter tanto da spingere il cofondatore Fred Lebow a ridisegnare il tracciato inglobando tutti e cinque i distretti della Grande Mela.
Il punto di svolta si ha nel 1978 quando la maratoneta norvegese Grete Waitz (oro ai Mondiali del 1983 a Helsinki) stabilì il nuovo record del mondo in 2 ore 32 minuti e 30 secondi (record che ha migliorato negli anni a seguire). La Waitz vinse la gara altre otto volte, diventando simbolo della competizione assieme a Fred Lebow.
Fred ha partecipato sin dalla prima edizione quado si classificò quarantacinquesimo su 55, mentre corse la sua ultima maratona nel novembre del 1992, accompagnato proprio dalla Waitz, dopo che gli fu diagnosticato un tumore al cervello.

Oggi è la corsa più famosa al mondo con i suoi 2 milioni di spettatori e 315 milioni di appassionati che seguono la corsa in diretta sul canale NBC.

Nonostante la predominante bandiera a stelle e strisce, la Maratona di New York ha parlato italiano per ben cinque volte. L’exploit fu nel triennio 1984-1986 dove trionfò per due volte Orlando Pizzolato e poi Gianni Poli. Nel 1996 ad arrivare per primo al finish è stato Giacomo Leone, l’ultimo europeo a vincere la maratona prima dell’inizio di un lungo periodo dominato da atleti africani. Franca Fiacconi, invece, è stata l’unica atleta italiana a vincere, nel 1998.

Gianni Poli nel 1986

Uno dei muri-simbolo dello sport è stato infranto. Ce l’ha fatta il keniano Eliud Kipchoge: per la prima volta un uomo corre la maratona in meno di due ore. A Vienna, l’olimpionico è riuscito a percorrere i fatidici 42,195 km in 1 ora 59 minuti, 40 secondi e 2 decimi. Venti secondi scarsi in meno del necessario anche se la performance non potrà essere omologata come record: troppe le anomalie di questa corsa che l’azienda chimica britannica Ineos ha inventato “ad personam” per l’atleta. L’impresa, comunque resta, anche perché a compierla non è un uomo qualsiasi, ma il campione olimpico in carica, nonché detentore del record mondiale ufficiale: Kipchoge lo ha stabilito poco più di un anno fa a Berlino, correndo una maratona vera in 2h 1′ 39”.

Kipchoge, 34 anni originario della contea di Nandi, nella sua impresa che ha avuto come teatro i lunghi viali del parco Prater di Vienna, è stato supportato da 35 “lepri” che si sono alternati lungo il percorso a gruppi di sette: è una delle ragioni per cui la performance non potrà essere omologata. L’evento è stato preparato nei minimi dettagli: i meteorologi, ad esempio, hanno considerato tutte le variabili possibili per mettere l’atleta in condizione di correre nelle migliori condizioni possibili, fino a stabilire in extremis l’orario della partenza, le 8.15. Altra anomalia, il percorso constava di un anello di 9,6 chilometri, da ripetere quattro volte e una frazione. Il tracciato si districava attraverso il parco del Prater, in un’area dove la densità di alberi ad alto fusto mitiga in gran parte gli effetti del vento, contrario o laterale. Senza contare l’assenza di avversari capaci in qualche modo di disturbare o di spezzare il ritmo dell’atleta. Le lepri hanno accompagnato il fuoriclasse fino a 500 metri dall’arrivo, lasciandolo poi solo a celebrare l’impresa. Il fuoriclasse ha tenuto una media di 2′ 50” al chilometro, valore che è fluttuato tra i 2′ 48” e i 2′ 52”, transitando al traguardo parziale in 59′ 35”, 11 secondi in vantaggio sull’ipotetica tabella di marcia.

 

Ognuno di noi se si prepara nella sua vita può raggiunge risultati impossibili. Volevo ispirare tante persone, nell’idea di spingersi oltre i limiti umani, ci ho provato tante volte e questa volta ci sono riuscito.

Il fenomeno keniano ha paragonato il muro delle due ore alla fatidica barriera dei 4 minuti sul miglio, che la leggenda dell’atletica britannica Roger Bannister abbatté nel 1954: «Dopo di lui, ci sono voluti altri 65 anni per fare la storia».

 

Eliud Kipchoge è il campione di Rio della specialità. Dotato di un fisico ideale per le corse di durata – alto 1.67 per soli 52 chilogrammi di peso, ha vinto 10 delle 11 maratone cui ha partecipato. Aveva già tentato di infrangere il muro delle due ore – sempre con Ineos e avvalendosi di un tracciato sui generis – nel 2017, nell’autodromo di Monza, mancando l’obiettivo per 26 secondi. 

Risultati immagini per Eliud Kipchoge

Dici Gelindo Bordin e si apre un mondo. La corsa vincente dell’atleta italiano alle Olimpiadi di Seul ’88 è una delle immagini chiave dei favolosi anni Ottanta. Ci sono l’urlo di Marco Tardelli e Like a Virgin di Madonna, Ronald Reagan e Gorbaciov, il muro di Berlino e Holly e Benji, Papa Woytyla e Ritorno al futuro, il Napoli di Maradona e il Live Aid. E poi c’è Gelindo, stretto tra l’unicità del suo nome e quella progressione vincente che termina con il bacio della pista.

Bordin nel 1988 ha 29 anni, un anno prima ha conquistato la medaglia di bronzo dei Mondiali a Roma. Nel 1986 è campione d’Europa a Stoccarda. Arriva in Corea con buone sensazioni, c’è anche lui nella griglia dei favoriti.

Domenica 2 ottobre: la gara è intensa, ma massacrante, si corre con un’umidità del 75%. Al 31mo chilometro Bordin tenta una fuga ma viene ripreso. Si entra nel vivo quando un quartetto si stacca e conduce, siamo al 36mo chilometro. Ahmed Salah da Gibuti, canotta n. 236. Takeyuki Nakayama, giapponese, n.635. Gelindo Bordin, canotta numero 579. Douglas Wakiihuri, keniano, n.675. L’Italia segue la gara dell’azzurro con le voci di Paolo Rosi e Attilio Monetti in diretta su Raidue.

Nakayama accusa la fatica e perde terreno. Rimangono in tre, esattamente gli stessi dei campionati mondiali 1987 in cui aveva trionfato Wakiihuri. Al 38mo km attacca Salah, Wakiihuri rintuzza i colpi, Bordin si difende ma è più staccato. E’ tenace, però, il corridore di Longare e non molla, mantiene un ritmo costante. 40mokm, Wakiihuri perde colpi, Bordin lo riprende e mette nel mirino il battistrada. In telecronaca si parla già di medaglia d’argento come grande risultato.

«Dai Gelindo, dai Gelindo!», esclama Rosi. E Gelindo vola, «lo sta braccando», raggiunge Salah e lo supera agevolmente. La corsa di Bordin è tutta proiettata verso l’ingresso allo stadio Olimpico. Gli ultimi 1500 metri sono la meritata passerella di un atleta straordinario, che con quegli occhi spiritati anticipa un po’ il Totò Schillaci di Italia ’90.

Entra nell’impianto sorridendo, godendosi il primo trionfo di un atleta italiano a una maratona olimpica. Dorando Petri viene sportivamente vendicato. Gelindo Bordin chiude la gara in 2h 5’ 30’’, si inginocchia stremato, bacia la pista. Wakiihuri arriva secondo, Salah solo terzo. «Grazie Gelindo», ripete un commosso Paolo Rosi, voce di un intero popolo.

Gelindo Bordin alle Olimpiadi di Seul ’88

 

 

Quello che gli uomini non riescono a capire con la loro ottusità, diventa tutto più semplice e naturale grazie allo sport. Basta mettere una canotta, una maglietta, un paio di pantaloncini e delle scarpe da ginnastica per rendere tutto più chiaro, immediato, lineare. La mezza maratona di Trieste aveva suscitato un vespaio di polemiche per la scelta, poi definita solo “provocatoria”, degli organizzatori di non invitare gli atleti africani per combattere “il mercimonio” dei loro ingaggi da parte di procuratori senza scrupoli. Punire le vittime per debellare il problema. Curiosa come soluzione, no?

Vince un ruandese

E così, dopo la marcia indietro dei promotori della maratona, c’è stata la marcia avanti degli atleti africani. E che marcia, visto che a trionfare, ça va sans dire, è stato proprio un atleta del continente nero. Dal Ruanda ha tagliato per primo il traguardo dei 21 km Noel Hitimana, che ha concluso la sua gara in 1h 3m 28s. A seguire l’italiano Najibe Salami e il keniota Joel Melly. Nella specialità femminile braccia alzate per Vohla Mazuronak, dal Kazakhistan con 1h 13m 56s. Poi Cavaline Nahimana dal Burundi e l’italiana Laika Soufyane.

Di giornata indimenticabile ha parlato Fabio Carini, patron della manifestazione che aveva scatenato una bufera mediatica con la proposta di non invitare gli atleti africani. Il freddo e il vento forte (la classica bora triestina) non hanno scoraggiato i duemila partecipanti alla Trieste Half Marathon. Sportivi che sanno che non c’è espressione più libera e solidale di una corsa per strada, in barba a qualsiasi forme di esclusione e discriminazione etnica.

Quando è partito dall’Italia non se lo sarebbe mai aspettato di rientrare con il sorriso e la soddisfazione di aver fatto qualcosa di veramente grande e importante: un sogno.

È quello che è successo a New York al 42enne Cristian Marianelli,  operaio umbro originario di Umbertide, cresciuto a Città di Castello e ora residente a Lama con la sua famiglia, con la passione per la corsa.

Marianelli ha avuto la possibilità di correre alla maratona più importante e prestigiosa al mondo: quella di New York, ma la sorpresa non è stata la sua partecipazione quanto il risultato. Primo tra gli oltre 3mila italiani al via, 41esimo in assoluto e quinto tra gli Europei, con il tempo di 2 ore 28 minuti e 35 secondi.

È stata la tua prima volta a New York? Soddisfatto?

Si! È stata la mia prima esperienza a New York e certo non sarà l’ultima. Sinceramente sono arrivato al traguardo molto provato ma la notizia di essere stato il primo italiano mi ha dato una gioia indescrivibile, ripensando soprattutto a tutte le fatiche che ho provato per raggiungere questo importante traguardo. Direi supersoddisfatto per un’esperienza unica e indimenticabile della mia vita.

Cristian Marianelli in compagnia dell’amico atleta Federico Morini

Com’è nata l’idea di appassionarsi alla corsa?

Tutto è nato un po’ per gioco, però poi è diventata una vera e propria passione e uno stile di vita. Mi sono posto degli obiettivi importanti come quello di partecipare alle maratone e direi che ci sono riuscito.

Obiettivo più che raggiunto per chi come Cristian comunque sempre stato vicino allo sport, prima come ciclista e da dieci anni da corridore. Altri ottimi risultati ottenuti in manifestazioni italiane (tra cui la maratona di Rimini nel 2017), prima dell’exploit nella Grande Mela, con tanto di dedica alla sua famiglia.

Che cosa ti spinge nel migliorarti?

È la passione che ti spinge a fare tutto, non solo nello sport. Tuttavia per migliorarti c’è bisogno anche e soprattutto di avere dei confronti. La voglia di poter scambiare opinioni e  dettagli con i tuoi compagni è un altro punto cardine per migliorarti.
Non per ultimi, inoltre, la buona volontà e la voglia di puntare sempre a fare meglio senza mai sentirti sazio. La corsa è uno sport molto duro e faticoso. Se ti piace tutto questo allora lo si può praticare.
Ah! Proprio in riferimento a questo, avrei voluto chiudere in 2 ore e 25 minuti (sorride, ndr).

Cosa hai in mente per il futuro, altri progetti?

Vorrei poter correre la maratona di Berlino il primo anno a settembre e ci sono anche altre idee che sto valutando, ma non ho ancora deciso nulla. Ora mi godo il momento e il risultato ottenuto in America.

La Maratona di New York si è conclusa con due vincitori d’eccezione: il keniano Geoffrey Kamworor e la statunitense Shalane Flanagan.

Il successo più eclatante arriva dalla categoria femminile con il trionfo della statunitense Flanagan che da tempo inseguiva questo sogno. È lei a tagliare il traguardo per prima in 2h26’53”, riportando il titolo agli Stati Uniti dopo circa 40 anni.

Flanagan è una specialista del settore: abbiamo già avuto modo di ammirarla alle Olimpiadi di Pechino del 2008 dove ha conquistato la medaglia di bronzo e ai Giochi di Rio del 2016 dove invece è arrivata sesta.

La maratona di New York era un traguardo che mancava alla sua collezione di successi ed è arrivato ieri nella manifestazione che ha coinvolto circa 50 mila persone.

La statunitense non nasconde il suo entusiasmo e probabilmente smetterà di correre. Almeno questo è quello che ha più volte ribadito prima dell’evento newyorkese, promettendo che in caso di vittoria avrebbe abbandonato le gare.

Nulla di fatto quindi per la keniana Mary Keitany che dopo ben tre vittorie consecutive ha lasciato il testimone alla statunitense.

Nella categoria maschile il successo è andato al keniano Geoffrey Kamworor, che ha vinto in 2h 10’ 53’’, lasciandosi alle spalle gli altri partecipanti. Anche lui ha un passato da vincitore con un argento mondiale e altri titoli iridati.

Nella categoria dei corridori in carrozzina hanno vinto il britannico John Smith arrivato secondo, lo svizzero Marcel Hug arrivato primo e il giapponese Sho Watanabe arrivato terzo.

La Maratona di New York non partiva sotto grandi auspici dopo l’attentato rivendicato dall’Isis che ha scosso Manhattan la settimana scorsa. Per questa ragione erano spiegate le forze dell’ordine per tutto il percorso e persino in volo, al fine di garantire la sicurezza dei partecipanti alla gara e degli spettatori.

Sara Dossena: sesta alla maratona di New York

Alla Maratona di New York anche una nostra connazionale si è fatta notare. Parliamo di Sara Dossena, che si è classificata al sesto posto con un tempo di 2h29’39”. Una gara eccezionale che le fa guadagnare gli applausi di tutti e le garantisce il posto di qualificazione agli Europei del 2018, che si terranno nella città di Berlino.

Anche un’altra azzurra stava per garantirsi una posizione di rilievo nella maratona: Emma Quaglia poteva posizionarsi nelle prime posizioni ma poi ha avuto un calo verso la fine e non è riuscita a mantenere l’andatura per vincere.

Ieri 23 settembre si è conclusa la Maratona di Berlino, che ha incoronato unico vincitore il keniano Eliud Kipchoge. La sua performances è stata ottima e probabilmente se non fosse stato ostacolato dal tempo piovoso e dall’asfalto bagnato sarebbe riuscito anche a battere il record. Il giovane atleta ha tagliato il traguardo con un tempo di 2h 03’32”, che è un risultato eccezionale.

Il record attuale di 2h 02’57” che è stato totalizzato da un altro keniano, Dennis Kipruto Kimetto rimane, dunque, imbattuto dal 2014, sempre nella città tedesca.

Ma il trionfo di Kipchoge è stato comunque un gran successo: è riuscito a mantenere l’andatura e le energie per tutto il percorso, anche se in alcuni momenti sembrava fosse in difficoltà. Nonostante la grande vittoria nel suo viso al termine della gara si leggeva un po’ di delusione per non essere riuscito a centrare il suo obiettivo e battere il record.

Al secondo posto a gran sorpresa vince Guye Adola con un tempo di 2h 03’46”. Il giovane ha stupito tutti con la sua prestazione e nessuno si aspettava da lui un risultato così sorprendente. Possiamo dire che è stato la grande rivelazione di questa maratona di Berlino.
Grande delusione invece per gli atleti Wilson Kipsang e Kenenisa Bekele. Entrambi facevano parte della schiera dei favoriti insieme al vincitore Kipchoge, ma non sono riusciti a aggiudicarsi un posto importante nella classifica finale.

Il keniano Kipsang è stato costretto ad interrompere la gara in seguito ad una forte nausea, che lo ha costretto al ritiro dopo aver percorso 30 km. L’etiope Bekele, invece, ha forse accusato un improvviso e inaspettato calo di energie proprio nel bel mezzo della gara, che lo ha portato a rallentare l’andatura e di conseguenza a perdere ogni possibilità di arrivare tra le prime posizioni. Consapevole del gap si ritira poco dopo.
Fuori anche Sammy Kitwara, che come il keniano, lascia la gara dopo circa una trentina di chilometri.

Senza avversari temibili la corsa verso il traguardo di Kipchoge è proseguita in modo alquanto facile, con l’unica minaccia rappresentata dall’etiope Adola che non riesce comunque a raggiungerlo.

Nel gruppo femminile il trofeo va alla keniana Gladys Cherono, che ha totalizzato un tempo di 2h 20’23”, riconfermando il suo grande talento già affermato con la vittoria del 2015. Dopo un periodo di riposo forzato in seguito ad una frattura si temeva non fosse ancora in forze per gareggiare. I timori erano, però, infondati e l’atleta ha dimostrato a tutti quanto vale.

Una nota di merito va sicuramente anche all’azzurra Catherine Bertone, che raggiunge la sesta posizione, con un tempo di 2h 28’34”: un grande risultato per la categoria over 45. Peccato per un’altra italiana in gara, Anna Incerti, che per un problema di salute è stata costretta a ritirarsi.

Podio ancora una volta tutto africano nella maratona dei Campionati del Mondo di Atletica. A Londra 2017, però, il titolo iridato torna in Kenya ed ha il volto del 24enne Geoffrey Kirui, quest’anno già vincitore della Boston Marathon, e che oggi con 2h08:27 mette in fila l’etiope Tamirat Tola (2h09:49) e il tanzaniano Alphonce Simbu (2h09:51).
 
Ai piedi del podio il britannico Callum Hawkins, quarto in 2h10:17 e sostenuto dal tifo di migliaia di persone lungo tutto il percorso. Quinto posto per Daniele Meucci. L’ingegnere pisano dell’Esercito porta a termine i suoi 42,195 chilometri in 2h10:56, ritoccando di 12 secondi il primato personale che nel 2014 a Zurigo lo aveva condotto al titolo europeo (2h11:08).
Un piazzamento conquistato con una volata in rimonta nei confronti del keniano Gideon Kipketer. All’azzurro inizialmente era stato assegnato il sesto posto, ma dopo esame del fotofinish la giuria ha corretto il risultato. Ritirato dopo il trentesimo chilometro l’altro italiano in gara Stefano La Rosa.

MEUCCI 

“Sono davvero contento – dichiara Meucci, visibilmente commosso – perché oggi finalmente ho corso come volevo e ce l’ho messa tutta. È stata una gara molto difficile da interpretare, un saliscendi continuo con vento spesso contrario. Non sono andato subito dietro agli uomini di testa perché in base alle mie sensazioni hanno accelerato troppo presto, infatti sono rimasto sul mio passo e poi ho recuperato posizioni”.
Podio ancora una volta tutto africano nella maratona dei Campionati del Mondo di Atletica. A Londra 2017, però, il titolo iridato torna in Kenya ed ha il volto del 24enne Geoffrey Kirui, quest’anno già vincitore della Boston Marathon, e che oggi con 2h08:27 mette in fila l’etiope Tamirat Tola (2h09:49) e il tanzaniano Alphonce Simbu (2h09:51).
 
Ai piedi del podio il britannico Callum Hawkins, quarto in 2h10:17 e sostenuto dal tifo di migliaia di persone lungo tutto il percorso. Quinto posto per Daniele Meucci. L’ingegnere pisano dell’Esercito porta a termine i suoi 42,195 chilometri in 2h10:56, ritoccando di 12 secondi il primato personale che nel 2014 a Zurigo lo aveva condotto al titolo europeo (2h11:08).
Un piazzamento conquistato con una volata in rimonta nei confronti del keniano Gideon Kipketer. All’azzurro inizialmente era stato assegnato il sesto posto, ma dopo esame del fotofinish la giuria ha corretto il risultato. Ritirato dopo il trentesimo chilometro l’altro italiano in gara Stefano La Rosa.

MEUCCI 

“Sono davvero contento – dichiara Meucci, visibilmente commosso – perché oggi finalmente ho corso come volevo e ce l’ho messa tutta. È stata una gara molto difficile da interpretare, un saliscendi continuo con vento spesso contrario. Non sono andato subito dietro agli uomini di testa perché in base alle mie sensazioni hanno accelerato troppo presto, infatti sono rimasto sul mio passo e poi ho recuperato posizioni”.