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E’ uno dei prestigiosi e distintivi simboli del ciclismo e dello sport in generale: la maglia iridata, scettro da esibire per un anno intero, che viene indossata dal campione del mondo in carica di una delle otto discipline ufficialmente riconosciute dall’Unione ciclistica internazionale. E’ bianca con al centro una serie di bande colorate orizzontali: dall’alto verso il basso, i colori sono blu, rosso, nero, giallo e verde, ovvero gli stessi degli anelli olimpici, simbolo dei cinque continenti. Da Peter Sagan, ultimo a vincere il Mondiale su strada, al britannico Mark Cavendish, passando per il plurivincitore spagnolo Óscar Freire, fino ad arrivare agli italiani (per citare solo alcuni) Alessandro Ballan, Paolo Bettini e Alfredo Binda, il primo a trionfare nel 1927, in tanti hanno avuto l’onore di vestirsi con la celebre maglia.

Ma attorno alla casacca coi colori dell’iride, aleggia una maledizione, un intruglio di coincidenze, annate storte e morti tragiche, che colpisce colui che la indossa. Ecco alcune storie: Tom Simpson, britanno, ha vinto il titolo mondiale nel 1965; l’anno successivo fu disastroso perché si ruppe una gamba mentre stava sciando e vanificò sia in termini di visibilità che sportivi, il suo anno da iridato. Più tragico è il destino di Jean-Pierre Monseré, trionfatore nel 1970, che morì nel 1971, poco prima della Milano-Sanremo in una gara in Belgio investito da un’automobile sbucata dalla fila. Un altro belga, Freddy Maertens, primo al mondo nel 1981, l’anno dopo non vinse nessuna gara e nel complesso vinse solo altre due gare in carriera.
Rimanendo in Belgio, Rudy Dhaenens, maglia iridata nel 1990, si ritirò poco dopo per problemi cardiaci prima di perdere la vita, in un incidente stradale, sei anni più tardi. Negli anni recenti, oltre ad alcuni casi di doping, colpì la storia dell’italiano Bettini: il 24 settembre 2006 vinse la maglia iridata nel campionato mondiale su strada a Salisburgo, in Austria; otto giorni dopo, il 2 ottobre, il fratello maggiore Sauro morì mentre era alla guide della sua auto.

Nel 2015, sulla rivista scientifica “The British medical journal”, è stato pubblicato uno studio che tende a sfatare tale maledizione. Basandosi su diverse teorie (come la maggior esposizione mediatica e quindi la tendenza a far passare per notizia anche un normale calo sportivo che si combina anche con una fisiologica inflessione dopo avere raggiunto il punto più alto nella disciplina) e incrociando dati e stagioni dei ciclisti vincitori, l’indagine ridimensiona la negatività attorno alla maglia iridata, fino a smontare il caso.